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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA

Post n°22 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

*

(Sul lungomare

in piena estate.

Lo chemisier

frizzante e

una borsetta bianca.

Si gira e parla.

La guardo che

mi guarda,

ed è beata.)

 

Mia madre, amata

e, per amarla,

tenuta più lontano.

Taciuta e distaccata

in ogni piano,

sentita straripante

e spesa a rate.

Rivista a tappe

da una mia vita

autonoma e distante.

Legata al morso

dell’attesa,

senza presa tra

noi, di un discorso.

L’altro capo

del filo che mi tira,

la forza di un percorso

senza uscita.

 

 

*

(Ho una maglietta

larga, che copre

gli altri panni.

I sandali di cuoio.

Tenuto per la mano

alla ringhiera,

dal ponte fisso il mare

e una barca che

passa lì di fronte.

Ho sette anni.)

 

Eccola,

sciolta al vento

la vela dell’infanzia

all’orizzonte.

Si impenna a tratti incerta

riprende la sua fuga

più lontano.

Scolpita sembrava

la mia rotta

e indubitabile, in

qualche modo aperta.

Sogni, progetti e piani

tutti, i più strani,

veloci e via guizzanti

sopra i flutti.

Se guardo indietro, ora,

mi vedo un po’ annegato

dal vuoto che, come

un vetro, si è posto

tra il me di adesso e

quello più discosto.

Per quanto rivelato

in molti luoghi e

aspetti, tanto

più nascosto.

 

 

*

(Di me, che vengo

a me più grande

e più lontano,

l’immagine che

avanza dallo specchio

di un vecchio armadio,

nell’anta che si

apre piano piano.

Con una mano tesa

a fare, forse, da

difesa e, l’altra,

stretta alla maglietta

nell’atto emerso

di coprirci il viso.)

 

E’ che restavo

ignoto, nel complesso,

nel senso del ritratto

e del contorno

che si era lì riflesso.

Distratto per l’inverso

da me stesso

nel mio apparirmi

di colpo più preciso,

perso nel chiuso

nei punti dell’oggetto.

E, oggi, ancora

cogliendomi diviso

da quello che mi penso

non mi vedo,

né giovane né vecchio

non so se bello o brutto.

Mi avverto come ingombro

oppure mi scompaio

quasi del tutto.

 

 

Garzanti Editore, 1992 (3° ed. 1996)

 

 

 

 

da PICCOLA COLAZIONE

 

 

MALARIA

"Qual è più caro, il nome o il corpo?"

Lao-tzu

"Il più alto grado di presenza è l’assenza."

Walter Benjamin

 

 

"Troppo comodo

fare quello che piace

e che si vuole".

 

La scatola di latta

è tonda e ruota,

una parte sull’altra.

Si può odorarla, vuota,

e leccarla, quando

la liquerizia è terminata.

 

mela arancia susina

mela arancia susina

 

...da dove saltano

fuori, i sogni,

vesti e contorni

al mostro, alla pazzia:

frullati, puzzle con

i tasselli fuori posto,

come uccelli colorati

o pipistrelli

staccatisi di colpo

dall’albero blu inchiostro.

 

"Dev’essere un accordo

dei grandi,

per dispetto o gelosia".

 

Sulla torre del castello

inespugnabile, sicura

da cui si tiene il resto

sotto mira. Un regno

piccolo ma certo, per

il tempo almeno in cui

la porta è chiusa a chiave.

 

(Scruta, salito

sul bordo della vasca

in bilico, svestito,

indaga sullo specchio

la forma o una ragione

di tanto desiderio.)

 

pesa il passo e posa piano

lancia il sasso con la mano

ferma adesso o vai lontano

 

"Mia madre dice che

posso togliermi tutto".

"La mia, non più dei

pantaloni e della maglia".

 

(Vedersi, essere

visto. Metterlo a nudo.

Tenerlo, se deve essere

tenuto. Ma gli pare

che si debba cercare

qualche altra cosa...)

 

Rosso. Di febbre, di

sangue. Dentro al fuoco.

Di unghie e labbra.

Di gente senzadio.

Di cappe, di bandiere.

 

Nel sommergibile, "Io",

in rotta per i mari.

"Tutti sottocoperta,

chiudere i boccaporti.

Immersione rapida".

Lo spazio circoscritto

la sacca degli odori

l’ombra del letto.

 

"... cuore, desco, nido

gnomo, soma, tetto".

 

Ancora. Esatta

la secca tiritera

parola per parola.

Specchio, ritratto

analogia, prova

che c’è, sotto, la cosa:

quel che sempre sarà

e sempre è stato,

non dovunque e

come sia. Dettato.

 

... sul Libro dei

Libri Famosi,

nell’enciclopedia.

 

"... ha i colori

del fuoco, della neve

e del prato".

 

"Dai, paga il pegno.

Dire, fare, baciare,

lettera o testamento?"

 

(Non è che smetta

anzi, a rifarlo, gli

sembra anche più bello.

Però ha il dubbio

che se resta magro

è proprio per quello.)

 

"Più vai veloce e

più, vedrai, ti piace".

 

... che una parola

abbia un sesso e una

persona (maschile se

finisce in a!). Ma

incomprensibile di più

lo stato di mancanza

di assenza, insomma

la parvenza negata

in un concetto neppure

rifiutato, inconcepibile,

del niente e lo stupore

a pronunciarlo.

 

"La sua, dov’è?

Da cosa è fatta?"

 

(A lui il gusto, solo,

di essere preso. E

il pensiero che è

ingiusto e svantaggioso,

e non tanto per lei

in fondo, se non ce l’ha.)

 

"Lo imparerai, quando

sarai più grande".

 

Visto in segreto e detto

al chiuso, in ombra

bisbigli, incerti

i margini, mai esatti

indizi di segnali

colti, strappati

in fretta e furia

a sillabe, per paura

di essere scoperti

prima di scoprire

centimetri quadrati

di anfratti, di peluria.

 

una rana nera e rara

sulla rena errò una sera

 

Paura che un vetro venga rotto

che il sale vada sparso

che si rovesci l’acqua mentre bolle

che una zingara entri in casa

che cada il fiasco d’olio

che si rovini la salute.

Paura di restare al buio

di trovare in casa un assassino

di cavarsi un occhio su una punta

di non essere promosso

di cadere in un burrone

di finire dentro a un lago

di annegare, di essere schiacciato.

 
 
 
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