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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO

Post n°142 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

 

Papaveri

 

dai campi di grano diserbati

i papaveri oracoli di rosso

forsennato e d’un soffio paurosi,

vederli folti e tanti ad insediarsi

fra pietre lungo della massicciata

e lo sterro rugginoso dei binari.

acquartierati profughi reclusi

reclamano per sé quella stesura;

è un treno che sentendosi colposo

a ipotesi che alcuni d’essi muoia

si stringe a lato in solo una rotaia

e fatto ciclo ciondola confuso.

 

Terragno

 

 

ho io vissuto, e d’altro non capace,

da quasi conficcato nel profilo

del suolo di rottami del creato

come sa masticando il mio percorso,

invece che dall’alto è più opportuno.

è vero ho rovinato tatto e vista,

paziente intanto addestra mio l’olfatto

che affonda giù all’imbasso periscopio,

di un po’ del suo sapere priva il ratto.

 

Paese

 

 

battevano alle liti delle sagre

i pugni con le nocche sulle facce

perché col santo viene un po’ d’inferno

che s’incantuccia a fianco dell’acqua santa.

al sud i visi erano tagliati

in simili evenienze d’occasioni,

in altro distanziare il mio paese

avendo modo di varcare il mare

recidono le gole e con l’onore

 

Specie

 

le oche scongelate poste a fianco

coi colli nudi e i becchi come astucci

quasi in preghiera rivolte per la sorte

prostrate ma il destino è già assegnato.

le guardano da fuori la vetrina

due cani che non sono alimentari

e quello che è metà dell’altra è un maschio

e cerca d’aggrapparsi o almeno prova,

lei gli conficca a sangue i denti ai fianchi

lui trova la sua pace nell’alcova.

 

L’impuro

 

 

scrollare penne secche

per scuotere l’impuro

o il pelo polveroso

madido di liquame.

come se il levigato della mano

sia da spulciare intanto lentamente;

centrifughi gli schizzi

dalle barbe e squame

ed epiteli laschi, peli di troppo

caduti e persistenti, melme sui denti mestrui

soffiando dagli anfratti

i resti ignominosi, le lacrime

bavose, perché graffiando forte un incerare

per un momento vero occhieggi il cielo raro.

 

La piuma

 

e tanto batter d’ali per un volo

lascia cadere una piuma disegnante

lungo l’aria il profilo che ha lui solo;

fiocco che varia e all’anima sollievo

se è di un cherubino la reliquia,

rabbrivida la luce a farsi gelo,

se anticipa un malocchio di malizia.

 

Rinfusa

 

ci sono nell’armadio sui ripiani

scarpe con deformati tacchi obliqui

e calze dai rammendi o i fori tondi,

pattine a cerchi come gli ombelichi

giornali a plichi e sparsi anche dei tappi;

come se queste fossero le armi

di guerre a torte in faccia e senza scuse,

e i feretri o i loro decimali

sono gli stessi arnesi della pugna

che al suono delle trombe giudiziali

risorgeranno un giorno coi beati.

 

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