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Post n°62 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
1998 Sul fondo In ostaggio della lunga caverna che altro era rimasto di mio oltre i quattro stracci anneriti e lisi che ormai mi vergognavo d'indossare? Chissà da quando, i miei passi sul terreno assolato non lasciavano orma. Un curioso pedaggio; e quanta angoscia nella sorte di non far presa sui sensi del mondo! Quel marchio evanescente era poesia?… Ma un po' più innanzi soccorreva l'ombra, s'agitavano le cime degli alberi. Non più il deserto: ontani e pioppi ai margini di un'acqua vitrea. I sassi dell'infanzia ordinati sul fondo, tutti e chiari. Io c'ero, perché a un tratto da quell'ombra mia madre riconobbe le mie impronte e nel vivo del vento la mia maestra mi chiamò per nome. 1999 |
Post n°61 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
1997 Se i libri da lontano Sarete stanco, signor passeggero. La notte è andata, e voi qui sul mio carro tutta una tirata sotto le stelle. Fa freddo? Queste che il rosa addolcisce sono le mura di Recanati. E queste le chiavi della città. Entrate da solo, sarà affar vostro orientarvi – il dedalo non è nelle vie dove non si sente un grido ma semmai nel cuore di chi sapete. Il poco sole forse gioverà. Penso che un paio d'ore basteranno a farvi capire se questo viaggio era opportuno o inutile. Se i libri da lontano dicevano già tutto. Io intanto lego il carro a questi lecci su cui insiste la luna (o cara luna…). Siate calmo. Io v'aspetto. Mi direte. 1998 Le quattro cifre No, non vi sarà posto per entrambi. Ma sarebbe insensato dire: o io o lui. Visto ch'è sua tutta la forza, la facile irruenza del futuro. Lui: l'anno 2000. Un colpo di mano, una bravata, cancellare a freddo – sostituirle in una sola notte – tutte e quattro le cifre della vita. Chi per dodici lustri ha militato in un secolo, non vorrà servire di punto in bianco sotto nuove insegne. Chiudere gli occhi, far finta di niente? No. Ma, ai primi chiari, imboccare un'erta e nel gelo che iberna bacca e rovo bussare al monastero. Esser dei loro. Imparare arti schiette – svinatura, torchio – e poi, a ore fisse, la lettura in una cerchia d'angeli canuti ai quali i secoli sono farfalle, non idoli o catene. Coltivare, potare: attingere acqua tacendo mentre giù a valle accendono il 2000. 1998 |
Post n°60 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
1997 Se i libri da lontano Sarete stanco, signor passeggero. La notte è andata, e voi qui sul mio carro tutta una tirata sotto le stelle. Fa freddo? Queste che il rosa addolcisce sono le mura di Recanati. E queste le chiavi della città. Entrate da solo, sarà affar vostro orientarvi – il dedalo non è nelle vie dove non si sente un grido ma semmai nel cuore di chi sapete. Il poco sole forse gioverà. Penso che un paio d'ore basteranno a farvi capire se questo viaggio era opportuno o inutile. Se i libri da lontano dicevano già tutto. Io intanto lego il carro a questi lecci su cui insiste la luna (o cara luna…). Siate calmo. Io v'aspetto. Mi direte. 1998 Le quattro cifre No, non vi sarà posto per entrambi. Ma sarebbe insensato dire: o io o lui. Visto ch'è sua tutta la forza, la facile irruenza del futuro. Lui: l'anno 2000. Un colpo di mano, una bravata, cancellare a freddo – sostituirle in una sola notte – tutte e quattro le cifre della vita. Chi per dodici lustri ha militato in un secolo, non vorrà servire di punto in bianco sotto nuove insegne. Chiudere gli occhi, far finta di niente? No. Ma, ai primi chiari, imboccare un'erta e nel gelo che iberna bacca e rovo bussare al monastero. Esser dei loro. Imparare arti schiette – svinatura, torchio – e poi, a ore fisse, la lettura in una cerchia d'angeli canuti ai quali i secoli sono farfalle, non idoli o catene. Coltivare, potare: attingere acqua tacendo mentre giù a valle accendono il 2000. 1998 |
Post n°59 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
1996
Da Per more La memoria dei bambini, finch'è intera, trattiene fotogrammi che in un anno o anche meno, sotto l'ombra della vita, saranno puro oblio. L'istante che (parlavano il linguaggio degl'implumi) si dissero: Coraggio! – sul punto di venir strappati al nido oscuro e caldo. – Coraggio! – a sé e a quella che travagliava nel metterli al mondo. Poi, là nel mondo, i colori, la vampa di clorofilla dai viali intorno alla clinica, i primissimi lampi di ciò che un giorno avrebbero chiamato albero. E i vetri, dentro, che s'appannano al fiato delle suore, bianchi cigni che non cantano, in spola tra un battesimo e un compianto… Quando il corpo non è ancora la stravagante zavorra dell'anima, e insieme si ridestano insieme s'addormentano, gl'implumi, e non serve che preghino: sicuri planano sui grandi laghi del sonno (come un remo la grazia, come un'ala) ……………………………………… 1997 Fine di secolo Pessimi nuotatori tutti e due. Chi ci aveva suggerito di prendere la barca? Forse il terzo che non esiste o non si lascia, tra un padre e un figlio, scorgere. E i remi, che disastro. Avevamo, ciascuno, i calli alla mano destra, ma per abuso di penna. Il lago era un incanto, specchio di molta montagna, approdo escluso dai troppi recinti, palizzate e cancelli torbidi nel riflesso. Come succede nei sogni, nulla emetteva suono, nulla invitava a parlare. Tacevano anche le doghe, a una a una cedendo. I remi troppo corti per far leva sul fondo benché fossimo ancora presso la riva. Così finiva il nostro novecento. 1997 |
Post n°58 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
1992 Vetrina del dottor Baer A Norimberga la vetrina più bella è anche la più affollata – quella via nessuno può fare a meno di prenderla, incide la città da sud a nord, porta fino al Castello sfiorando casa Dührer. La vetrina più bella si deve al genio selettivo del dottor Baer: bambini e bambine di soda porcellana, paesani dalle gote accese, fulvo il ciuffo, stereotipa la posa. Chi sfoglia i petali d'una sua margherita, chi assaggia anzitempo la torta proibita, e il piccolo portalettere e la venditrice d'erbe e una che leva l'acqua su dal pozzo e una che va con infilato al braccio il paniere delle uova… Certo, vite incantate, ammutolite ad arte, il respiro sospeso; s'ingombrano si guardano ma senz'aria di sfida se non a noi, forse, che dalla prima sera all'ultima capitiamo lì apposta per salutarli, pezzi di Franconia, fingendo quanto loro: che non ci sia il viaggio col suo ritorno e quella estesa voglia di memoria da cui nasce l'oblio. 1996 |
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36