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Messaggi del 27/05/2013

 

NELLA MENTE DEL MOSTRO BAMBINO, IL RIFLESSO DEL LUPO, L'INNOCENZA FEROCE DEL KILLER, ALTRO SANGUE, FIGLIO MIO ASSASSINO

Post n°7440 pubblicato il 27 Maggio 2013 da psicologiaforense

Posso permettere a mio figlio di essere in tutto e per tutto come gli altri? Che cosa fare quando scambia il look per una "maschera" che lo mimetizza in mezzo agli altri? Come comportarsi quando i figli "credono" più al virtuale che al reale? E proprio vero che oggi bisogna lasciar liberi i figli di fare sesso, accettando il tabù culturale di restare in silenzio? Bisogna lasciarlo libero di esplorare e di sperimentare ......

 

GENITORI DEL SI'... GENITORI DEL NO


Molte vite distrutte in questa maledetta primavera. Quella di Fabiana, la ragazza di Corigliano Calabro colpita brutalmente a coltellate e, 2 ore dopo, arsa viva, a quindici anni, per vendetta e gelosia. Quella dell' adolescente, omicida implacabile, che le ha così atrocemente tolto la vita. E tante altre famiglie distrutte.... Che effetto fa - si domanda oggi la mia Amica Alessandra Graziottin- avere un figlio che uccide in modo così devastante? Ci sono denominatori comuni, in quest’aggressività violenta, armata e assassina contro le donne? E più in generale, nel crescendo di violenza fisica e di indifferenza morale che caratterizza molti comportamenti dei giovani? Il primo denominatore è la carenza educativa a controllare gli impulsi. Molti studi scientifici confermano che negli ultimi decenni la progressiva latitanza educativa, dei genitori prima, e poi della scuola, ha rallentato in modo evidente la capacità di controllare l’impulsività. Non è solo una questione "psicologica". C’è evidenza neurobiologica di un rallentamento della maturazione del lobo frontale che ha come compito principe proprio l’acquisizione di redini emotive e comportamentali molto salde per evitare che i pensieri omicidi – che tutti possiamo avere, in un momento di collera o rabbia - diventino azioni omicide crudeli e irrimediabili. Perché c’è questo rallentamento? Perché non sappiamo più dare le regole di comportamento ai nostri bambini, fin da piccolissimi. Perché non riusciamo a dire dei "no" motivati, fermi, autorevoli. E non negoziabili con i capricci o le urla. Ogni "no" che il bambino accetta, rispetta e interiorizza, "allena" all’autocontrolllo non solo dal punto di vista psicologico: crea le basi neurobiologiche perché il controllo sia efficace. Invece ci siamo dimenticati quello che ci insegnavano da piccoli: "L’erba voglio non esiste nemmeno nel giardino del re". Sedotti dalla cultura del piacere, vogliamo dimenticare che esistono i doveri e pensiamo che i nostri figli possano vivere felici in quest’anarchia emozionale. Ci illudiamo che bambini e adolescenti cresciuti nel limbo di una capricciosità umorale e di una irresponsabilità illimitata, possano poi diventare magicamente adulti con la maturità anagrafica. Perché ci è ormai estraneo, dal punto di vista educativo, il concetto di "frustrazione ottimale": rispettare un no, adesso, per avere poi più soddisfazione e più piacere, dopo. Dal semplice "prima fai i compiti, poi andrai a giocare", a "prima aiuta a spreparare la tavola, poi userai il videogame" a più articolati impegni nel coltivare i talenti personali, prima di pensare solo a divertirsi. Basta guardarsi attorno: un numero crescente di adolescenti non vive e nemmeno si diverte: "ciondola". Bruciandosi l’oggi e il domani. Se poi l’adolescente appartiene al gruppo dei ragazzi più alla ricerca di emozioni e sensazioni forti, il rischio di un’impulsività e aggressività devastante diventa concreto fino ad avere esiti fatali. Purtroppo a queste tragedie non c’è rimedio. Dovrebbero tuttavia indurre i genitori a chiedersi: mio figlio/a sa rispettare le regole di buon comportamento sociale? Sa accettare e rispettare un "no" motivato? Sa mettersi nei panni degli altri, e sentire il dolore degli altri, a seconda dell’età? È egoista o empatico? Mi rispetta? Lo rispetto? Che linguaggio usa? E usiamo, in famiglia? Se in famiglia l’atmosfera, anche solo verbale, è aggressiva, violenta, prevaricatrice, l’alfabeto emotivo che si impara è quello. Se i genitori hanno fatto del figlio un tiranno, sappiano che non tollererà poi che nessun altro gli dica di no. E, ritenendosi arbitro del mondo e della vita, potrà uccidere spietatamente, con la stessa assaporata emozione con cui lo farebbe con il videogame. Saper dire di no ai figli (oltre che a se stessi), è parte integrante del saper essere genitori "sufficientemente buoni".

 
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PSICOLOGIA, DISTURBI PSICHICI, NEVROSI, ANSIA, DEPRESSIONE, QUESTA E' PROPRIO UNA BELLA PSICOTERAPIA (CHE IO NON SO FARE)

Post n°7439 pubblicato il 27 Maggio 2013 da psicologiaforense

La collega che cura le scimmie con tavolozza e pennelli Mariangela Ferrero, la psicoterapeuta torinese, al lavoro nel centro di recupero in Uganda : "Le aiuto a cancellare i loro traumi"

 VITA EMOTIVA DELLE SCIMMIE

La bravissima ANTONELLA MARIOTTI oggi, con la nota sensibilità che la contraddistingue,  richiama la nostra attenzione su una esperienza significativa e suggestiva  sulla cura dei nostri fratelli minori:   «Hanno ucciso mia madre. E l’hanno uccisa per prendere me». Michael aveva più o meno 10 anni, non molti per un gorilla, e quando ha capito che poteva comunicare con l’«Asl» (l’acronimo di American sign language, vale a dire la lingua dei segni) è andato dalla sua «terapeuta», l’ha presa per il camice e le ha raccontato il giorno del suo rapimento. «Continuo a sentire gli spari. Di notte vedo ancora tagliare la testa a mia madre».  Micheal è morto qualche anno fa. Ma ci sono tante altre scimmie antropomorfe con un passato di traumi e violenze che vengono assistite e accompagnate verso una nuova vita in libertà nel Centro di recupero «Ngamba Island Chimpanzee Sanctuary» in Uganda. Qui, per una parte dell’anno, lavora come «psicoterapeuta» anche Mariangela Ferrero, che per professione cura il disagio umano a Pinerolo, vicino a Torino, e che nel cuore dell’Africa segue i primati. Tanto da aver messo a punto il programma «Pme», «Picture making emotional enrichment». «Come per gli umani – racconta – la pittura aiuta i primati a recuperare un rapporto con gli altri simili della propria specie, tornando così a una nuova vita in libertà».  Proprio come noi umani tutte le scimmie antropomorfe sono in grado di dipingere, anche se non tutte sono «pittori». «Alcune però - spiega la psicoterapeuta - capiscono che il materiale che offriamo loro serve per dipingere e ne sono incuriosite. E, quando finiscono un lavoro, danno un titolo a quel particolare dipinto. Anche dopo anni lo ricordano e non ne cambiano il significato».  Se il rapporto dei primati con la pittura è noto, quello che Mariangela Ferrero porta avanti è l’uso della pittura per il recupero emotivo, come a volte accade per gli esseri umani. «Il “Pme” ha dato risultati molto interessanti, sia per quanto riguarda il miglioramento del benessere psico-relazionale - spiega - sia per la stessa produzione pittorica». Due sono le ragioni che hanno convinto la psicoterapeuta a portare avanti il progetto. «Una ha a che vedere con l’entusiasmo, l’altra con la speranza. Nel mio secondo giorno di lavoro a Ngamba Island, Pasa, una scimpanzè adulta molto gentile e paziente, dopo aver osservato la prima sessione del “Pme” in compagnia di una sua ”collega”, ha deciso di fermarsi nella struttura in muratura per trascorrere la notte, rifiutandosi di tornare come sempre nella foresta. Si è opposta a ogni tentativo di farla uscire. Poi, quando il personale ha desistito, Pasa mi ha chiamato, facendomi capire che voleva dipingere».  C’è anche il caso di Medina: «È un piccolo scimpanzè di cinque anni, dolce e timida, che era spesso ripiegata su di sé nella quotidianità del gruppo e in difficoltà a manifestare i propri bisogni, a chiedere attenzioni su di sé e a partecipare ai giochi delle coetanee. Anzi. Era sempre preoccupata e proteggeva il proprio cibo. Medina, però, ha un particolare talento, tanto che utilizza tecniche complesse nella sperimentazione pittorica». Nel medesimo quadro usa infatti sia i pastelli a cera che le tempere. Inoltre piega e accartoccia il dipinto per ottenere un’opera tridimensionale «Alla fine - racconta Mariangela Ferrero - si sofferma ad osservare il risultato. È la migliore pittrice tra i partecipanti al “Pme”. La pittura le ha permesso di superare i traumi dell’infanzia, e ora ha un rapporto migliore con tutti gli altri scimpanzè».  

Il progetto «Pme», però, ora rischia di fermarsi: «Abbiamo bisogno di fondi per proseguire. Io lavoro gratis ma servono strutture e materiali. La salute psichica degli animali è importante quanto quella fisica. Esattamente come accade per gli umani».  

 
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