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Messaggi del 03/09/2010
Post n°4617 pubblicato il 03 Settembre 2010 da psicologiaforense
Il ritorno di Castro.
Post n°4616 pubblicato il 03 Settembre 2010 da psicologiaforense
LA RIFLESSIONE In un mondo dominato dalla cultura del pessimismo, si impedisce anche il "diritto alla felicità"
Può guarire malattie, ma non è un farmaco. Può fare miracoli, ma non è un dio. Può far prosperare nazioni e individui, ma non è danaro, nè petrolio. È invisibile, ma i suoi effetti sono ben evidenti nella storia e nella vita di tutti. Lo conosciamo benissimo, eppure chi non ce l'ha non sa dove andarlo a cercare. Se qualcuno riuscisse a produrlo e a imbottigliarlo, diverrebbe miliardario in una settimana. Ma non si può. Quando, come in questo momento della storia umana, esso scarseggia, si può soltanto rimpiangerlo e domandarsi dove sia finito, e quando tornerà, quell'impalpabile e indispensabile elemento della felicità umana chiamato “ottimismo”. Nel mondo, nel cuore degli individui, in molte società, oggi si registra una grave, debilitante carenza di “ottimismo”, forse più acuta della mancanza di cibo. Contrariamente allo scetticismo dei depressi, al cinismo degli esperti, l'ottimismo è una condizione indispensabile al successo e alla sopravvivenza delle persone come delle società umane. Si può scherzare sul “cuor contento”, si può fare ironia educativa sull'ingenua cicala che trascorre l'estate cantando mentre la formica pessimista immagazzina briciole, ma sono le cicale che fanno camminare la storia, non le formiche. I messaggi impliciti, quotidiani, che gli adulti trasmettono ai bambini sono messaggi di forte, quasi esclusivo segno pessimistico. Privare i bambini del loro naturale ottimismo è un attentato alla loro salute mentale, grave quanto sarebbe per la loro salute fisica privarli del latte o delle vitamine. Eppure è proprio quello che la imperante “cultura del pessimismo” sta facendo. Il mondo che noi adulti raccontiamo ai nostri figli attraverso il nostro comportamento e attraverso i mass media è un mondo popolato di nemici, di vittime, di rischi, di violentatori, di mostri pronti a divorarli dietro ogni angolo. Il naturale pessimismo delle madri, che vedono insidie ovunque contro le proprie creature, è divenuta ossessione collettiva. Il mondo intero è una madre che ci intima arcigna di “mettere la maglia di lana”. E in questa orgia di ipocondria (altro sinonimo di pessimismo) si dimentica l'ovvio: che l'umanità in generale non è mai stata tanto sana e longeva come in questo nuovo millennio. Quanto precede inevitabilmente non può non concludersi con un paradosso ovvero che per uscire dal ciclo del pessimismo non c'è altra via che quella di sforzarsi di essere ottimisti, come il malato deve essere convinto di poter guarire, per guarire, e il prigioniero di essere un giorno liberato, per poter sopravvivere alla prigionia. Una conclusione ovvia, ma sulla quale sono pessimista.
Post n°4615 pubblicato il 03 Settembre 2010 da psicologiaforense
TESTI&PRETESTI NEGRITUDINE. UNA PAROLA PERDUTA?
Coniata a Parigi all'inizio degli Anni Trenta la parola “NEGRITUDINE” ha avuto una lunga e contrastata fortuna. Più che l'emblema di un movimento organizzato è stata, per un certo tempo almeno e nella sola area della francofonia, la parola d'ordine di tante e spesso contrastanti forme di orgogliosa assunzione, difesa e illustrazione della condizione di negro. La stessa presa di coscienza “È bello, buono e legittimo essere negro” ha ispirato a Senghor una sorta di concezione metafisica della negritudine e una teoria della ripartizione degli atteggiamenti psichici (“L'emozione è negra, come la ragione è ellenica”) che presentava ogni contrapposizione come il presupposto di una armonica composizione. In chiave marxista, Jean-Paul Sartre ha visto invece la negritudine come antagonismo alla cultura bianca e vi ha individuato una carica esplosiva di razzismo antirazzista che si sarebbe sublimata solo con la dittatura del proletariato. Col tempo - e col mutare delle realtà nazionali e sociali del continente africano - la nozione ha perduto le sue implicazioni politiche. Da qualche decennio appare priva di attualità e ha finito per assumere un blando e generico valore di identificazione culturale. Ha pochi attivi propugnatori e, quel ch'è più significativo, quasi più nessun detrattore. E la battuta con cui l'ha liquidata il Premio Nobel nigeriano Wole Soyinka - “La tigre non proclama la sua tigritudine, salta sulla sua preda”- sembra quasi un epitaffio.
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Inviato da: Nuvola_vola
il 09/01/2019 alle 19:15
Inviato da: moltiplicazeri
il 16/12/2018 alle 17:51
Inviato da: monellaccio19
il 01/11/2018 alle 07:57
Inviato da: Brillante.Nero
il 06/09/2018 alle 23:51
Inviato da: casadei.lisetta
il 24/04/2018 alle 10:49