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LA RIFLESSIONE, CULTURA, PESSIMISMO, FELICITA', PENSIERI, SCETTICISMO,OTTIMISMO, RAGIONE, VITA, FUTURO, BIMBI, EDUCAZIONE,

Post n°4616 pubblicato il 03 Settembre 2010 da psicologiaforense

 LA RIFLESSIONE

In un mondo dominato dalla cultura del pessimismo, si  impedisce anche  il "diritto alla felicità"

 

Può guarire malattie, ma non è un farmaco. Può fare miracoli, ma non è un dio. Può far prosperare nazioni e individui, ma non è danaro, nè petrolio. È invisibile, ma i suoi effetti sono ben evidenti nella storia e nella vita di tutti. Lo conosciamo benissimo, eppure chi non ce l'ha non sa dove andarlo a cercare. Se qualcuno riuscisse a produrlo e a imbottigliarlo, diverrebbe miliardario in una settimana. Ma non si può. Quando, come in questo momento della storia umana, esso scarseggia, si può soltanto rimpiangerlo e domandarsi dove sia finito, e quando tornerà, quell'impalpabile e indispensabile elemento della felicità umana chiamato “ottimismo”. Nel mondo, nel cuore degli individui, in molte società, oggi si registra una grave, debilitante carenza di “ottimismo”, forse più acuta della mancanza di cibo. Contrariamente allo scetticismo dei depressi, al cinismo degli esperti, l'ottimismo è una condizione indispensabile al successo e alla sopravvivenza delle persone come delle società umane. Si può scherzare sul “cuor contento”, si può fare ironia educativa sull'ingenua cicala che trascorre l'estate cantando mentre la formica pessimista immagazzina briciole, ma sono le cicale che fanno camminare la storia, non le formiche.

I messaggi impliciti, quotidiani, che gli adulti trasmettono ai bambini sono messaggi di forte, quasi esclusivo segno pessimistico. Privare i bambini del loro naturale ottimismo è un attentato alla loro salute mentale, grave quanto sarebbe per la loro salute fisica privarli del latte o delle vitamine. Eppure è proprio quello che la imperante “cultura del pessimismo” sta facendo.  Il mondo che noi adulti raccontiamo ai nostri figli attraverso il nostro comportamento e attraverso i mass media è un mondo popolato di nemici, di vittime, di rischi, di violentatori, di mostri pronti a divorarli dietro ogni angolo. Il naturale pessimismo delle madri, che vedono insidie ovunque contro le proprie creature, è divenuta ossessione collettiva. Il mondo intero è una madre che ci intima arcigna di “mettere la maglia di lana”. E in questa orgia di ipocondria (altro sinonimo di pessimismo) si dimentica l'ovvio: che l'umanità in generale non è mai stata tanto sana e longeva come in questo nuovo millennio.

Quanto precede inevitabilmente non può non concludersi con un paradosso ovvero che per uscire dal ciclo del pessimismo non c'è altra via che quella di sforzarsi di essere ottimisti, come il malato deve essere convinto di poter guarire, per guarire, e il prigioniero di essere un giorno liberato, per poter sopravvivere alla prigionia. Una conclusione ovvia, ma sulla quale sono pessimista.

 
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Commenti al Post:
educatrice2
educatrice2 il 03/09/10 alle 18:01 via WEB
sara' un quotidiano senza certezze, sarà l'ansia di una storia che non e' finita, ma sembra invece farsi incomprensibile e sbriciolata in una collana di mediocri tragedie, fatto sta che nell'eterna altalena fra i gemelli opposti della natura umana, e' il fratellino malvagio, il "pessimismo" a controllare i PENSIERI di tanti.
(Rispondi)
 
luigiarusso
luigiarusso il 03/09/10 alle 18:12 via WEB
Se l'uomo delle caverne fosse stato ragionevole e dunque pessimista, vivremmo ancora di lucertole e incideremmo graffiti sulle rocce, dice Seligman. L'Istituto Nazionale della Salute Infantile preferisce studiare i bambini, anziche' l'uomo di Neandertal, ma la conclusione e' la stessa. Tra i bambini e i ragazzi messi in condizione di stress acuti, travolti dallo sfascio delle famiglie, coloro che sopravvivono e emergono meglio dai loro traumi sono invariabilmente gli ottimisti, quelli dotati della capacita' di trovare il meglio, il "filo d'argento" anche nelle situazioni piu' deprimenti. E' ancora impossibile fare una misurazione precisa, quantificare in termini scientifici che cosa sia questo ottimismo> scrive l'Istituto, <ma l'osservazione clinica e empirica non lascia dubbi. Alcuni individui posseggono l'abilita' innata di non lasciarsi abbattere dai rovesci e di mantenere la loro fiducia nell'avvenire anche nei momenti obiettivamente piu' scoraggianti
(Rispondi)
 
deontologiaetica
deontologiaetica il 03/09/10 alle 18:21 via WEB
E' naturale che sia l'America - nazione costruita sul folle ottimismo del nomade e sul <diritto alla felicita'> scritto nella Costituzione - a sostenere questa tesi, ma le argomentazioni sono persuasive. Il motore della storia e' l'ottimismo del contadino che sparge il seme nella speranza che piu' tardi cresca la spiga, del nomade che attraversa le steppe nella illusione che oltre il deserto si stenda la pastura, del generale che lancia le sue truppe nella convinzione della vittoria, dell'imprenditore che rischia i suoi capitali nella ottimistica speranza che milioni di persone la' fuori siano disposte a acquistare proprio il suo prodotto. E ancora piu' convincente e' la dimostrazione per assurdo. Quando l'ottimismo manca, quando prevale, come ora, la <cultura del pessimismo>, gli effetti sono catastrofici. Uomini e donne, osserva lo studioso di comportamenti, perdono la speranza, sinonimo di ottimismo, e restringono i loro orizzonti mentali e affettivi. Si richiudono nel castello del loro privato, dei loro interessi immediati e egoistici e smettono di operare. <La cultura dominante del momento e' una cultura dell'isolazionismo>, osserva ancora l'Universita' della Pennsylvania, <ognuno per se', ognuno arroccato nel personalismo dei propri diritti religiosi, razziali, di gruppo, e gli altri si arrangino>. Corpi sociali, nazioni, etnie, tribu' perdono fiducia nella convivenza e nell'integrazione, incalza l'osservatore di macrofenomeni, si barricano nel <pessimismo> della violenza. Ecco gli effetti del disinganno, della paura, del pessimismo: Bosniaci contro Serbi, Tutsi contro Hutu, Ceceni contro Russi, Nord contro Sud, Neri contro Bianchi, Donne contro Uomini. E ovunque voglia di forca, di taglione, estremo ricorso del pessimista che rinuncia a educare e preferisce vendicarsi.
(Rispondi)
 
servoarbitrio
servoarbitrio il 03/09/10 alle 18:25 via WEB
TRADUCO QUESTO TUO DISCORSO "IN POLITICA"......
(Rispondi)
 
servoarbitrio
servoarbitrio il 03/09/10 alle 18:25 via WEB
La caduta del tasso di ottimismo in America e in tutte le nazioni europee, Italia in cima, significa l'inizio della fine per le democrazie moderne?, si chiede Kevin Phillips, studioso acuto della societa' politica americana. Una democrazia, fondata - anch'essa - sulla speranza che gli interessi opposti possano trovare una ragionevole mediazione per il bene del massimo numero possibile di cittadini, puo' sopravvivere allo sbriciolamento pessimistico degli umori? Al voto degli <incazzati> perenni - dunque pessimisti - quali noi elettori europei e americani stiamo diventando? <Di per se' - nota Kevin Phillips - pessimismo e ottimismo non sono ne' di sinistra ne' di destra. Nelle nuove democrazie dell'Est europeo, per esempio, il pessimismo succeduto all'ottimismo del dopo Muro ha indotto la gente a votare per i comunisti e per gli eredi di quei sistemi che da poco sono stati buttati a mare. In Europa e negli Stati Uniti il pessimismo sembra di destra soltanto perche' il potere politico e culturale da anni e' sostanzialmente di sinistra, " liberal", ma domani la valenza potrebbe cambiare. La costante del pessimismo tradotto in politica non e' il voto conservatore o progressista, ma il voto anti-potere, anti establishment>. La conclusione ovvia e' che il successo elettorale nelle democrazie sviluppate sembra destinato ad arridere a coloro che meglio sanno farsi produttori e distributori di sogni, ai politici che danno l'impressione di essere riusciti a produrre e a imbottigliare l'elisir dell'ottimismo. E questo, ragiona lo studioso dell'ottimismo in politica, aiuta a spiegare le difficolta' e gli insuccessi delle sinistre in America e in Europa. I progressisti, i liberal, le sinistre in generale, si sono fatte derubare dell'<ottimismo> che un tempo era parte essenziale del loro appeal, del loro messaggio e sono in preda a un risentimento cupo e fallimentare contro la cattiveria degli altri, dei vincitori.
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