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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO

Post n°140 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

 

Corporale

 

 

Serpentelli, le radici

si smentiscono

(nostr’albero, nostr’albero);

coni d’ombra del petto

gentili tanto e onesti

e un meglio non osare.

Dondolanti a lungo

i desideri mentre

le stanti mummie corporali

medioevalissime osservanti

s’instiliscono.

Ah se non fosse per ieri

se non fosse.

 

 

Testi in rivista e inediti

 

 

 

 

 

 

 

Come una lente

 

 

si freme o traballa secondo

i passanti, il vetro nei bordi

abusati del stipite in legno

alla fiacca finestra sul viale

per timpano o un nervo civile

che sguarda il quanto si muove

di fuori; era un velo di sabbia

sottratta dal mare, manufatto

traspare. ed ora in rettangolo

è lente interposta, oculare

e ribalta il mondo da fuori

in mia stanza, e ‘sì vivo io

capovolto, diverso dal resto che campa

ben dritto nel tempo che avanza

 

Il barbone

 

 

il cielo suo prezioso senza lune

si regge sugli asfalti intersecanti

intanando nei marsupi sotto i ponti

quasi in un volo in debito di ali

dove s’indugia il barbone deragliando

in contralto a chi ha stampato questi spalti

e regio, mai credendo gli altri tali

è perlustrante fra bucce promettenti,

la spersa spazzatura musicando

in suffragio di chi l’ha cresciuta tanta:

di noia ai consanguinei di sua piazza

comico è agli altri scrutanti d’altra razza.

Muti

 

con la coltella un po’ piegata a un lato

gli raspa contro come a spalar neve

per erpicare le iridate squame

che scrostano collose via schizzando,

e il corpo a fuso, reso sanguinoso

si escoria adatto alla farina e al fritto;

diverso allo scuoiare del coniglio

che serba e mostra intatte le sue venerdì

poco sappiamo invece delle pene

che il primo è muto e l’altro fu colpito

e tacque pure il santo che finito

spellato fu da vivo e per la fede.

 

Il cucciolo

 

 

dimora alla mia vasca in provvisorio

un cucciolino che m’assegna il caso,

dispostagli con dentro altri conforti.

è lì che non è facile ‘l governo

del lumicino d’acqua che zampilla

e compensarla a quanta se n’evacua

e al fondo è come quasi sabbia e mare

per i suoi nuoti e trotti profluvianti

ma se si varia un poco il fiotto fioco

per mia l’assenza, cura ed imprevisto

secca la bestia e all’occhio dà disgusto

o gonfia d’acqua si dondola consunta.

 

Il saluto

 

 

se col saluto lascio,

andando, qualcheduno,

in profilo mi rivolgo

lontanando, mal sorvegliando

il passo verso avanti come pure

chi alle spalle mi si esclude;

partenza e meta, scontentando

intralcio nel percorso cui m’inoltro

e ignoro s’io consoli che ritorno,

col tentennante piede nel frattanto,

o tema non si muova a me

un rimpianto.

 

La storia

 

 

s’infradicia e farcisce d’acqua fredda

nella fontana quasi ad affondare

un quotidiano piegato e senza scampo.

vi smunta lenta una grazia che sul set,

la faccia blu di chi che oggi conta

scompaginano cifre della borsa.

il nome invece d’altro che è in disgrazia

la lente d’acqua ancora più ingrandisce,

la pianta secca al bordo non stormisce

sporge la luna in presso a un pesce e a un sasso.

 

Sociale

 

 

dei mici, come a un nido d’avvoltoi

sanguisugano un avanzo sgocciolato

da un sacco fatto in plastica riempito

trasparente le sue merci confluenti.

Prossimo un bastardo coi canini

infierisce con digrigno sull’involto

nel cui dentro fra le melme alimentari

vi conquista quatto un ratto i propri averi

e a che un miagolo non desti un ringhio avverso

non squittisce compiacendosi fra sé.

Il violino

 

 

la coda d’un cavallo messa in arco

tortura col solletico budella

ritolte e torcigliate d’altra bestia

sul cavo fatto in cuoia d’una pianta

cui forma sono i fianchi di una donna;

come segando ma non resti danno

disquama l’aria intorno che lamenta

e il dolorare suo, slanciato in eco,

per quello d’altri, se mano è quella accorta,

ottiene d’essergli felice lenimento,

le corde mentre al meglio le tormenta.

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