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Post n°117 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
INEDITI A Fiore Non sono ancora arrivato
Oggi verrei a casa tua,
Ormai anche l'ala nord è finita,
L'eretico Non ero nato per vivere nell'ombra, |
Post n°116 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Brina Rocce e prati lucidi di brina vi brillano da questa strada serpentina che un’altra volta ripercorro; riattacco da in fondo a prendere passati gli anni, partite le persone; con questi che viaggiavano con me, dolci anche persone con le quali io meglio che potevo viaggiavo; e io solo questa volta in fondo al passo riprovo ancora e ci do l’attacco; com’era bello ancora fermarsi un po’ — qui — prima di riprendere la strada, entrare dentro, andare verso il banco in questo posto dove singoli isolati passano giorni inverni, forse tristi. E meglio ripartire né posso, però, scordare che viaggerà sempre con me questa parte anche di carne. Com’era bello qui fermarsi prendere il sole dai vetri dell’inverno; credere o fingere di credere che andava bene prima di risalire e di dar l’attacco al passo; come allora nonostante il tempo passato, come allora nella curva incontro la curva di un fiume che spumeggia e vedo ai bordi della strada gente che cammina o dentro il paese pensionati alla panchina o qualcuno che attraversa e va per una sua faccenda o altri che han fermato la macchina per strada. Erano speranze di cui rimane forse un filo in queste stanze.
Brani tratti da: "La colpa del fiorire", Archinto, 1998.
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Post n°115 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
aveva, guarda dove abitava Che fare? Non dovremo andare al nostro funerale? Non era facile con gli altri in queste uscite ma se gli altri ci vedevano ci perdevamo noi di vista Finalmente tornavamo a casa (ma eravamo in gita) Il cancello è quello, ma non era la nostra casa di cui però riconoscevamo l’albero di ciliegio piantato da mio padre (Fortuna che eravamo in due se no non ci avrebbero creduto) Però a volte si pensava era un po’ triste la vita senza saper dove si era si orecchiava dalla guida quando spiegava a un gruppo di stranieri sembrava di capire che eravamo sulla prima cinta delle mura (e quelle là più lontane erano di un’altra era)
Brani tratti da "L’estero più vicino", Archinto, 2002.
Poemetto Così è San Cristoforo protettore dei passi, malagevoli, fra i sassi difficili soccorre l’errore e lo sbaglio dell’andare pesante bagaglio, accendi i tuoi lumi, lancia i ponti sui fiumi sta vicino nell’incerto disagiato cammino aiuta tu, che sei saggio, a fare un ottimo viaggio. Così è per te, avvicinarti, anche un passo è difficile, quel passo che porta all’introito dei tuoi ambienti, per vedere se menti se le sementi del dialogo possono essere viatico a vivere con il tuo mondo lunatico oppure se è possibile mantenere il processo largo senza arrivare al varco. Cosa può pensare? Che si ravvia i capelli e che può essere amato con una carezza al costato, riverso sul letto può essere desiderato per il profumo che la testa spande sul guanciale, senza pensare al male che è stato fatto, per cui ravviarti, o sfiorarti è un misfatto. Ebbene camminando con l’andatura compita da giovinezza finita, sentendo un rumore ruvido sotto il piancito umido gli ricasca la struttura e il cordolo di contenimento e quel momento di certezza che aveva scambiato per uno stato, da cui aveva tratto l’ebrezza toccando il costato, di avere fermato... Eppure da uomo adulto, oramai posato, vicino all’accettazione del fato che scruta da pari a pari un ritratto o una fotografia di uno che spendendo una grande energia aveva lasciato, negli anni, una scia. Forse c’è stato, allora, il rimpianto per non avere mura menate cancellate, nemmeno prese e difese, come un fantasma aperto e come una serata diafana e pia la sua fisionomia; e il suo tentativo di trovare una spiegazione primordiale che ad un oggetto o ad un fatto gli desse il natale; per una macchia più scura che appare sulla carta, senza sapere se sia stata deteriorata, o la mano benintenzionata avesse calcato col grassetto a scopo di un recondito effetto; senza sapere se lo scialle rosso e decorato con un fiore spampanato quale storia poteva avere e che memoria gli poteva dare, che cosa voleva dire originale, il suo colore contadino, un fazzoletto che si metteva per la fiera era la spiegazione più banale oppure se un panneggio fosse consequenziale, se era una esercitazione di professione sopra un alfiere, se il pittore dopo quel fatto poteva cambiare mestiere; o nella carta topografica, sopra una tanica d’acqua e uno straccio, le mura disegnate recintavano l’energia per non farla uscir via, ed erano disposte a setaccio per i sentimenti stranieri. Questo è successo anche ieri, a lui gli ho aperto una porta disposto un ponte levatoio perché nel suo pensiero che è un filatoio tesse con trame spesse l’azione, lasciando sempre un altro capo per cominciare un altro disegno, per crearsi un altro regno; è ben diverso il suo ordito che, sbagliando, dà per finito; quando confronta il suo schema con il tema alieno deve pensare a come far quadrare le forme in mezzo allo scalpiccio di orme che gli altri hanno lasciato pestando il doloroso selciato. Ma deve pensare se gli ha aperto solo una porta, oppure gli ha diruto le mura, atterrata la rocca e il bastione, come un perfetto testone; gli ha consegnato l’incolumità e tutte quante le chiavi della città.
Riga di mezzeria Assisi religiosa e piovosa alla quale abbiamo accompagnato un amico, di domenica pomeriggio incontrando cattiva aria, su per il passo di Bocca Trabaria. Quando superi il passo, c’è tutto un tratto disabitato che ti fa chiedere se ci sarà di nuovo una fascia abitata, se si rivedrà delle case e delle contrade; poiché nel pomeriggio mentre la macchina cavalca la riga di mezzeria e ci porta davvero via dalla nostra casa, ma non ci porta via da una residenza interiore che senti rombare al suono del motore e quando vedi infine il recinto delle case e i campanili mentre cavalchi ancora l’autostrada cavalchi la superstrada e cerchi di risalire e di sfuggire alla frangia sfilacciata di confine di cui sei tu un minuscolo crine e cerchi con forza con speranza di tornare alla trama, con quella meccanica cavalcatura senza briglia senza zoccolare ma con un forte rombare senza guida ma con il volante con il quadrante, senza calpestio ma con un mortale stridio, senza il lanternino ma con i fari, senza spari del brigante di strada ma con i botti del tubo di scappamento e con il rancore dell’acqua bollente del radiatore che corrode e dà un doloroso bruciore e con il disamore che è la valvola finita da rifare, se tu vorrai ancora riamare. Cavalcatura, cavalcatura dura e morbida poltrona accessori aggiornati e sentimenti anche oramai di ricchi disperati, superando le macchine lungo la mezzeria --------------------------------- |
Post n°114 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Dialoghi con la madre Il fosso ha ricominciato a correre ce ne siamo accorti adesso che ci siamo avvicinati all’argine degli alberi e se non fosse che pensiamo di portare l’acqua nella casa non ci sarebbe altro che la gioia di un divenire che ricomincia dal principio. è sempre in questo modo il passeggiare con la madre, anzi non esiste questo lessico nel suo vocabolario, dobbiamo dirle "Arriviamo fin lì! " per passeggiare. E se per strada incontra un sorbo se vede un selvatico ciliegio, subito pensa di trapiantare i getti, oppure vuol raccoglier rosmarino che cresce contro i muri e le pietre dei fienili e che fa un profumo denso di resine che odorano d’incenso. La luce in quella valle dove scorre il fosso è già partita e invece venendo su per queste curve erte s’illumina la sera scendendo verso l’alto. Vedi le coste, non ravvicinate come al basso, ma nel susseguirsi di variate forme con il velo della luce, mentre dai raggi le nuvole passate colgono un leggero vento, da niente, della sera (e poi amo l’occidente). "Andiamo a vedere il pozzo!" Cos’è stata, sempre, l’acqua per noi, forse un luogo comune al quale abbiamo prestato la nostra fede intera, "non possiamo vivere senz’acqua" e allora guardiamo il pozzo aprendo un rustico sportello per vedere fin dove arriva sembra torbida e bassa, un po’ stasera e in quell’acqua nel fondo grigia dice che hanno visto un rospo che da anni s’è accasato e delle salamandre ci può essere una serpe spaventàti se beviamo o se usiamo acqua con a monte una bestia peggio di un lupo. "I tedeschi i tedeschi!" venivano su in questa pieve che era in vista dalla strada da dove passavano ritirandosi da Roma per il nord. C’è stato sempre un moto di gente anche per questi chiusi monti le parole che hanno lasciato di recente la più nota era raus! Che tradotta, forse, è il pussa via! che noi diciamo ai rognosi cani. "è caduto il governo." Una volta si credeva che immediato ci fosse anche per le nostre sorti un cambiamento, adesso stiamo li a prendere aria seduti nelle scale e sembra che queste notizie le ascese e le discese dei potenti siamo convinti che non cambieranno e le persone sempre ci saranno agili ad adeguarsi negli incroci con il talento dei periti leviatani. Ma anche andare dialogando con la madre per un prato che ancora cerca stecchi e bastoncini per fare le fascine è memore degli annosi freddi e davanti queste cataste il fuoco nelle case era un sole che faceva spesso un po’ di fumo e lasciava l’acre odore che la legna bagnata o verde fa friggendo nei camini e il freddo sbucava fuori con immediati agguati. Ma anche andare dialogando scioglie gli accumuli e le croste e vedendo gli animali pecore o cavalli che semplici seguono sperando in pochi acini d’avena ponendo le labbra nei palmi delle mani Passo io per delle zone che forse hanno sofferto senza saper per cosa hanno una specie di mal di denti se la terra fosse una bocca con le carie sembra che non vogliano intendere altro se non il proprio dolore come se fossero refrattarie per loro impossibilità a sentire a partecipare a cambiare hanno una specie — altre volte — di umore imbronciato in questo posto dove per sbaglio le case sono nate saranno stati degli addii con persone mai conosciute sarà stato il loro desiderio che si ricordassero di loro avendole appena o forse mai viste come poteva essere diversamente poco più in là delle terre contente con gli ulivi con gli occhi stupiti del mare voglio venire a star qua ma avrò il coraggio di restare o sarò come i pochi altri che vi hanno fatto delle case sembrano case nate in un posto sbagliato e dopo hanno lasciato come se non li avesse voluti questo pezzo di terra. Se una lettera scriverti dovessi in risposta alla tua che ho aspettato invano guardando dai forellini della cassetta della posta se un bianco amore traluceva da quei buchi di lamiera o se un’ala della busta usciva dalla fessura d’alluminio io non saprei che dirti da dove cominciare Cosa ti posso dire? Ah, riandare indietro fino alle prime righe: come sono strane queste porte con i vetri dentro i quali - facce dietro il video - si vede gente diversa da quella di anni indietro. Qual è il posto da dove escono chiare dalle labbra le parole non stregate o inquinate da sguardi o da rapidi gesti delle braccia o delle gambe; aspettiamo dei moti che producano lettere decenti; oppure aspettiamo anche silenzi che non siano come macerie dove il silenzio fuma tra la polvere; (ricevere lettere) forse perché quegli affetti lontani rimangono tali perché erano come un andare tra la folla senza impigliarsi come fa l’aria nei loro destini, o come fa l’acqua che corre senza fermarsi nei posti; forse è questa la ragione della felicità di una lettera era stata fluente come il suo passare per poche ore tra qui; ma se si fosse impigliata come una sciarpa tra le spine di un roveto, o le fosse venuto in mente di infognarsi in qualche gora Dovreste processarmi per questo fatto di amarvi perché siete passanti Ed io cosa rispondervi potrò già sentivo guardandovi negli occhi come era un destino l’infedeltà perché prendere tra noi confidenza, mi domandavo se farmi vedere interessato con questa materia destinata a rompersi presto, perché ne risultava un segno che lo faceva sembrare ipocritamente infrangibile E poi rispondervi. Inadeguato oramai per sedermi gustando la mensa, per rispondervi a tono l’opacità come un sasso amorfo starebbe nel torrente e voi sareste l’acqua per un momento ho solo le vostre rifrangenze, tale ricchezza evapora e s’asciuga rimane secco nel greto e sente l’acqua che gorgoglia molto lontana così il vostro parlottare acquatico per lettera all’imprezioso sasso L’estero più vicino E così un mattino, caro amico ci troviamo in gita in un’altra città; c’è il vento, guardiamo i campanelli sulle porte delle case; diciamo i nomi di questi uomini che corrispondono alle placche; ci diverte notare come son fatti i pulsanti per chiamare le persone; e leggiamo l’elenco telefonico: meraviglia, ci siamo! E ci sono alcuni che non ci sono; hanno i nomi di altri che abitano lontani; e gli altri hanno i nomi di loro che abitano vicino. Ma che importa? Giriamo per le strade e guardiamo i muri: siamo anche curiosi dei nomi dei morti stampati e pubblicati: e chi è questo qui che è morto? Senti che nome aveva, guarda dove abitava Che fare? Non dovremo andare al nostro funerale? Non era facile |
Post n°113 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
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Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36