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Post n°142 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Papaveri
dai campi di grano diserbati i papaveri oracoli di rosso forsennato e d’un soffio paurosi, vederli folti e tanti ad insediarsi fra pietre lungo della massicciata e lo sterro rugginoso dei binari. acquartierati profughi reclusi reclamano per sé quella stesura; è un treno che sentendosi colposo a ipotesi che alcuni d’essi muoia si stringe a lato in solo una rotaia e fatto ciclo ciondola confuso.
Terragno
ho io vissuto, e d’altro non capace, da quasi conficcato nel profilo del suolo di rottami del creato come sa masticando il mio percorso, invece che dall’alto è più opportuno. è vero ho rovinato tatto e vista, paziente intanto addestra mio l’olfatto che affonda giù all’imbasso periscopio, di un po’ del suo sapere priva il ratto.
Paese
battevano alle liti delle sagre i pugni con le nocche sulle facce perché col santo viene un po’ d’inferno che s’incantuccia a fianco dell’acqua santa. al sud i visi erano tagliati in simili evenienze d’occasioni, in altro distanziare il mio paese avendo modo di varcare il mare recidono le gole e con l’onore
Specie
le oche scongelate poste a fianco coi colli nudi e i becchi come astucci quasi in preghiera rivolte per la sorte prostrate ma il destino è già assegnato. le guardano da fuori la vetrina due cani che non sono alimentari e quello che è metà dell’altra è un maschio e cerca d’aggrapparsi o almeno prova, lei gli conficca a sangue i denti ai fianchi lui trova la sua pace nell’alcova.
L’impuro
scrollare penne secche per scuotere l’impuro o il pelo polveroso madido di liquame. come se il levigato della mano sia da spulciare intanto lentamente; centrifughi gli schizzi dalle barbe e squame ed epiteli laschi, peli di troppo caduti e persistenti, melme sui denti mestrui soffiando dagli anfratti i resti ignominosi, le lacrime bavose, perché graffiando forte un incerare per un momento vero occhieggi il cielo raro.
La piuma
e tanto batter d’ali per un volo lascia cadere una piuma disegnante lungo l’aria il profilo che ha lui solo; fiocco che varia e all’anima sollievo se è di un cherubino la reliquia, rabbrivida la luce a farsi gelo, se anticipa un malocchio di malizia.
Rinfusa
ci sono nell’armadio sui ripiani scarpe con deformati tacchi obliqui e calze dai rammendi o i fori tondi, pattine a cerchi come gli ombelichi giornali a plichi e sparsi anche dei tappi; come se queste fossero le armi di guerre a torte in faccia e senza scuse, e i feretri o i loro decimali sono gli stessi arnesi della pugna che al suono delle trombe giudiziali risorgeranno un giorno coi beati.
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