Creato da luca7.74 il 26/10/2008
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Post n°4 pubblicato il 14 Novembre 2008 da luca7.74

Non c’è niente in questo mondo,
che assomigli a questa beffa,
non c’è niente in questi occhi,
che ricordi un punto e virgola;
ci sono spazi, e comparse,
e mani protese,
tra grida e silenzi,
su un palco di pietra.
C’è un gatto che ride, e una testa che scrive,
e stagioni impazzite che fingono luce nei giorni più neri.
Non ci sono guerrieri in cerca di gloria o sorrisi sbiancati,
ma formiche incuranti di pesi
decine di volte più grandi del loro dolore,
e lupi ululanti a una luna lontana e incolpevole,
che farebbero brani di un dio inesistente,
e che muovono invece selvatici e ansanti,
in fondo alla notte a cercare un futuro.

 
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il poco tanto

Post n°3 pubblicato il 03 Novembre 2008 da luca7.74
 
Foto di luca7.74

A tutti sembrò strano che il buon Aurelio, ancora, nonostante tutto, si ostinasse a dipingere. Sebbene  non fosse mai stato un pittore particolarmente noto, aveva intorno a sé una cerchia di amici colti, che restarono un po’ scandalizzati nel vedere che le opere da lui prodotte dopo il  triste evento, fossero rimaste del tutto simili alle precedenti, piene di mari colorati d’arancione. Essi non ammettevano insomma che non si riuscisse a ravvisare nei suoi paesaggi d’acqua artificiale una risposta chiaramente consona all’infausto  epilogo che gli era stato destinato. Sarebbe stato d’uopo a loro avviso, un incupirsi del colore, o un’opera incompiuta, o rinnegata a furia di pennellate date a caso: un qualche cambiamento in "negativo", per farla corta. Ancora più allibito restò Lucrezio, suo stimatissimo e più anziano collega, nell’osservare il progredire dell’ultima opera di Aurelio, allorché, andandogli a portare un po’ di viveri ogni giorno, ne vedeva a stadi progressivi lo sviluppo. Lucrezio si rese infatti conto che ciò che pian piano si andava delineando sulla tela, era niente meno che un autoritratto, un genere assolutamente inconsueto per Aurelio. Per di più il buon uomo, normalmente molto umile e mansueto, vi si raffigurava nell’atto di brindare, e delineava con estrema precisione un sorriso presuntuoso, accentuato dall’inarcamento di un sopracciglio che gli conferiva un ché di supponente. Una mimica questa, del tutto fuori luogo, date le drammatiche circostanze e la ben nota repulsione del pittore per la ritrattistica. Lucrezio, nonostante il grado di confidenza e la curiosità, per mesi si limitò a fare allo sfortunato amico osservazioni vaghe, o addirittura preferì tacere, salvo poi discutere con la restante parte dei prodighi esegeti sulle cause di tale ostentata leggerezza. Alcuni sostenevano al riguardo, che egli rifiutasse di creder vero ciò che aveva perfettamente compreso, altri credevano fermamente che egli avesse, per così dire, escluso dalla sua coscienza la certezza della sua fine ormai imminente, altri ancora che ne fosse rimasta in lui meno di un barlume, mentre gli ultimi tacevano umilmente non volendo incasellare l’artigiano sotto un’etichetta che si sarebbe potuta rivelare nient’altro che un abbaglio. Insieme decisero che per venirne a capo, lo avrebbero arringato, per bocca di Lucrezio, fino a metterlo in fallo, sia che si trattasse di una consapevolezza mal gestita, sia che fosse invece la più insana delle incoscienze. Così, il giorno dopo la risoluzione stabilita, tutti si accalcarono all’angolo di strada che precedeva il piccolo atelier del buon Aurelio e convinsero Lucrezio a suon di calci niente colti, a lasciar lì le sue ultime reticenze.Aurelio accolse l’amico con sollievo, aveva molta fame infatti, e subito addentò il suo pane all’olio e rosmarino biascicando un "grazie" a bocca  piena. Lucrezio intanto, impaziente, decise di iniziare ad incalzarlo:
- Come stai oggi? -
Aurelio lo guardò colpito: "oggi" avrebbe presupposto simili domande più e più volte dalla triste novella, ed invece era la prima volta che la udiva.
- Avevo fame. - rispose Aurelio fissandolo.Lucrezio si sentì a disagio.
- E il tuo ritratto, come procede, fa’ vedere... -
- Accomodati… - invitò Aurelio sempre ruminando. Lucrezio osservò la tela, che era quasi finita, e questo lo fece un po’ più audace:
- Ormai ci siamo, no? È questione di settimane… - (voleva sondare il livello di coscienza dell’amico).
- Forse meno… - Lucrezio si toccò nervosamente il sopracciglio ed accennò un passo verso l’uscita, ma subito si fermò. Si limitò a rassettare la sua giubba, mentre Aurelio pungolava le briciole agli angoli della bocca per farsele cadere. Lucrezio si fece più diretto:
- Cos’hai provato quando l’hai saputo? - Aurelio non pensò poi tanto a lungo e ammise:
- Ne ho sofferto molto. -Vi fu una pausa di silenzio che Lucrezio proprio non riusciva a sostenere.
- E adesso? Non più? Non è un falso quello? - arringò perdendo le staffe e indicando la tela.
- Non lo è. - rispose Aurelio pacatamente.
- C’è chi ti ha visto piangere…- insinuò l’altro.
- E per questo io non son più quello? - disse il buon uomo indicando la tela.
- Sì, ma chi ti ha visto piangere… -
- Di certo ciò che prova non basta al suo timore di vedermi ancora. - ipotizzò il buon uomo con mitezza, mentre l’altro soppesava quei pensieri.
- Ma tu dei due chi sei? -
- Entrambi, ancora, certo, ben aldilà di chi mi ha visto piangere, ed aldilà di chi, tra i dubbi, continua ad entrare in questa casa…- concluse l’artigiano con amichevole complicità.
Lucrezio, finalmente appagato dal suo interrogatorio, rimase ancora a lungo, stavolta piacevolmente, con l’amico, e solo a tarda sera lo lasciò.
Rimasto solo, Aurelio aprì il cassetto del suo vecchio tavolo, estrasse la missiva e la rilesse. Ancora, come pochi mesi prima, essa lo informava che ben presto lo avrebbero condotto con onore, in cambio di una valida pensione, alla corte di un ottuso mecenate amante di tediose scene pastorali. Quanto gli parve bello allora il suo ritratto, e il poco tanto della sua modesta arte…
 

 
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sciopero della scuola a Bologna, c'è chi... può!

Post n°2 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da luca7.74
 
Foto di luca7.74

Sdrammatizzando sugli scontri...

Oggi la manifestazione, inutile e divertente, contro il "decreto Gelmini". Il corteo ha sfilato pacificamente per le strade della città; sia i genitori, sia gli insegnanti, sia gli alunni e le alunne di ogni ordine e grado, hanno marciato in una sorta di assemblea permanente: i primi commentando con timore il rischio di un aumento delle rette scolastiche, i secondi, nella persona del "Tripode" istruendo il sottoscritto sull'importanza della gnocca nella riuscita di un movimento di protesta, e le liceali, convinte che le teorie tripodiche si basassero sui loro culi, disquisendo sdegnate sul dilagare della pedofilia. Giunto in via Irnerio, l'affollatissimo corteo si è incrociato (si fa per dire) con un enorme stormo di uccelli migratori che hanno disegnato in cielo bellissimi arabeschi con i quali hanno composto lo sfottò: "noi andiamo al caldo, e voi no-o, lallero!". I manifestanti a naso per aria hanno subito strumentalizzato la situazione al canto dello slogan: "Anche- gli - uccellini!- Contro - la - Gelmini!", tra di essi, il Treppiedi e il sottoscritto si sono però staccati dal coro per abbracciare la causa di una pippa mentale molto poetica:
"Cambiamo punto di vista…sì, perché noi pensiamo che loro stiano migrando, ma anche loro, lì dall'alto, vedendo il corteo, magari stanno pensando: ecco un'altra specie animale che va svernare all'equatore".
Molto compiaciuti di quest'acuta riflessione, i due hanno poi nutrito più di un dubbio sulle loro conclusioni quando lo stormo di simpatici uccelli ha scacazzato loro addosso cinque chili buoni di merdina bianca. Il maestro Domenico intanto, come dire, teneva alta l'asta della sua bandiera da attivista, intrattenendo una manifestante con alcune annotazioni sociopolitiche dandy. Com'è noto in conseguenza a ciò si sono verificati scontri con la polizia. La cronologia degli eventi è stata questa: dal fondo del corteo qualche simpatico mattacchione ha cominciato ha urlare "Domenico- Maestro-C.ciapuoti! Di tutte le donne - l'ormone scuoti!", questo ha prodotto assembramenti di maestre e mamme "desiderose" , che tra tante cause giuste il povero dandy abbracciasse anche la loro,  e quest'ultimo, non riuscendo a soddisfare i desideri di tutte, non ha potuto impedire che si accalcassero gettando l'intero corteo nel caos. Inspiegabilmente, tra le forze dell'ordine, si è sparsa la voce che fosse un poliziotto ad essere rimasto in terra vittima di quella vera e propria aggressione, ed in effetti la scena, che ricordava molto il finale de "Il profumo", ha imposto al cordone di sicurezza di farsi strada tra i manifestanti a suon di manganello. Il maestro, poi riconosciuto come tale, è stato infine arrestato per aver sobillato col suo charme tutte quelle donne assatanate. Intervistato da alcuni giornalisti su questo incredibile fenomeno di arrapamento collettivo, il banditore ufficiale del corteo ha spiegato urlando: "C.ccia…- può! Berlusconi-no!"…


 
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"Cantastorie siciliano"

Post n°1 pubblicato il 28 Ottobre 2008 da luca7.74
 
Foto di luca7.74

Racconto "all’improvviso" che nasce da un carteggio con un’amica bresciana di origini abruzzesi e di vecchissima data che in una mail di qualche giorno fa mi ha chiesto, tra le chiacchiere, una storia del "cantastorie siciliano" che ricorda di aver conosciuto dodici anni fa a Bologna.

C’era una volta Ambrogio, un siciliano di passaggio a Bologna che andava a funghi e beveva grappa, diceva "pota" invece di "minchia", e, anche se solo ogni tanto, "ce l’aveva duro" (sai i cali ormonali...). I suoi conterranei lo giudicavano strano, e non perché non gestisse alcun racket e non trafficasse con l’acido, ma perché mangiava pizzoccheri con le sarde e sella di capriolo con contorno di melanzane alla parmigiana... Anche "giù al nord", a dire il vero, tutti lo snobbavano per queste stranezze, almeno finché non arrangiò "vitti ’na crozza" con un coro alpino: allora, durante un concerto in Valmalenco, conobbe un’esule come lui, una ragazza svizzera originaria di Casalpusterlengo, che lo fece inserire nel moderno contesto settentrionale e con la quale si trasferì però in Abruzzo dove incontrò una bresciana in cerca delle sue antiche origini che aveva aperto un ristorante che fu presto segnalato dal "Gambero rosso" e le cui specialità erano gli "arrosticini tarantini", un’invenzione culiniraria venuta alla "bresciana" dopo aver visto una guida della Puglia tra i volumi di una libreria di cui aveva inspiegabilmente infranto i vetri. Ambrogio si accordò con la bresciana per tentare di piazzare il prodotto A Sousse, in Tunisia, dove, secondo un comune amico norvegese stanziato a Marina di Maratea, l’agnello andava fortissimo. Purtroppo, o per fortuna, l’aereo precipitò nella provincia di Siracusa ed egli morì nell’incidente insieme agli altri 148 passeggeri. I soccorritori restarono stupefatti quando videro che il suo cadavere, a dispetto degli altri totalmente sfigurati, non aveva alcun graffio. Pensarono che almeno in un caso il riconoscimento sarebbe stato una pinzilacchera e quasi risero quando notarono che la sua carta d’identità indicava proprio Siracusa come sua città natale. Com’è buffa la vita: di tutte le vittime fu l’unico che nessun presunto parente riconobbe. Un maresciallo veneto rimasto vedovo tra siculi e sicani dopo l’inutile "operazione vespri siciliani", guardando un foglio, non faceva che ripetere a due anziani : "Ma dalle carte figura figlio vostro!" E quelli continuavano a rispondere: "Ma chi lo conosce questo... nostro figlio è al nord, al continente, di questo noi non ne vogliamo saper niente!". Gli amici in compenso lo cercarono, prima su skype, (dove però non aveva un contatto), poi su live messanger e infine, infuriati, su facebook. I vari pseudonimi in cui s’imbatté, convinsero la "bresciana" che Ambrogio era una specie di Lupin d’incerta provenienza che, in barba ad ogni sua speranza, l’aveva irrimediabilmente derubata di quella sua trovata culinaria con la quale, (se ne infuriò),quel meticcio mezzo hobbit e mezzo scemo, si sarebbe arricchito alle sue spalle, alla faccia dell’agnello e dei tarantini tuttinfila manco fossero trentini. Nessuno seppe mai che la sua salma esposta in obitorio fu trafugata da una banda di cinesi casalesi che la imbarcò su un "cargo battente bandiera liberiana" con cui approdò, stavolta tumefatta, nella provincia vietnamita di Shenyang dove fu lavorata per ricavarne dei portafogli falsi-Cartier da immettere sul modesto mercato afganistano...

 
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 Ombre nella pioggia... azz non ho trovato una versione video migliore...



 
 

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