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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO
Post n°115 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
aveva, guarda dove abitava Che fare? Non dovremo andare al nostro funerale? Non era facile con gli altri in queste uscite ma se gli altri ci vedevano ci perdevamo noi di vista Finalmente tornavamo a casa (ma eravamo in gita) Il cancello è quello, ma non era la nostra casa di cui però riconoscevamo l’albero di ciliegio piantato da mio padre (Fortuna che eravamo in due se no non ci avrebbero creduto) Però a volte si pensava era un po’ triste la vita senza saper dove si era si orecchiava dalla guida quando spiegava a un gruppo di stranieri sembrava di capire che eravamo sulla prima cinta delle mura (e quelle là più lontane erano di un’altra era)
Brani tratti da "L’estero più vicino", Archinto, 2002.
Poemetto Così è San Cristoforo protettore dei passi, malagevoli, fra i sassi difficili soccorre l’errore e lo sbaglio dell’andare pesante bagaglio, accendi i tuoi lumi, lancia i ponti sui fiumi sta vicino nell’incerto disagiato cammino aiuta tu, che sei saggio, a fare un ottimo viaggio. Così è per te, avvicinarti, anche un passo è difficile, quel passo che porta all’introito dei tuoi ambienti, per vedere se menti se le sementi del dialogo possono essere viatico a vivere con il tuo mondo lunatico oppure se è possibile mantenere il processo largo senza arrivare al varco. Cosa può pensare? Che si ravvia i capelli e che può essere amato con una carezza al costato, riverso sul letto può essere desiderato per il profumo che la testa spande sul guanciale, senza pensare al male che è stato fatto, per cui ravviarti, o sfiorarti è un misfatto. Ebbene camminando con l’andatura compita da giovinezza finita, sentendo un rumore ruvido sotto il piancito umido gli ricasca la struttura e il cordolo di contenimento e quel momento di certezza che aveva scambiato per uno stato, da cui aveva tratto l’ebrezza toccando il costato, di avere fermato... Eppure da uomo adulto, oramai posato, vicino all’accettazione del fato che scruta da pari a pari un ritratto o una fotografia di uno che spendendo una grande energia aveva lasciato, negli anni, una scia. Forse c’è stato, allora, il rimpianto per non avere mura menate cancellate, nemmeno prese e difese, come un fantasma aperto e come una serata diafana e pia la sua fisionomia; e il suo tentativo di trovare una spiegazione primordiale che ad un oggetto o ad un fatto gli desse il natale; per una macchia più scura che appare sulla carta, senza sapere se sia stata deteriorata, o la mano benintenzionata avesse calcato col grassetto a scopo di un recondito effetto; senza sapere se lo scialle rosso e decorato con un fiore spampanato quale storia poteva avere e che memoria gli poteva dare, che cosa voleva dire originale, il suo colore contadino, un fazzoletto che si metteva per la fiera era la spiegazione più banale oppure se un panneggio fosse consequenziale, se era una esercitazione di professione sopra un alfiere, se il pittore dopo quel fatto poteva cambiare mestiere; o nella carta topografica, sopra una tanica d’acqua e uno straccio, le mura disegnate recintavano l’energia per non farla uscir via, ed erano disposte a setaccio per i sentimenti stranieri. Questo è successo anche ieri, a lui gli ho aperto una porta disposto un ponte levatoio perché nel suo pensiero che è un filatoio tesse con trame spesse l’azione, lasciando sempre un altro capo per cominciare un altro disegno, per crearsi un altro regno; è ben diverso il suo ordito che, sbagliando, dà per finito; quando confronta il suo schema con il tema alieno deve pensare a come far quadrare le forme in mezzo allo scalpiccio di orme che gli altri hanno lasciato pestando il doloroso selciato. Ma deve pensare se gli ha aperto solo una porta, oppure gli ha diruto le mura, atterrata la rocca e il bastione, come un perfetto testone; gli ha consegnato l’incolumità e tutte quante le chiavi della città.
Riga di mezzeria Assisi religiosa e piovosa alla quale abbiamo accompagnato un amico, di domenica pomeriggio incontrando cattiva aria, su per il passo di Bocca Trabaria. Quando superi il passo, c’è tutto un tratto disabitato che ti fa chiedere se ci sarà di nuovo una fascia abitata, se si rivedrà delle case e delle contrade; poiché nel pomeriggio mentre la macchina cavalca la riga di mezzeria e ci porta davvero via dalla nostra casa, ma non ci porta via da una residenza interiore che senti rombare al suono del motore e quando vedi infine il recinto delle case e i campanili mentre cavalchi ancora l’autostrada cavalchi la superstrada e cerchi di risalire e di sfuggire alla frangia sfilacciata di confine di cui sei tu un minuscolo crine e cerchi con forza con speranza di tornare alla trama, con quella meccanica cavalcatura senza briglia senza zoccolare ma con un forte rombare senza guida ma con il volante con il quadrante, senza calpestio ma con un mortale stridio, senza il lanternino ma con i fari, senza spari del brigante di strada ma con i botti del tubo di scappamento e con il rancore dell’acqua bollente del radiatore che corrode e dà un doloroso bruciore e con il disamore che è la valvola finita da rifare, se tu vorrai ancora riamare. Cavalcatura, cavalcatura dura e morbida poltrona accessori aggiornati e sentimenti anche oramai di ricchi disperati, superando le macchine lungo la mezzeria --------------------------------- |
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36