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Un'infiltrata in Diwaniya

Post n°88 pubblicato il 28 Febbraio 2009 da italianinq8
 

 

"... A nulla era servito l'intervento di una rivista prestigiosa, nè quello dell'ambasciata che sin dall'inizio mi aveva avvertita "Lei è donna, non riuscirà mai a entrare in un posto del genere". Decido quindi la via diretta : andare in Kuwait senza raccomandazioni ed appuntamenti. E tentare. Obiettivo : un diwaniya. Tutti gli uomini in Kuwait appartengono a una diwaniya o possiedono la loro. La parola deriva  deriva da diwan, la sala dove l'Emiro incontrava i sudditi, ascoltava i loro problemi e si consultava coi membri della comunità. Ora la diwaniya è un luogo di ritrovo per uomini dove si discute di attualità, politica, economia. E' anche  un modo per rimanere in contatto con gli amici, consolidare le relazioni in un mondo che corre. in sostanza la diwaniya è un barometro dell'opinione pubblica, un'istituzione unica che attraversa  i secoli della storia del Kuwait. vivendo nell'emirato ho dovuto imparare che qui i due universi, femminile e maschile, sono davvero distinti e di rado vengono in contatto. Così esistono diwaniya per uomini e diwaniya per donne. E nessuna donna è di solito ammessa a una diwaniya maschile. Ma anche viceversa. Prima domanda : dove sono le diwaniya ? Pare siano salotti di vecchie case, spesso disabitate, che appartengono da generazioni alla stessa famiglia, in cui il "capo" invita gli amici a un ritrovo settimanale, di solito il venerdì mattina dopo la preghiera. Provo nella zona del vecchio porto, l'unica di Kuwait City dove ancora si trovano case tradizionali : le altre sono state abbattute per far spazio ai grattacieli. Villette bianche e quadrate adornano i vicoli stretti del centro storico. Le esamino tutte : sono chiuse dall'esterno da grossi catenacci. Sul punto di abbandonare l'impresa, vedo una casetta, di fronte al sito dei pescatori, il cui cancello è socchiuso..Entro in un piccolo cortile dipinto di bianco.Sembra deserto. A sinistra una scala porta sul tetto, da cui si vede la distesa di campi vuoti e le decine di gru che serviranno forse a costruire grattacieli.... torno in cortile e da una porticina di legno appare un uomo con in mano un vassoio di bicchieri e caraffe.Mi fa un rapido saluto e sparisce  di nuovo dietro un'altra porta. Lo seguo, sperando che mi possa dare qualche informazione. Non parla inglese.Sfodero il mio arabo approssimativo "Dove posso trovare una diwaniya ?".Silenzio: Poi con un gesto della mano, mi invita a seguirlo... attraversiamo una stanza vuota, poi entriamo in un'altra, più grande.L'uomo si sposta dalla mia visuale e sempre imperturbabile, dice : "Benvenuta in una diwaniya!". La stanza è rettangolare, bordata di panche di legno arredate con grandi cuscini, al centro qualche tavolino, sui muri quadri che rappresentano studi di navi e barche. Davanti a me sono seduti una ventina di uomini, tutti vestiti in dishdash, l'abito lungo, solitamente bianco, che conferisce agli uomini del Golfo un'imponente autorevolezza.

 foto di Celia Peterson

Tutti mi squadrano: Non so se sono ben accetta, se sarò invitata a rimanere o se mi verrà concessa solo una rapida occhiata. poi uno di loro si alza, mi viene incontro con un sorriso, posa la mano sul cuore, come è tradizione nei paesi musulmani, e in inglese impeccabile mi rassicura. "Benvenuta a casa mia, si sieda pure con noi". Subito sono sommersa da attenzioni.Prima il tè, poi il caffè arabo leggermente speziato,servito in piccole tazze da una caraffa dorata dal lungo becco. Il rito dura almeno mezz'ora, nel silenzio generale: nessuno mi rivolge la parola, ognuno è impegnato a bere e a mangiare. Nuovi arrivi, altri invitati raggiungono la stanza, prima rivolgendo uno sguardo sorpreso alla donna seduta sul divano, la macchina fotografica posata accanto, poi lasciando fluttuare le dishdash. Fanno il giro dei saluti,rompono il silenzio... Rivolta a ogni amico la dovuta attenzione, le domande su famiglia ed affari, i nuovi arrivati prendono posto sul divano lasciandosi servire.

 Inizio a sentirmi a mio agio in questo ambiente maschile, dove tutti appartengono più o meno alla stessa generazione: solo uno, decisamente più anziano, incute rispetto e riceve particolari attenzioni. L'età media è sui 50 anni, sono probabilmente amici di lunga data, la familiarità dei rapporti è evidente. .. A poco a poco vengo a sapere che  tutti sono figli di pescatori di perle, o figli di beduini i cui padri si procurava il cibo cacciando con il falco. Sembra leggenda ma fino a pochi decenni fa qui era l'unica realtà. Sono tutti uomini d'affari, piuttosto benestanti, bancari, avvocati e imprenditori, fieri del loro successo e nel contempo nostalgici delle loro radici beduine. Il "capo" mi spiega che i quadri di navi attaccati alle pareti sono stati disegnati da suo nonno, grande appassionato. Prima le disegnava e poi le costruiva seguendo la sua creatività..il "capo" mi invita ad avvicinarmi per presentarmi il più anziano del gruppo.. descritto cone uno dei maggiori storici del paese, ha un bel viso fiero, le sopracciglia aggrottate.. "Posso farle un ritratto?" Non dice nulla, non sorride ma acconsente, con un lieve gesto del capo.E' fatta,.. li fotografo tutti. Finchè si alza lo storico e allora a uno a uno, in segno di rispetto si alzano anche tutti gli altri, e viene scortato, dai suoi vicini e dal "capo" alla porta d'entrata, dove tutti prendono commiato da lui.Partito lo storico, capisco che è giunta l'ora anche per me di togliere il disturbo : nessuno mi invita ad andarmene, ma gli sguardi, le attenzioni si sono modificati.Ringrazio il "capo" per la sua ospitalità.. Non faccio giri di saluti, so che in questo ambiente alcuni uomini non gradiscono stringere la mano di una donna e preferisco evitare eventuali imbarazzi.Un saluto generale e mi addentro nelle viuzze della città, sorridendo al ricordo di quest'avventura"

                                          da "Un 'aliena tra gli emiri" d Matilde Gattoni

quadro di Bader al Qttmi

 

 

 
 
 
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