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Post n°112 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Infanzia Forse fu solo sciatta, solo confusa (il paradiso prossimo-toccato nei gigli d'oro del parato azzurro; al di là della porta chiusa a chiave la strada buia e un passo affannato) forse là, in quella stanza, il tracciato-l'abbaglio e vale ancora se cerchi l'uscita dove t'attenda il gallo dei risvegli e una stagione tutta di mattini lievi sospesi chiari interminati. Forse già allora sapesti la pena (un angelo paziente vigilava contro quel buio, contro quell'affanno; se in quel recinto durava l'esilio partirne era la perdita, l'assenza) e seguiti ad andare in quella stanza e vi cerchi l'abbaglio e la paura la stagione che dura oltre le chiarità, oltre i mattini, e resisti e sei quello e questo ancora che si chiama-ti chiama fratello: come il tramonto all'aurora. Giovedì santo Divisa in due, avvolta dai lini in un cesto, la Vergine dell'Afflizione con il cuore d'argento esce una volta l'anno dalla stanza in penombra. In chiesa, ricomposta, a fianco del figlio piagato, dietro gli ori del grano fiorito nel buio, andrà per le vie fino alle rupi e al Calvario; dopo i petardi e le campane a distesa tornerà con la veste trapunta nell'armadio di noce. S'abbuiano i colli, fra i castagni e gli ulivi nel gregge ammassato il pastore cerca l'agnello, chiama, bestemmia, l'afferra - in quel belato il pianto estremo che non conosce il morire. Latrano i cani, poi l'usignuolo per gli orti scioglie il suo canto, lo svolge, lo lancia nel vento lieve che muove i gracili rami del melo piantato a novembre in un mattino piovoso. Il pero, il loto, il tiglio, l'ippocastano, appronta ciascuno a suo modo la fioritura (foglie si svolgono tenere come ferite nei verdi che variano dove il gelo riarse), cava la talpa i suoi ciechi percorsi scansando il pruno e il velenoso oleandro, il motore in salita segnala un ritorno nella casa di pietra con le serrande abbassate. Eccidi a Gaza, tregua di un giorno in Rhodesia, sparisce la nave stracolma di schiavi bambini, un uomo, occhi grigi e giacca a quadri, dice che ha scannato stanotte sua madre, nella galassia sfocata s'accende una stella - lesta si slarga nel telegiornale la mappa dove su Nord e Sud scurano nubi, i mari intorno sono un sobbalzo di accenti. Scende il Cristo straziato dentro gli inferni per riapparire, sabato a mezzanotte, biancovestito dietro il sipario viola. Tante e più volte anche tu sei disceso nei luoghi stretti presieduti dall'ansia sgomento ogni volta di non più ritornare all'orto da coltivare, alle stanze in penombra, sempre ogni volta tornando senza risposta. Orfeo salì spossato i cupi viadotti portando in petto il seme della sconfitta - ne venne al canto un intoppo, una sprezzatura: a cui s'accorda la voce breve e delusa di chi s'aggira in uno spazio inconcluso e vuole restarvi come se quello spazio fosse l'unico luogo dove gli è dato abitare, dove compie ognuno il suo oscuro percorso. |
Post n°111 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Il limite Starsene qui, nelle stagioni che mutano, è la norma comune: il dono estremo e l'uscita. A chi varcò la soglia non è dato tornare: solo forse nel sogno dice parole slegate troppo simili a queste dei nostri percorsi. E seguitiamo assorti, a volte sorpresi, ogni attesa è un gioco, ogni dubbio l'incaglio di una deriva, e diamo numeri ai giorni, piedi alle voglie, confini al vagare - sforniti di mappe, ignari del porto. L'isola A Procida quali silenzi fasciano ancora le vie che si stringono intorno agli orti e alle case. Stanotte il vento ha nettato il cielo e le isole, sul mare steso scivolano vele. In motoretta un ragazzo ebbro, assordato, da Chaiolella a Porto, da Faro alla reggia deserta, cerca uno sbocco alle sue voglie confuse. Certo in mezzo agli ulivi vigila un dio dietro i limoni e le palme, oltre i vigneti, se questo è il luogo dove torna chi parte, se dopo il crepuscolo Arturo ancora riappare perché questo è l'approdo, questa la meta dopo l'andare, dopo lo strenuo cercarsi. |
Post n°110 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Il limite Starsene qui, nelle stagioni che mutano, è la norma comune: il dono estremo e l'uscita. A chi varcò la soglia non è dato tornare: solo forse nel sogno dice parole slegate troppo simili a queste dei nostri percorsi. E seguitiamo assorti, a volte sorpresi, ogni attesa è un gioco, ogni dubbio l'incaglio di una deriva, e diamo numeri ai giorni, piedi alle voglie, confini al vagare - sforniti di mappe, ignari del
porto. |
Post n°109 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
da Simmetrie
L'idea di stare dentro un immenso vuoto, affardellati di niente, nel niente incespicando. * Cercarsi, nemmeno accostarsi. Domande. Mai chiuse risposte. Pure qui l'ora, il giorno. Quale voce accompagna ? quale mano conduce ? Un grumo ogni storia residua. * Desiderio è mancanza. Indifferenti stelle dentro abissi insondabili, sperse divinità in limbi senza nome. Altra la soglia, la stanza poco avanti lasciate, altro il momento, il percorso, lo sguardo sorpreso allo specchio. Non v'è ritorno, soltanto l'andare e l'addio.
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Post n°108 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
da Per altre misure
Un albero, per appoggiarvi la schiena. Stare là, senza pensieri, senza possessi. Il mondo davanti, dietro, intorno. Uguale al ramo, alla foglia. Che importa la tegola rotta, la stanza stretta? Restare fino a che è dato, senza orologio e senza calendario. Chi ha deciso questa inquietudine? Partire, tornare, tenere, trattenere, quando basta appoggiarsi a un albero. Invece, nella sazietà temere la fame, sospirare nella contentezza. Così, da per tutto. Non un attimo di sosta. Sempre una guerra, un contrasto. Profumi che divengono fetori, polpe che infradiciano, parole come baccelli svuotati. Una barca fragile su un mare senza fondo, l'ansimo nella corsa dell'atleta, l'urlo dopo il traguardo. Non sapeva e gli è toccato imparare. A che è valso ? Continua, come se non fosse avvertito. Si sveglia da sogni confusi, si dice che oggi capirà. Un istante e tutto si ripresenta, uguale a ieri e a ieri l'altro, lo stesso disagio, la medesima angoscia. Quando è cominciato tutto questo ? Non l'ha voluto, ma sta dentro questo recinto, e chiama e cerca mentre si processa e si specchia.Narciso, il deluso, muore per acqua. Si conosce nel fonte, si raggiunge negandosi. E Lui qui, nemmeno lacero, nemmeno affamato, chiede compagnia nell'errore, traversa luoghi che lo trattengono, insegue fantasmi, si chiama per riconoscersi. Come può difendere la casa, quando sa di averla eretta sul fango ? Come può vigilare sui figli, quando sa di essere lui stesso un figlio piccolo inerme? Forse altri verranno e la loro giornata sarà chiara e sicura come l'idea che lo annichilisce. Gli tocca solo questo: dopo essersi rivoltato nel vuoto, recuperare la voce perduta, tentare la presenza. Non più la salvezza e l'uscita. Solo un altro patto, una nuova misura. Per seguitare. Sono quel che fanno. Un rametto di basilico in un vaso d'argilla, tocca piantarlo, innaffiarlo. Il mondo non è un'idea se il nostro corpo ha fame e s'ammala, se respiriamo l'aria che andiamo impestando. Chi crede ancora all'anima vagante in un regno etereo ? Come se lei, l'anima, non la portasse ognuno nelle proprie carni, nella mente che dubita e decide, nei piedi che s'arrestano o procedono. Il seme spunta, s'inerpica, sboccia, matura, infradicia. Ma è corsa troppo a lungo dietro il suo desiderio, non s'è più ritrovata. Forse le tocca tornare là di dove era partita. Anche Lui voleva una storia diversa. Con il risultato che s'è trovato davanti altre mura da abbattere e, dietro quelle mura, da lottare contro gli stessi mostri. L'amore è stato e continua ad essere il perno della sua esistenza. Quando le manca, si sente disperata, vuota. Anche nel mezzo dell'amore è scontenta. Vuole tutto: la vicinanza, la compagnia. Pretende di specchiarsi nell'altro, pretende che l'altro abbia le sue stesse voglie, pensi i suoi stessi pensieri. E siamo alla favola del mostro primigenio, lui intero, spaccato a metà dall'invidia divina, condannato per sempre a cercare la parte mancante. Quanti riusciranno a imbattersi in quell'altra parte e per quanto crederanno di esservi riusciti? I più rabberciano, pazientano, si lagnano, si rivoltano. L'Amore, così come lo pretendono, sbuca di rado, quando non s'assenta del tutto. Dunque, ammesso il bisogno impellente, si passa la vita disperando. La fiaba di Amore e Psiche: la ragazza rapita non trova porte per fuggire, lui torna nel buio a sfinirla di carezze, per vedere chi l'ha rinchiusa lei attende che dorma, abbagliata lo vede. Il seguito è noto. Psiche supera prove impossibili, si ricongiunge all'amato. E qui la fiaba finisce con il dovuto festino. Il suo amore è pieno di odio, Il suo odio è pieno d'amore. Questo è arrivata a sapere, dopo aver camminato nella nebbia, dietro un fantasma che chiamava bene e salute. Le tocca lasciare la rassegnazione, la pazienza. Le tocca restare qui, fuori dell'io e del tu, in una ressa di parole, tutte da districare, da farne cose e gesti. Nemmeno un istante può fermarsi. Deve aggiungere mattoni, mentre i muri cedono. Così per il suo stesso corpo: lo nutre mentre la consuma, lo vigila mentre la stordisce. Di dove verrà il segnale estremo ? Quando si mostrerà il nemico che porta dentro e la minaccia di morte? Intanto si procura conforti che sa esili e brevi, si figura mutamenti, cerca l'uscita dalla faticosa vigilia. Sbaglia, ma ha smesso di blandirsi. di ripetersi bugie. Sta qui e vuole starci fino a quando le è dato. Qui deve raggiungersi, tenersi. Il referto da tanto è lo stesso. Vittime, chi le azzitta? Carnefici, chi li arresta? Disastri ovunque. E inconcludenze. A questo punto c'è chi avverte, con i riflettori accesi della coerenza: "Esci, una volta per sempre. Non predicare il silenzio, azzittati. Vai ripetendo che non sei, dunque blocca il respiro, annientati." Ma Lei è spaventata da che l'aspetta e Lui si allaccia le scarpe per ripartire. Vedono il cielo passare dagli azzurri ai bianchi ai viola, odorano il vento, si godono il sole sulla faccia, il sapore di un frutto, il sonno che sale negli occhi. Non si tratta di rinunciare. Forse che non sei vivo anche mentre soffri o ti ritrai ? Dovremmo restare dove siamo. Lei sa di essere in cammino. Ogni passo le prova di esserci. Basta ed è tanto. Il resto ! Aveva quattordici anni, un pomeriggio d'estate, sola in casa si urlò dietro:" I morti, i morti!" e si precipitò per le scale; ne ebbe il piede sinistro slogato. Ancora sogna di aggirarsi in quelle stanze e sente al di là delle scale i passi di qualcuno e sa che non le riuscirà di vederlo e ne è atterrita. Si sveglia con il cuore in subbuglio. - Se solo decidessero che questo non è più di un sogno. - Chiamatelo sogno, non cambia nulla. - Gioverebbe il silenzio. - Conclusione proposta altre volte. Ma qui nessuno muore, nessuno lascia corone. Qui le parole dette si dissolvono. E' una fine e vuole sembrare un inizio. |
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36