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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO

Post n°118 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Mutamenti

Oggi sono quel che potrei essere,
un foglietto bianco
caduto per terra
nella sala d'attesa della stazione.
Quanto manca ?
la domanda è mutata in
Quanto ho fatto ?
Imito la clessidra,
so capovolgere dritto e rovescio,
vuoto e pieno,
bianco e nero,
perdo peso,
sono diventato più leggero.

 


Nevicata dal treno sulla pianura padana

 

Sotto la terra bianca come il cielo
c'è il mio pane della gratitudine
per la via percorsa, per i temuti pericoli,
le paure e le lunghe attese che svanirono
consumate tutte a poco a poco,
le carte del mazzo tenute nelle mani,
ormai già tutte in ordine sul tavolo,
una mano già nuda.
Quel paesaggio sono io,
assaporo la panoramica dall'alto
di me così piccolo diventato grande,
restano solo poche stazioni,
posso guardarmi attorno con calma,
perdere tempo, ne ho vissuto tanto,
a ripensare tutto quel bianco
che oggi mi abbacina gli occhi:
il mondo con la mia vita dentro
mi aspettava a occhi chiusi.
E chiudendoli così s'assapora
d'un nuovo amore il bacio,
da una bocca bella e tremante.

 


Ritorno al mare

 

Il tuo tempo è diventato
il va e vieni del prigioniero nella cella,
l'attesa del pendolare
che ogni giorno spia la fuga
nell'orologio grande
allo stesso marciapiede.
Ritorna sui numeri dei binari
un'antica matematica di arrivi e partenze,
è ancora un gioco
contare i minuti per le coincidenze,
da bambino sempre sognavi di fuggire
da Ferrara per tornare al mare.
Era la via della felicità
il viale della stazione.
Nato sull'acqua
oggi ti parrebbe di tornare laggiù
ma non sai se i ritardi
siano fame di arrivare
o paura di scoprire
che tutto quell'azzurro è evaporato
e il mare non c'è più.

 


Specchi e specchiere

 

Sempre mi tremano le mani
quando curo la barba allo specchio.
Non solo per la difficoltà di guardarmi
capovolto e spingere le forbici
a medicare il cedimento all'informe
oltre i luoghi possibili,
dove non sarò mai,
ma per il gesto che di nuovo mi tradirà,
perché la guancia che a destra m'appare
la ritroverò con la barba curata a sinistra.
Allo specchio non serve la memoria,
si cura di un altro volto
che non è più questo.
Il viso che fu amato per sempre una volta
lui lo sa, lui lo è,
e non lo rivelerà,
in ogni luogo della terra
porta male romperlo.
La sua strenue fedeltà prepara la mente
all'ultimo ritratto,
dolce vendetta delle specchiere
- avran mutato sesso intanto quegli specchi
per meglio amare il volto amato -

 

 


Vecchi e nuovi specchi

Specchi dove non mi stanco
di guardarmi sono
le stazioni di provincia,
i vagoni di seconda classe,
i vecchi che trascinano sporte a rotelle,
i depositi di biciclette incatenate a pali,
la gente che aspetta in coda un autobus
e intanto scruta lontano
e non vede nessuno arrivare.
Ma a volte mi sorprendo a guardarmi
in specchi diversi e più antichi
quando rileggo un verso
che mi folgorava trent'anni fa,
"Felicità raggiunta si cammina
per te sul fil di lama"…
Ecco, a cinquantasette anni
la vecchia voglia d'incanto mi riprende
di chiamare e dirteli quei versi
che mi fanno ancora tremare,
ma sarebbe lo stesso errore
anche con te,
non aver ancora imparato
che fugge la gioia dal tuo nome
e non si cattura la tua ombra.

 


Vecchio Dio

Dio, oggi non ho nessuna voglia
di sentirti scorrere nel sangue,
e faccio di tutto per non sentire
come pulsi alle orecchie,
vecchio sangue del mio Dio che s'attempa,
e si fa sempre più stanco e lento
finché un giorno cadremo insieme.
Levarsi la mattina e levarti con me,
accudirti, rivestirti, profumarti,
questi gesti di antica confidenza
di carcerati in così poco spazio,
lisi come abiti, frusti come parole
d'auguri ai compleanni,
le stesse che useremo capovolte
come stoffe per condoglianze,
che fatica si fa a tenerti in piedi,
mio vecchio Dio incolpevole, viziato,
capriccioso, sempre più sordo,
che non s'accorge di ripetersi
o forse finge e a volte riesce
a farsi credere unico e fedele,
deciso a restarmi accanto
per amore solo per amore,
e non perché non sa dove andare.
Ma intanto mi lasci qui a ricordare
il giovane Dio che eri,
che non aveva caldo né sete
e pattinava leggero sul ghiaccio
del Nulla cantando senz'ombra,
senza colpe da temere,
né premi da attendere,
il bel niente che eri
senza eco di me,
immune da questa leucemia
dell'eternità che mi beve il sangue.
Sei la mia subdola malattia, Dio mio,
febbre e nebbia che sale
dall'argine consumato del mio tempo.

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