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Post n°162 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
da Notti di pace occidentale (traduzione di Irmela Heimbächer) XIV Gesegnet bist du auf Abstand die unschuldigste unter den entfernten Dingen Tischnische und Apfel eine Kugel, eine Fläche und gegen die hohe Feuerflamme beide Formen zusammen um die Helle eines Raumes hervorzuheben. Nichts fordert uns wirklich und doch näheren wir uns den Gegenständen als seien sie das Echo einer Stimme die arglose Meldung anderer Leben. Das schwarze Wasser, das Profil des Hundes zur Mole hin. Niemand darf sagen erinnere dich und wirklich so pfeifen wie damals aber wir sehen die drei Zimmer, das plötzliche Auffahren dessen, der noch lebte und auf einmal werfen die Schränke Ein Irrfeuer zurück, den undeutlichen Stern eines Gesichts. Nichts ist vollendet, noch ist nichts ernst. Es gibt nur den dumfen Laut eines jähen Kalks und diese Schreie zwischen Farnen, die die Rücken peitschen, Schreie, dab wir nicht verstehen, was den Verfolgten im Dunkeln zustößt. Bäume, Schläge, Böen gegen die Mauern Es genügt eine Geste: die brüske Bewegung eines Ellenbogens, die eine Kerze ausgehen läßt. Auf einmal werden wir zu dem, was vorher zitterte.
da Notti di pace occidentale XIV
Benedetta tu a distanza la più innocente tra le cose lontane nicchia di tavolo e mela una sfera un piano e contro l'alta fiamma del fuoco le due forme congiunte a scavare il nitore di un vano. Nulla in realtà ci chiama eppure ci accostiamo agli oggetti quasi fossero gli echi di una voce l'annuncio indifeso di altre vite. L'acqua nera, la sagoma del cane contro il molo. Nessuno può dirli ricordi e fischiare davvero come allora ma noi vediamo le tre stanze, lo scatto di chi ancora viveva e a un tratto gli armadi ci rimandano un fuoco errante la stella incerta di un viso. Nulla è compiuto nulla è ancora profondo. C'è solo il tonfo di una calce improvvisa e queste grida tra felci che sferzano le schiene grida che non capiamo come accade nel buio agli inseguiti. Alberi, corpi, folate contro i muri. Basta un gesto: il rovescio di un gomito che spegne una candela. Di colpo diventiamo ciò che aveva tremato.
VI
Non esiste innocenza in questa lingua ascolta come si spezzano i discorsi come anche qui sia guerra diversa guerra ma guerra - in un tempo assetato. Per questo scrivo con riluttanza con pochi sterpi di frase stretti a una lingua usuale quella di cui dispongo per chiamare laggiù perfino il buio che scuote le campane. *** C'è una finestra nella notte con due sagome scure addormentate brune come gli uccelli il cui corpo indietreggia contro il cielo. Scrivo con pazienza all'eternità non credo la lentezza mi viene dal silenzio e da una libertà - invisibile - che il Continente non conosce l'isola di un pensiero che mi spinge a restringere il tempo a dargli spazio inventando per quella lingua il suo deserto.
La parola si spacca come legno come un legno crepita di lato per metà fuoco per metà abbandono. |
Post n°161 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
VIII Forse se moriamo è per questo? Perché l’aria liquida dei giorni scuota di colpo il tempo e gli dia spazio perché l’invisibile, il fuoco delle attese si spalanchi nell’aria e bruci quello che ci sembrava il nostro solo raccolto?
IX a Zbigniew Herbert E’ vero, l’allarme si alza dalle stelle l’argento non ha luce sul barbaro grido di terrore. L’imperatore ha spento il lume ha chiuso il libro. In basso la terra scuote l’orlo dei vasi e il ferro brucia freddo sui fili. Lui dorme nel quadrato dei secoli alti nel vento come aeree gabbie. Non sente il bronzo del trono sulla nuca né il rintocco dei chiodi sulle porte. Dormirà per sempre. Perciò sospendi tu la quiete prova a rovesciare il dorso della mano a raggiungermi nel nome di una lingua sconosciuta perché parlo da un’isola il cui latino ha tristezza di scimmia. Un mare una pianura, nuvole di tempesta contro i fiumi uccelli nel cui becco gli steli annunciano alfabeti. Forse solo così – Zbigniew può viaggiare il cesto dei libri sulle acque così credo giunga la voce la stretta del viso nell’orrore fino a un’orma fenicia, a un basso scudo privo – come il tuo – di luce. Da Notti di pace occidentale In una stessa terra a Mauro Martini
Se ho scritto è per pensiero perché ero in pensiero per la vita per gli esseri felici stretti nell'ombra della sera per la sera che di colpo crollava sulle nuche. Scrivevo per la pietà del buio per ogni creatura che indietreggia con la schiena premuta a una ringhiera per l'attesa marina - senza grido - infinita. Scrivi, dico a me stessa e scrivo io per avanzare più sola nell'enigma perché gli occhi mi allarmano e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta - da brughiera - sulla terra del viale. Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli perché solo il coraggio può scavare in alto la pazienza fino a togliere peso al peso nero del prato.
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Post n°160 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
MATTINATE DEL PADRE VEDOVO Mezz'ora di sfizio, cent'anni di guai.E voi mi vedete sul mio cantone,coi miei quattordici figli e figlie, ciascunoalla sua magione. Sfizio, mezz'ora: soffiavo "oh dimmi:ma tu li conti?... ""Certi momenti pure, coi conti?!..." lei, cara:cara e cosìdi partose ne partì. Facendo il pieno (sfizio) si va lontano: e crescitene quattordici!... E busso là, l'ospizio, mi dà una minestrina. C'è una suorina per chiamarmi papà. (da "Dibattito su amore") I VESPRI SICILIANI La mano che toccò basso avvampò il vespro. Non la mano militare prensile d'alture, che ha ghermito e serra spalti e guglie, il nocchieruto pugno che spiaccia e sgretola: le nude e aperte dita, una mano smagrita, che convulsa ama, e che morbida corse da sé a un corpetto, e poi giù gonna tentò formicolò: nel vespro,sul sacrato, la mano d'un soldato solitario. Non l'artiglio ferrato che feriscee arraffa, che brandisce i tetti come dadi e se gli cale all'aria scaglia e i campanili svelle ai viliPanormiti: una mano,sì, maschia, ma sguantatadi ferro, calda madida... gelata...forse una mano morta,lungo una gonna,che trasalì,e toccò il basso d'una donnae la bassura - il vespro era già cenere -accese ed il pallore popolanolo scorno e il corno contro l'armaturae quella che sonava squilla l'Angelusbatte a martello e coltello e coltellofuor degli stracci a ballocontro armatura e armatura e armatura...Talché la città vileribolle, il campanilechiama e infollite folleaccozza e sciamain turbini e straripada stretti a piazze dai lastrici a sabbiaa glebe a rupia creste...Talché Palermo fu franca e l'isola,miracolo! miracolo! Una mano...l'ora che oscura, e in che prepara cena la tua donna... una mano innocente... la sera, e primavera, sul sacrato, e struggente l'estranea salmodia... la mano del soldato desolato forse lambì la gonna di santa Rosalia. (da "Un carico di mercurio") LA DISOCCUPATA E LA MERETRICE Essa dice dice d'un posto,è riccia mora, la pelle scabra [però avrebbe attratto (ancora?...)], forse le spetta (il posto), confida, e l'amica nega, saputa, nel viscido scendere, un'ansa intestinale, della ventruta tonitruante città. Che forse, può darsi, l'avrà, no?"... Dio ssolo 'o sape." L'amica nega: "Con quelle cape!...""E nun sonco, vuòdicere, mo, manco cchiù bella...no?" "Tu non si' quella che si dà, cumm'io mi do, me donco." Scendono per le budella della città (sfocianti al mare, all'Immacolatella). "I' nun dico 'fai male:'nu 'o saccio fa'!" "Porta l'onore - e cuntame -a 'o monte di pietà. S'impara, impara." "E nun sonco cchiù chella ca 'mparà può... Tu credi, 'cu cchelle ccape, niente da fare'...?" "Tu sei un'Immacolatella che niente d' 'o mare sape." (da "Un carico di mercurio") LA PROPRIETÀ Il giorno in cui distinsi il mio dal vostro, io persi tutto il nostro immenso tutto, il giorno in cui recinsi andò distrutto quel confine che c'era l'orizzonte solo d'ogni vagare nostro leggero incantato. Cosìio m'inibii con una siepe ogni monte, ogni mare, per amor d'una zolla incondivisa,su cui sol io picchiare,friabilissima zolla. E a chi tentò, per ruzzo, inconsapevole di barriere, saltare picchiai in fronte; e a chi bere poi volle alla mia polla, mia d'un tratto, e sete e vita estinsi. Né uno m'abbruciò la siepe, risero i selvaggi di me, quel folle: e il folle moltiplicò le sue zolle, le sue zolle, le sue... I miti selvaggi ridevano! (da "Il dente di Wels") |
Post n°159 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
ELOGIO DELL'ECONOMIA Con sua tale ossessione del risparmio, andava spegnendo a sassate i fanali ai viali. S'attenuò anche il lume degli occhi, per la riserva al domani - e apposta udì anche di meno, -e il lume ch'è nei medii cranii, e, ipoteso già, i pulsi minimi dei cuori sani (non seppe oh degl'insanil'alte tensioni, gl'irraggi e il bruciare). Ovvio, ovvio, anzitempo defunse (consunse meno giorni). "Che sperpero di fiori..." Riemerso dalla cassa, soffiò su tre candele. (da "Il dente di Wels") LE LIBERTÀ STATUTARIE In pergamena è porta a noi la libertà... E allora, io taccio? e sto? perché? dilaga errore orrore il dolore dolore... Perché tace e pensasu una petraia di secoli un saggio. Le libertà... e oggi ecco ripensa lo slogan della Ford Motor Company: "Il modello T vien fornitonel colore che desidera il cliente purché questo colore sia i1 nero." - La prima auto costrutta, il T, con il sistema dellacatena di montaggio, della catena... - Sulla piramide si tace, forse chiuso alla pena, forse nemmeno cogita, il saggio. (da "Decreto sui duelli") DI GARIBALDI SÌ quell'una spada, di mano dolente, ch'io invocherei - sparita ov'è?... - di bisturi al mondo... forse fu un sogno d'Italia e di Sud America, di peoni e cafoni (da "Decreto sui duelli") CATONE E I DUE SCIPIONI
Stecchito e spiritato Cato, beve l'aceto, alfine Catorespigne tra le sue vigne a Literno Scipio, non mai inebriato di possa e gloria. "O Roma di me indegna, non avrai in più, da me, tu, le mie ossa." Ma Tullio loda le virtù sterpignedi Cato - e Tullio è uomo d'onore. (Publio bruciato, Cato incalza e incarcera Lucio per mariuolo: il probo e povero.) E piace a Dante più che Scipio Cesare, Bruto, poi, niente! - e sì, che Dante sae delli vizi umani e del valore. (da "Decreto sui duelli") PINDARO E SERSE Pindaro scelse l'attesa, l'ha sciolta vinti i Persiani, or verseggia per l'Attica. Mastro egli è d'epinici, gli epicedi lascia a Simonide. (da "Io, Rapagnetta Gabriel") MIRACOLO PER COPERNICO Dove si sostiene che il Sole si sta e la Terra si muove solo a partire dalla prima metà del XVIIsecolo di nostro Signore. |
Post n°158 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
ELOGIO DELL'ECONOMIA Con sua tale ossessione del risparmio, andava spegnendo a sassate i fanali ai viali. S'attenuò anche il lume degli occhi, per la riserva al domani - e apposta udì anche di meno, -e il lume ch'è nei medii cranii, e, ipoteso già, i pulsi minimi dei cuori sani (non seppe oh degl'insanil'alte tensioni, gl'irraggi e il bruciare). Ovvio, ovvio, anzitempo defunse (consunse meno giorni). "Che sperpero di fiori..." Riemerso dalla cassa, soffiò su tre candele. (da "Il dente di Wels") LE LIBERTÀ STATUTARIE In pergamena è porta a noi la libertà... E allora, io taccio? e sto? perché? dilaga errore orrore il dolore dolore... Perché tace e pensasu una petraia di secoli un saggio. Le libertà... e oggi ecco ripensa lo slogan della Ford Motor Company: "Il modello T vien fornitonel colore che desidera il cliente purché questo colore sia i1 nero." - La prima auto costrutta, il T, con il sistema dellacatena di montaggio, della catena... - Sulla piramide si tace, forse chiuso alla pena, forse nemmeno cogita, il saggio. (da "Decreto sui duelli") DI GARIBALDI SÌ quell'una spada, di mano dolente, ch'io invocherei - sparita ov'è?... - di bisturi al mondo... forse fu un sogno d'Italia e di Sud America, di peoni e cafoni (da "Decreto sui duelli") CATONE E I DUE SCIPIONI
Stecchito e spiritato Cato, beve l'aceto, alfine Catorespigne tra le sue vigne a Literno Scipio, non mai inebriato di possa e gloria. "O Roma di me indegna, non avrai in più, da me, tu, le mie ossa." Ma Tullio loda le virtù sterpignedi Cato - e Tullio è uomo d'onore. (Publio bruciato, Cato incalza e incarcera Lucio per mariuolo: il probo e povero.) E piace a Dante più che Scipio Cesare, Bruto, poi, niente! - e sì, che Dante sae delli vizi umani e del valore. (da "Decreto sui duelli") PINDARO E SERSE Pindaro scelse l'attesa, l'ha sciolta vinti i Persiani, or verseggia per l'Attica. Mastro egli è d'epinici, gli epicedi lascia a Simonide. (da "Io, Rapagnetta Gabriel") MIRACOLO PER COPERNICO Dove si sostiene che il Sole si sta e la Terra si muove solo a partire dalla prima metà del XVIIsecolo di nostro Signore. |
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36