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Post n°21 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
da CAMERA OSCURA
* (Nell’abito di organza traforato, sta in posa su di un piccolo divano. Un braccio è abbandonato sul punto di cadere. Sostiene il mento con la mano. Sotto la frangia, fissa in lontananza gli occhi neri.)
Presto invecchiata dal mestiere, sulla sedia in ombra nella stanza, tenendo tutto il giorno il suo cappello, cantava piano, senza più sapere cosa, lo stesso ritornello: "il falchetto cacciavento piomba a terra in un momento". Astro, folgore, cometa, freccia d’argento. Anche la traccia luminosa... è tutto spento.
* (Il bambino appoggiato alle ginocchia di suo padre, che muove intento la manopola e muto addita. Con la madre che guarda, rapita e tesa sulla radio. Nel cerchio d’oro del salotto.)
Si può dire ch’io sia nato e poi cresciuto, via via allevato all’ombra del decoro. Disposto a ringraziare del poco ma sicuro, contento ma non troppo. Propenso eppure ostile a ogni rivolta, portato a coniugare in assoluto rifiuto e senso del rispetto. Oh, il riflesso amato, dall’orlo già mai netto, cola in eccesso... la cima dell’abbaglio sull’oggetto.
* (Io, di sei anni, credo. Distratto, ma non troppo, dal gioco al tavolino con i tasselli dell’alfabetario. Nonostante lo stato precario della sedia, immerso lì lo stesso a combinare incroci sul quadrante.)
La parola, per me, veniva da distante. Un a priori, quasi, l’avvertivo. Un eccitante. In un processo in qualche modo inverso. Nel darle per riscontro una realtà che invece, più toccata e presa, più sfuggiva inconsistente ai cinque sensi. Con l’effetto di essere lanciata contro un corpo pronunciato e, nel suo dirlo, di colpo riafferrato. |
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