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RACCONTI ITALIANI ONLINE - MARCELLO MOSCHEN - POESIA ITALIANA

Post n°162 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

da Notti di pace occidentale

(traduzione di Irmela Heimbächer)

XIV

Gesegnet bist du auf Abstand

die unschuldigste unter den entfernten Dingen

Tischnische und Apfel

eine Kugel, eine Fläche und gegen die hohe Feuerflamme

beide Formen zusammen um die Helle eines Raumes hervorzuheben.

Nichts fordert uns wirklich

und doch näheren wir uns den Gegenständen

als seien sie das Echo einer Stimme

die arglose Meldung anderer Leben.

Das schwarze Wasser, das Profil des Hundes zur Mole hin.

Niemand darf sagen erinnere dich und wirklich so pfeifen wie damals

aber wir sehen die drei Zimmer, das plötzliche Auffahren

dessen, der noch lebte

und auf einmal werfen die Schränke

Ein Irrfeuer zurück, den undeutlichen Stern eines Gesichts.

Nichts ist vollendet, noch ist nichts ernst.

Es gibt nur den dumfen Laut eines jähen Kalks

und diese Schreie zwischen Farnen, die die Rücken peitschen,

Schreie, dab wir nicht verstehen, was den Verfolgten im Dunkeln

zustößt.

Bäume, Schläge, Böen gegen die Mauern

Es genügt eine Geste: die brüske Bewegung eines Ellenbogens, die eine Kerze ausgehen läßt.

Auf einmal werden wir zu dem, was vorher zitterte.

 

da Notti di pace occidentale

XIV

 

Benedetta tu a distanza

la più innocente tra le cose lontane

nicchia di tavolo e mela

una sfera un piano e contro l'alta fiamma del fuoco

le due forme congiunte a scavare il nitore di un vano.

Nulla in realtà ci chiama

eppure ci accostiamo agli oggetti

quasi fossero gli echi di una voce

l'annuncio indifeso di altre vite.

L'acqua nera, la sagoma del cane contro il molo.

Nessuno può dirli ricordi e fischiare davvero come allora

ma noi vediamo le tre stanze, lo scatto

di chi ancora viveva

e a un tratto gli armadi ci rimandano

un fuoco errante la stella incerta di un viso.

Nulla è compiuto nulla è ancora profondo.

C'è solo il tonfo di una calce improvvisa

e queste grida tra felci che sferzano le schiene

grida che non capiamo come accade nel buio agli inseguiti.

Alberi, corpi, folate contro i muri.

Basta un gesto: il rovescio di un gomito che spegne una candela.

Di colpo diventiamo ciò che aveva tremato.

 

VI

 

Non esiste innocenza in questa lingua

ascolta come si spezzano i discorsi

come anche qui sia guerra

diversa guerra

ma guerra - in un tempo assetato.

Per questo scrivo con riluttanza

con pochi sterpi di frase

stretti a una lingua usuale

quella di cui dispongo per chiamare

laggiù perfino il buio

che scuote le campane.

***

C'è una finestra nella notte

con due sagome scure addormentate

brune come gli uccelli

il cui corpo indietreggia contro il cielo.

Scrivo con pazienza

all'eternità non credo

la lentezza mi viene dal silenzio

e da una libertà - invisibile -

che il Continente non conosce

l'isola di un pensiero che mi spinge

a restringere il tempo

a dargli spazio

inventando per quella lingua il suo deserto.

 

La parola si spacca come legno

come un legno crepita di lato

per metà fuoco

per metà abbandono.

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMA ITALIANO - MARCELLO MOSCHEN

Post n°161 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

VIII

Forse se moriamo è per questo? Perché l’aria liquida dei giorni

scuota di colpo il tempo e gli dia spazio

perché l’invisibile, il fuoco delle attese

si spalanchi nell’aria

e bruci quello che ci sembrava

il nostro solo raccolto?

 

 

 

 

 

 

 

 

IX

a Zbigniew Herbert

E’ vero, l’allarme si alza dalle stelle

l’argento non ha luce sul barbaro grido di terrore.

L’imperatore ha spento il lume

ha chiuso il libro.

In basso la terra scuote l’orlo dei vasi e il ferro brucia

freddo sui fili. Lui dorme nel quadrato dei secoli

alti nel vento come aeree gabbie.

Non sente il bronzo del trono sulla nuca

né il rintocco dei chiodi sulle porte.

Dormirà per sempre.

Perciò sospendi tu la quiete

prova a rovesciare il dorso della mano

a raggiungermi nel nome di una lingua sconosciuta

perché parlo da un’isola

il cui latino ha tristezza di scimmia.

Un mare una pianura, nuvole di tempesta contro i fiumi

uccelli nel cui becco gli steli annunciano alfabeti.

Forse solo così – Zbigniew

può viaggiare il cesto dei libri sulle acque

così credo giunga la voce

la stretta del viso nell’orrore

fino a un’orma fenicia, a un basso scudo

privo – come il tuo – di luce.

Da Notti di pace occidentale

In una stessa terra

a Mauro Martini

 

Se ho scritto è per pensiero

perché ero in pensiero per la vita

per gli esseri felici

stretti nell'ombra della sera

per la sera che di colpo crollava sulle nuche.

Scrivevo per la pietà del buio

per ogni creatura che indietreggia

con la schiena premuta a una ringhiera

per l'attesa marina - senza grido - infinita.

Scrivi, dico a me stessa

e scrivo io per avanzare più sola nell'enigma

perché gli occhi mi allarmano

e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta

- da brughiera -

sulla terra del viale.

Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco

trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli

perché solo il coraggio può scavare

in alto la pazienza

fino a togliere peso

al peso nero del prato.

 

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO

Post n°160 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

MATTINATE DEL PADRE VEDOVO

Mezz'ora di sfizio, cent'anni di guai.E voi mi vedete                          sul mio cantone,coi miei quattordici figli e figlie, ciascunoalla sua magione.
Sfizio, mezz'ora: soffiavo "oh dimmi:ma tu li conti?... ""Certi momenti pure, coi conti?!..." lei, cara:cara e cosìdi partose ne partì.
Facendo il pieno (sfizio) si va lontano:                 e crescitene quattordici!...
E busso là, l'ospizio, mi dà una minestrina. C'è una suorina per chiamarmi                            papà.
(da "Dibattito su amore") 
 
 
 
 
 I VESPRI SICILIANI
La mano che toccò basso avvampò il vespro.
Non la mano militare prensile d'alture, che ha ghermito e serra spalti e guglie, il nocchieruto pugno che spiaccia e sgretola:                                                 le nude e aperte dita, una mano smagrita, che convulsa ama, e che morbida corse da sé a un corpetto, e poi giù gonna tentò formicolò: nel vespro,sul sacrato, la mano d'un soldato solitario. Non l'artiglio ferrato che feriscee arraffa, che brandisce i tetti come dadi e se gli cale all'aria scaglia e i campanili svelle ai viliPanormiti:                   una mano,sì, maschia, ma sguantatadi ferro, calda madida... gelata...forse una mano morta,lungo una gonna,che trasalì,e toccò il basso d'una donnae la bassura - il vespro era già cenere -accese ed il pallore popolanolo scorno e il corno contro l'armaturae quella che sonava squilla l'Angelusbatte a martello e coltello e coltellofuor degli stracci a ballocontro armatura e armatura e armatura...Talché la città vileribolle, il campanilechiama e infollite folleaccozza e sciamain turbini e straripada stretti a piazze dai lastrici a sabbiaa glebe a rupia creste...Talché Palermo fu franca e l'isola,miracolo! miracolo!
                                   Una mano...l'ora che oscura, e in che prepara cena la tua donna... una mano innocente... la sera, e primavera, sul sacrato, e struggente l'estranea salmodia...                                    la mano del soldato desolato forse lambì la gonna di santa Rosalia.
(da "Un carico di mercurio")
 
 
 
 LA DISOCCUPATA E LA MERETRICE
Essa dice dice d'un posto,è riccia mora, la pelle scabra [però avrebbe attratto (ancora?...)],
forse le spetta (il posto), confida, e l'amica nega, saputa, nel viscido scendere, un'ansa intestinale, della ventruta tonitruante città.
Che forse, può darsi, l'avrà, no?"... Dio ssolo 'o sape." L'amica nega: "Con quelle cape!...""E nun sonco, vuòdicere, mo, manco cchiù bella...no?" "Tu non si' quella che si dà, cumm'io mi do, me donco."
Scendono per le budella della città (sfocianti al mare, all'Immacolatella).
"I' nun dico 'fai male:'nu 'o saccio fa'!" "Porta l'onore - e cuntame -a 'o monte di pietà. S'impara, impara." "E nun sonco cchiù chella  
ca 'mparà può... Tu credi, 'cu cchelle ccape, niente da fare'...?"
"Tu sei un'Immacolatella che niente d' 'o mare sape."
(da "Un carico di mercurio")
 
 
 
 LA PROPRIETÀ
Il giorno in cui distinsi                                        il mio dal vostro, io persi tutto il nostro immenso tutto, il giorno in cui recinsi                                      andò distrutto quel confine che c'era l'orizzonte solo d'ogni vagare nostro leggero incantato.                                         Cosìio m'inibii con una                                  siepe ogni monte, ogni mare, per amor d'una zolla incondivisa,su cui sol io picchiare,friabilissima zolla.                               E a chi tentò, per ruzzo, inconsapevole di barriere, saltare picchiai in fronte; e a chi bere poi volle alla mia polla, mia d'un tratto, e sete e vita estinsi.
Né uno m'abbruciò la siepe, risero i selvaggi di me, quel folle:                                             e il folle moltiplicò le sue zolle, le sue zolle, le sue... I miti selvaggi ridevano!
 
(da "Il dente di Wels") 
 
 
 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO

Post n°159 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

 ELOGIO DELL'ECONOMIA

Con sua tale ossessione del risparmio, andava spegnendo a sassate i fanali ai viali. S'attenuò anche il lume degli occhi, per la riserva al domani - e apposta udì anche di meno, -e il lume ch'è nei medii cranii, e, ipoteso già, i pulsi minimi dei cuori sani (non seppe oh degl'insanil'alte tensioni, gl'irraggi e il bruciare). Ovvio, ovvio, anzitempo defunse (consunse meno giorni). "Che sperpero di fiori..." Riemerso dalla cassa, soffiò su tre candele.
(da "Il dente di Wels")
 
 
 LE LIBERTÀ STATUTARIE
In pergamena è porta a noi la libertà... E allora, io taccio? e sto? perché? dilaga errore orrore il dolore dolore...               Perché tace e pensasu una petraia di secoli un saggio.
Le libertà... e oggi ecco ripensa lo slogan della Ford Motor Company: "Il modello T vien fornitonel colore che desidera il cliente purché questo colore sia i1 nero."                     - La prima auto costrutta, il T, con il sistema dellacatena di montaggio, della catena... -
                           Sulla piramide si tace, forse chiuso alla pena, forse nemmeno cogita, il saggio.
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 
 DI GARIBALDI SÌ
quell'una spada, di mano dolente, ch'io invocherei - sparita ov'è?... - di bisturi al mondo...
forse fu un sogno d'Italia e di Sud America, di peoni e cafoni
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 CATONE E I DUE SCIPIONI
Catone è il Maggiore; Bruto, il Minore; Tullio, Cicerone; Publio, Scipione Mag-giore; Lucio, suo fratello.
Stecchito e spiritato Cato, beve l'aceto, alfine Catorespigne tra le sue vigne a Literno Scipio, non mai inebriato di possa e gloria.                            "O Roma di me indegna, non avrai in più, da me, tu, le mie ossa."
Ma Tullio loda le virtù sterpignedi Cato - e Tullio è uomo d'onore.
(Publio bruciato, Cato incalza e incarcera Lucio per mariuolo: il probo e povero.)
E piace a Dante più che Scipio Cesare, Bruto, poi, niente! - e sì, che Dante sae delli vizi umani e del valore.
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 
 
 PINDARO E SERSE
Pindaro scelse l'attesa, l'ha sciolta vinti i Persiani, or verseggia per l'Attica. Mastro egli è d'epinici, gli epicedi lascia a Simonide.
(da "Io, Rapagnetta Gabriel")
 
 
 MIRACOLO PER COPERNICO  Dove si sostiene che il Sole si sta e la Terra si  muove solo a partire dalla prima metà del XVII  
secolo di nostro Signore.  
Tolomeo non mentì. Mentì Copernico. L'enorme sfera stava, ab initio,                 caduta all'Artefice fuor della danza universa e obliata.
"O Sole, statti, e tu, mite Luna, aspetta" ingiunse Giosuè con la colante spada: e il Sole,è vero, ristette: mistero del suo servile, perenne, correre in tondo, soccorrer l'ignavacosa, e senza di lui diaccia e per lui prolifica d'un moto di mostri.
Tolomeo con nud'occhio lodò l'alto giro amorevole ché al nudo piè sentiva il basso e tumido livido stare.                     Mentì Copernico, e il telescopio di Galileo...
                      ma sul rugghiar dei roghi degli eretici, in orazione fissi a Lui torcendosi- "Dio, confondi i fanatici gli atroci armigeri d'un vero... - che è, poi, il vero?" -in orazione, fumanti, in faville, ed al Sole sbiancato, che sobbalza, che vacilla e devia dal suo percorrere eterno, e poi sui tizzi umani e la cinigia fetida in furia imporpora, e ogni nube cassa, ed i campi i greti brucia ai malvivi, ai ventri di città fermenta pèsti... l'"Eppur si muove," gemito sospirovile di Galileo, fu scherno e grido suo, di Dio, che squassò scagliò la Terra                                               a un frenetico prillìo,              bloccato il Sole:                                         ed al guinzaglio intorno al Sole, o come la ciuca alla noria, ella corre e corre, ché s'ella si ferma ella è persa.
                      "E si muove!" balzò, vi dico, Galileo, alla scossa d'abbrivo, cieco in Arcetri - non più telescopio... - e vide!... un attimo: il Sole, spossato quietato, ridergli misterïoso.
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO E CONTEMPORANEO

Post n°158 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

 ELOGIO DELL'ECONOMIA

Con sua tale ossessione del risparmio, andava spegnendo a sassate i fanali ai viali. S'attenuò anche il lume degli occhi, per la riserva al domani - e apposta udì anche di meno, -e il lume ch'è nei medii cranii, e, ipoteso già, i pulsi minimi dei cuori sani (non seppe oh degl'insanil'alte tensioni, gl'irraggi e il bruciare). Ovvio, ovvio, anzitempo defunse (consunse meno giorni). "Che sperpero di fiori..." Riemerso dalla cassa, soffiò su tre candele.
(da "Il dente di Wels")
 
 
 LE LIBERTÀ STATUTARIE
In pergamena è porta a noi la libertà... E allora, io taccio? e sto? perché? dilaga errore orrore il dolore dolore...               Perché tace e pensasu una petraia di secoli un saggio.
Le libertà... e oggi ecco ripensa lo slogan della Ford Motor Company: "Il modello T vien fornitonel colore che desidera il cliente purché questo colore sia i1 nero."                     - La prima auto costrutta, il T, con il sistema dellacatena di montaggio, della catena... -
                           Sulla piramide si tace, forse chiuso alla pena, forse nemmeno cogita, il saggio.
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 
 DI GARIBALDI SÌ
quell'una spada, di mano dolente, ch'io invocherei - sparita ov'è?... - di bisturi al mondo...
forse fu un sogno d'Italia e di Sud America, di peoni e cafoni
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 CATONE E I DUE SCIPIONI
Catone è il Maggiore; Bruto, il Minore; Tullio, Cicerone; Publio, Scipione Mag-giore; Lucio, suo fratello.
Stecchito e spiritato Cato, beve l'aceto, alfine Catorespigne tra le sue vigne a Literno Scipio, non mai inebriato di possa e gloria.                            "O Roma di me indegna, non avrai in più, da me, tu, le mie ossa."
Ma Tullio loda le virtù sterpignedi Cato - e Tullio è uomo d'onore.
(Publio bruciato, Cato incalza e incarcera Lucio per mariuolo: il probo e povero.)
E piace a Dante più che Scipio Cesare, Bruto, poi, niente! - e sì, che Dante sae delli vizi umani e del valore.
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 
 
 PINDARO E SERSE
Pindaro scelse l'attesa, l'ha sciolta vinti i Persiani, or verseggia per l'Attica. Mastro egli è d'epinici, gli epicedi lascia a Simonide.
(da "Io, Rapagnetta Gabriel")
 
 
 MIRACOLO PER COPERNICO  Dove si sostiene che il Sole si sta e la Terra si  muove solo a partire dalla prima metà del XVII  
secolo di nostro Signore.  
Tolomeo non mentì. Mentì Copernico. L'enorme sfera stava, ab initio,                 caduta all'Artefice fuor della danza universa e obliata.
"O Sole, statti, e tu, mite Luna, aspetta" ingiunse Giosuè con la colante spada: e il Sole,è vero, ristette: mistero del suo servile, perenne, correre in tondo, soccorrer l'ignavacosa, e senza di lui diaccia e per lui prolifica d'un moto di mostri.
Tolomeo con nud'occhio lodò l'alto giro amorevole ché al nudo piè sentiva il basso e tumido livido stare.                     Mentì Copernico, e il telescopio di Galileo...
                      ma sul rugghiar dei roghi degli eretici, in orazione fissi a Lui torcendosi- "Dio, confondi i fanatici gli atroci armigeri d'un vero... - che è, poi, il vero?" -in orazione, fumanti, in faville, ed al Sole sbiancato, che sobbalza, che vacilla e devia dal suo percorrere eterno, e poi sui tizzi umani e la cinigia fetida in furia imporpora, e ogni nube cassa, ed i campi i greti brucia ai malvivi, ai ventri di città fermenta pèsti... l'"Eppur si muove," gemito sospirovile di Galileo, fu scherno e grido suo, di Dio, che squassò scagliò la Terra                                               a un frenetico prillìo,              bloccato il Sole:                                         ed al guinzaglio intorno al Sole, o come la ciuca alla noria, ella corre e corre, ché s'ella si ferma ella è persa.
                      "E si muove!" balzò, vi dico, Galileo, alla scossa d'abbrivo, cieco in Arcetri - non più telescopio... - e vide!... un attimo: il Sole, spossato quietato, ridergli misterïoso.
(da "Decreto sui duelli")
 
 
 
 
 

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