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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO

Post n°141 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

 

Graminacea

 

 

la pianticella di graminacea,

tolta la spiga e il piede, era una canna

sottile in cui soffiava un filo d’aria

e consumato questo uguale gioco

coglieva una libellula alla coda

ed ascoltatala a lungo ventilare

strettala appena fra i due polpastrelli

con l’erba l’impalava saraceno

e soddisfatto la guardava disperare

nel farsi largo con un volo fermo

delle alucce che approdavano alla morte,

come aquilone piccino e senza costo

del meschino compiaciuto a quella sorte.

Suicidio

 

 

si è disseminato come in braci

di colori d’un fuoco d’artificio

che a notte fanno a gara con le stelle,

coriandoli che pulsano di carne

sui binari luccicanti come denti.

il convoglio pare in colpa non procede

con chi dorme fra chi viaggia in ritardo

e l’intesa di due amanti nel momento

e i brandelli già per cibo nelle tane

ma qualcuno s’incantuccia in nostalgia

di sua casa spenta a fine trasmissione.

 

Il tarlo

 

 

non ho mai visto un tarlo dritto in faccia

né altro so su la sua complessione

che spieghi come in così scarso corpo

sia un tale accumulare dallo scavo

e a notte lo si ode mentre rode;

basta una tosse o un lume ad impietrirlo

e garantito subito riprende

nei fori di perfetta geometria.

ferisce e dunque c’è ma non si espone

come anche accade nell’economia,

e tiranneggia il noce pur tenace

se i muscoli dei rami non gli oppone:

si espande e noi confusi in dove stia

 

Il brodo

 

 

le recise zampe di gallina

che azionavo con un tendine sfilato

e gli artigli si chiudevano al comando

come gialle ruspe per la neve

o un transito di qualche dinosauro;

pari esito lo dava solo il becco

che aprivo per un ululo al pollaio,

di rito era dopo la cottura

succhiarle il teschio e roderle le dita

adesso che è mutato il tempo e il ceto

si cuoce solamente l’uovo sodo

il brodo mi obbedisce con un dado.

 

Angelico

 

 

quello che sta in caduta a più volteggi

in un nuotare svelto verticale

da verso il miscelare delle nubi

a in fondo nel dominio catastale,

è un muratore che ha svariato il passo

rispetto a quello delle travi in cielo

non ha il riflesso che possiede il gatto

che da ogni dove atterra sulle zampe

e senza dare sfogo al miagolare,

lui invece è anche maldestro nel finire

non sa neppure farlo silenzioso

si rompe e schizza intorno come un uovo

se l’ha, un ricordo, è dentro il massimale.

 

La bicicletta

 

 

e come si usa, a un certo punto della vita

ridurla quasi a un volto che le diamo

per scorgerla da fuori e compatirla

io, tralasciando quanto sia in natura,

ricorro a un alter ego manufatto

probabilmente ad una bicicletta

che certo non compete a le volate

neppure sta nel gruppo condiviso,

magari è dentro un vicolo sterrato

e quando il troppo adagio la barcolla

per non cadere dà una pedalata

un breve sbando e seguita la corsa,

l’arrivo si confonde alla sortita.

 

Le vittime

 

 

le dita che le offersero carezze

sul collo si disegnano marcate

a lei con i colori del commiato,

invece stringe il boa con le sue spire

finché il torace vittima è una noce

spegnendogli il respiro come brace

ma l’edera che sale sempreverde,

il tronco avvolge intorno e gli si addice

e succhia tribolando pian piano

lo fa morire stanco ma felice

 

Comunione

 

 

le dita bianco gracili converse

in un indocile pinnacolo di mani

che chiudono conchiglia a fare eco

di quanto la particola bisbigli,

col crepitare di pane che si porge

a bocche di sardonici o devote

e alcune si compungono saziate

ma altre malefiziano le gote.

 

Sotterrature

 

 

i cavi come in trecce di capelli

si danno alla corrente che li scorre

e frigge nel violarli incontrastata

e il lezzo del metano strangolato

si sfoga fuori dove brucia fiamma;

conducono in cemento invece il nero,

e pulsa al buio chiara l’acqua dentro

ai tubi e per l’arsura o che deterga

accanto a dei cunicoli infestanti.

li trancia mescolandoli una ruspa

o li calpesta ignaro chi per caso

è sopra poche spanne a questi intrighi

messi a dimora da dannati maghi,

storte interiora d’urbe senza cura.

 

 
 
 
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