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Serata cinema!

Post n°172 pubblicato il 29 Febbraio 2008 da racmad
 
Tag: cinema

Ieri sera sono stata con la Sissili, che ringrazio tantissimo della compagnia, a vedere il film "L'amore ai tempi del colera" tratto dall'omonimo libro di Gabriel Garcia Marquez...

il libro, come tutti quelli di Marquez che ho letto, l'ho semplicemente adorato: credo che esprima una vitalità nelle sue descrizioni che difficilmente un bravo scrittore riesce a far arrivare al lettore... e poi l'amore è sempre struggente, impossibile, inarrivabile, contrastato, infinito.... speravo che anche il film arrivasse a toccarmi qualche corda come successo con il libro ma... si dai, un film piacevole tutto sommato, bei costumi, un bel mix di momenti divertenti-irriverenti con momenti molto romantici o drammatici...ma l'emozione, quella non mi è arrivata! non voglio assolutamente demolirlo, anzi! il consiglio di andarlo a vedere rimane sempre anche perchè credo che i gusti di ognuno possano essere molto diversi... ho cercato qualche recensione su internet per vedere se il film, dai critici, fosse stato salvato o buttato dalla torre...
diciamo che sono più o meno concorde con il Corriere della Sera e quindi vi riporto la sua recensione:

 da corriere della sera.it

la vitalità straripante del romanzo di garcia marquez diventa un catalogo di avventure
L'amore ai tempi del colera
Un'epopea di grande passione perde al cinema tutte le emozioni

Se c'è una qualità che non si può negare a García Márquez è quella di una vitalità straripante e coinvolgente. Se c'è una qualità che manca alla versione cinematografica dell'Amore ai tempi del colera è proprio quella della vitalità, della passione, dell'emozione. Di fronte a una storia d'amore che dura senza cedimenti (più o meno...) per «53 anni, 7 mesi e 11 giorni (e notti)» il lettore non può trattenere la commozione e forse anche le lacrime. Mentre lo spettatore aspetta invano per due ore e 19 minuti che il ricordo della pagina scritta si accenda sullo schermo e sbocci come un fuoco d'artificio.

Forse è troppo arduo portare García Márquez sullo schermo? Il dubbio esiste: anche Francesco Rosi è uscito sconfitto dalla riduzione di Cronaca di una morte annunciata. Ma qui viene il dubbio che i veri limiti siano da cercare altrove, nelle scelte produttive, prima, e poi nella sceneggiatura di Ronald Harwood, «fedele» al libro ma sostanzialmente inerte.

È evidente che la preoccupazione della produzione (Scott Steindorff per Stone Village Pictures) era per prima cosa quella di offrire uno spettacolo all'altezza della fama del romanzo: molte riprese nei luoghi reali in cui è ambientata la storia (Cartagena e la Colombia), grandi masse, la capacità di rendere credibili, e non solo sui volti degli attori, lo scorrere del tempo. Affidando alla fotografia di Alfonso Beato e a un bel numero di tramonti il compito di accentuare ancora di più il lato spettacolare del film. Un cast senza vere star internazionali ma con attori di provata bravura (oltre a Bardem, alla Mezzogiorno e a Bratt, ci sono anche Hector Helizondo, John Leguizamo, Liev Schreiber, Catalina Sandino Moreno) avrebbe poi dovuto far pensare a un film dove la recitazione e più in generale la passione emotiva dovevano essere il perno dell'operazione. E invece proprio qui L'amore ai tempi del colera rivela le sue debolezze più grandi.

Ambientato a cavallo tra Ottocento e Novecento in un'America Latina geograficamente vaga ma riconoscibile nella Colombia, il film (come il romanzo omonimo) racconta la passione che si accende nell'adolescente Florentino Ariza (Unax Ugalde) per la coetanea Fermina Daza (Giovanna Mezzogiorno). Lui la corteggia e le promette eterno amore, lei prima gli corrisponde (platonicamente, s'intende) poi all'improvviso lo cancella dalla sua vita, finendo per accettare la corte del medico Juvenal (Benjamin Bratt). E il povero Florentino, che nel frattempo è cresciuto e ha assunto il volto di Javier Bardem, non può che disperarsi e continuare ad amarla per tutta la vita. Anche se a un certo momento scopre che la carne ha delle «leggi» che al cuore sembrano sfuggire e così, mentre l'amore è tutto e solo per Fermina, il sesso spinge Florentino verso una serie decisamente notevole di avventure (che poi pignolamente registra e numera: a un certo punto scopriamo che ha toccato quota 622...).

Ma quello che in García Márquez è la vitalità sanguigna, e contraddittoria, degli esseri umani che possono dire sia di voler «essere felici senza amore e suo malgrado» oppure che per vivere hanno assolutamente «bisogno dell'amore», nel film diventa una specie di catalogo di avventure senza passione che un Bardem sempre più andreottesco (ingobbito e senza collo) inanella bellamente. Mentre Giovanna Mezzogiorno è costretta dentro la pelle di un personaggio che al cinema appare fin troppo raffreddato e distante.

Il risultato è quello di cancellare l'emozione da una storia che proprio sul coinvolgimento passionale dovrebbe costruire il suo interesse. E viene il dubbio che, messo di fronte a una sceneggiatura più «di testa» che «di pancia», Newell non abbia saputo trovare la chiave per superarne i limiti. Come fa intuire anche una carriere discontinua dove accanto a belle riuscite ( Donnie Brasco, ma anche Quattro matrimoni e un funerale o Mona Lisa Smile) ci sono film deludenti come Falso tracciato o Un'avventura terribilmente complicata. Come se le sue qualità fossero soprattutto quelle di un onesto metteur en scène, che «illustra» scelte altrui (della produzione o dello sceneggiatore).

Basta vedere come è reso l'incontro finale tra i due protagonisti, più o meno settantenni. Ci sono tanti modi per raccontare la passione in età avanzata. George Cukor con Amore fra le rovine ce ne ha dato una dimostrazione sublime. Qui Newell sembra capace solo di inquadrare i seni cadenti della protagonista (mirabilmente truccati da John E. Jackson) e le facce imbolsite di Bardem e della Mezzogiorno, perdendo l'ennesima occasione per raccontare una passione fuori dalla norma ma autentica e coinvolgente.

Paolo Mereghetti

 
 
 
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