Alitalia: senza parole

Post n°10 pubblicato il 18 Settembre 2008 da rassegnastampa.ds
 
Foto di rassegnastampa.ds

Purtroppo, ormai ci stiamo veramente abituando a tutto. Personalmente, non c’è  quasi più niente che mi stupisce e la mia capacità di indignarsi è, giorno  per giorno, messa a dura prova. La vicenda Alitalia probabilmente ha dato il  colpo di grazia. Sono talmente disgustato dalla vicenda che in un primo momento  avevo pensato di non scrivere proprio nulla. Poi, considerato che avevamo  affrontato il tema circa le dichiarazioni in campagna elettorale di Berlusconi  le quali, a nostro avviso, configurerebbero il reato di aggiotaggio, mi sono  deciso a scrivere due righe di commento.

È noto che Alitalia avrebbe dovuto fallire ormai da molti anni a causa di una  gestione sciagurata essenzialmente politica. Decine e decine di opportunità per  rimettere in sesto la baracca sono state gettate alle ortiche a causa di  interessi particolari.   Nel marzo di quest’anno il precedente Governo aveva provato a stringere una  accordo con AirFrance-KLM. Si trattava, ovviamente, di una soluzione più che  criticabile dal momento che la situazione era già allora disperata. Quando si  tenta di risolvere un problema incancrenito da anni, non esistono soluzioni non  criticabili.

La soluzione AirFrance-KLM prevedeva, fra l’altro, il pagamento di alcune  centinaia di milioni per le azioni di Alitalia e l’assunzione di tutti i debiti  della società nonché un piano (più o meno criticabile) di sviluppo e  investimenti.

Berlusconi entrò a gamba tesa nella trattativa in piena campagna elettorale  (commettendo, fra l’altro, a mio avviso, un palese reato sul quale la Consob  ha aperto un’indagine di cui non si è più saputo nulla) facendola  sostanzialmente naufragare e obbligando, successivamente, il Governo Prodi dopo  aver perso le elezioni a rimpinguare la casse della morente Alitalia di altri  300 milioni di euro prelevati dalle tasche dei cittadini.

Vinte le elezioni, Berlusconi ha presentato il suo piano di “salvataggio” (che  in realtà è una liquidazione): i debiti li paghano tutti gli italiani e le  poche cose di valore vanno ad un gruppo di sedici imprenditori scelti dal  governo! Alitalia è già costata agli italiani miliardi di euro ed è destinata  a presentarci ancora un conto molto salato. Con la precedente soluzione si  riscuoteva qualcosa e la compagnia entrava a far parte di un forte gruppo  internazionale. Con il piano Berlusconi gli italiani pagheranno un conto  salatissimo ed avremo una piccola società italiana che prima o poi finirà  comunque nell’orbita di un grande vettore da una posizione ancora più debole di  quella dello scorso marzo.

È impressionante come per realizzare questo “capolavoro” si continui a  calpestare scientificamente le leggi, non solo quelle del mercato, ma anche  quelle formali. Il progetto prevede, nero su bianco, la sospensione delle leggi  in materia di anti-trust e la possibilità di vendere beni pubblici non con una  legittima gara ma con una trattativa privata!  Si avvantaggiano così imprenditori privati, facendoli passare anche per  salvatori della patria facendo pagare un conto salatissimo a tutti gli italiani.

Fra i sedici “salvatori della patria” ci sono i Benetton, pubblici concessionari  di Autostrade e gestori dell’aeroporto di Fiumicino. Ma il colpo grosso l’ha  fatto sicuramente il proprietario di AirOne, Carlo Toto, il cui nipote è stato  candidato ed eletto con il Popolo della Libertà. I 450 milioni di euro di  debiti della AirOne finiranno nel calderone dell’Alitalia. La questione di  AirOne, potenzialmente, potrà creare dei grandi grattacapi a livello europeo  poiché fra i vincoli per il così detto prestito ponte di 300 milioni di euro  fatti a marzo vi era l’obbligo per Alitalia di non espandersi per almeno un  anno. Con l’acquisizione di AirOne evidentemente questo vincolo è stato  infranto.

A guidare la truppa dei salvatori della patria c’è Colaninno, il cui figlio è  Ministro  ombra nel governo ombra. Da bravo ministro ombra, ovviamente, non ha  proferito parola su tutta la vicenda.

Ci sono moltissime cose che non vanno nel piano di “salvataggio” di Alitalia, ma  quella che maggiormente interessa in questa sede è il gravissimo impiego del  fondo per la tutela delle vittime delle frodi finanziarie per gli azionisti e  gli obbligazionisti di Alitalia. Personalmente non  sono mai stati favorevole  all’istituzione di questo fondo per ragioni che sarebbe lungo spiegare ma -  di  grazia – qualcuno ci vuole spiegare cosa c’entrino le frodi finanziarie con il  caso Alitalia?

Vogliamo dire che lo Stato ha frodato i risparmiatori? Per  quanto riguarda gli  azionisti, proprio non si comprende perché mai meriterebbero di essere  tutelati. Chi è stato così folle da investire in azioni dell’Alitalia sapeva  benissimo di investire in un’azienda che per vent’anni non ha fatto altro che  perdere soldi. Perché mai dovrebbe essere risarcito? Diverso è il discorso per  gli obbligazionisti, ma – anche qui – perché mai usare il fondo per le frodi  finanziarie? Di quali frodi stiamo parlando?  Una classe politica che riesce non dico ad attuare, ma solo a pensare, un  progetto come questo di Alitalia, è veramente capace di tutto.
Alessandro PEDONE       
associazione consumatori ADUC

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Poveri maestri in lutto

Post n°9 pubblicato il 16 Settembre 2008 da rassegnastampa.ds
 
Foto di rassegnastampa.ds

Cosa non si fa per la visibilità. È stato annunciato che in alcune città i bambini delle elementari troveranno domani, primo giorno di scuola in molte regioni, maestri e maestre con il lutto al braccio e aule addobbate con paramenti funerari. In questo modo gli educatori dell’italica infanzia esprimeranno la loro avversità alle riforme decise o avviate dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Non nego, sia chiaro, che gli insegnanti, artefici e vittime insieme della bancarotta scolastica, abbiano solidi motivi di lagnanza. Forse un tantino meno solidi di quelli di molti operai che, essendo la loro azienda fallita come è fallita la scuola italiana, si trovano senza lavoro e senza stipendio.
Non voglio cedere al giuoco troppo facile delle comparazioni. Mi limito a dire che il lutto al braccio - per la scuola ma per tante altre istituzioni pubbliche, a cominciare dalla giustizia - lo dovrebbero mettere i cittadini italiani. I quali sono invece rintronati dai gridi di dolore che l’armata burocratica - nella quale il personale dell’istruzione è dominante - leva al cielo. Capisco benissimo - ripeto - il disagio di chi opera nella macchina pubblica e quotidianamente constata le disfunzioni cui è soggetta. Ma le denunce degli addetti ai lavori riguardano quasi esclusivamente i malumori degli addetti stessi, e solo in minima parte le insoddisfazioni degli utenti.

A me sembra che le idee della Gelmini siano buone, e questo conta zero. Conta invece che sembrino buone - lo attestano i sondaggi - alla maggioranza degli italiani: convinti, con il buon senso della gente comune, che le riforme del duplice o triplice o quadruplice maestro, sbandierate come straordinarie conquiste pedagogiche, fossero soltanto espedienti per moltiplicare i posti: e quindi consolidare il non lodevole primato dell’Italia nell’avere più insegnanti - in rapporto agli alunni - d’ogni altro importante Paese d’Europa. L’avere tanti insegnanti, ribatte qualcuno, è una bella cosa. Bella o brutta è terribilmente costosa e impedisce di pagare adeguatamente chi lo meriterebbe. A meno che si voglia tessere l’elogio del precettore unico che usava nelle casate principesche.

Sì, tanti cittadini vorrebbero mettere il lutto al braccio ma non lo fanno per amor di Patria. Invece questa ostentazione di sfiducia nel futuro, di diffidenza verso le istituzioni, di pessimismo egoistico, viene da chi dovrebbe ispirare valori civici ai piccoli.


Allarmati invece da simboli di morte, dall’inquietante annuncio di chi sa quale imminente catastrofe. Per il modo e per i luoghi in cui avverrà, se davvero come temo avverrà, la sceneggiata magistrale non potrà lasciare che amarezza e nostalgia: per ciò che la scuola fu e che non è più.


Mario Cervi           
da "il Giornale" del 15/09/2008

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Salvate Bocca di rosa dalla galera

Post n°8 pubblicato il 12 Settembre 2008 da rassegnastampa.ds
 
Foto di rassegnastampa.ds

L'unica libertà degna di questo nome è quella di perseguire il proprio bene a modo proprio. Sarebbe eccessivo liquidare così, rispolverando il vecchio John Stuart Mill, il disegno di legge «Misure contro la prostituzione» che arriverà in Consiglio dei ministri oggi, iniziativa del ministro Mara Carfagna. Il ddl non mette fuori legge la prostituzione, ma rende illegale quella "stradale": prevedendo per i trasgressori, prostitute o clienti che siano, sanzioni fino all'arresto.

Sorvoliamo sul non trascurabile dettaglio che un esito possibile del provvedimento, è quello di riempire le nostre carceri di persone che hanno commesso un "crimine senza vittime". In gioco, stavolta, c'è anche il modo d'intendere i limiti dello Stato, il raggio d'azione della politica. Il ministro Carfagna è persona ragionevole e di sentimenti liberali. Speriamo ci ripensi.
È vero che la prostituzione di strada non è una forma particolarmente gradevole di arredo urbano. È vero che crea problemi, imbarazzi, un senso diffuso di insicurezza e precarietà in tante famiglie - che rincasano nelle periferie delle grandi città. È vero che sarebbe auspicabile un mercato del sesso più discreto e sicuro, più trasparente e pulito, gioiosamente ludico come le vetrine di Amsterdam o più appartato non importa: riservato a chi ne vuole fruire, che non "inquini" la vita degli altri.

Detto questo, il governo non ha, e comprensibilmente, un disegno coerente. Le proposte volte ad aprire quartieri a luci rosse in Italia (da quella di Tiziana Maiolo a Milano nel '92 in poi) non hanno mai avuto vita facile: troppo difficile creare consenso, troppo incombente lo spettro di un crollo dei valori immobiliari nelle zone deputate, troppo forte il pregiudizio contro la "normalizzazione" del sesso a business fra gli altri. Si possono biasimare i pregiudizi, ma pure i pregiudizi hanno un senso.
Il nodo di Gordio della disciplina della prostituzione, in Italia, è l'illecito dello sfruttamento e dell'adescamento - che, detto per inciso, non ha mai eccessivamente spaventato i criminali. Lo sfruttamento della prostituzione è brutta espressione che designa storiacce di cronaca ma, al fondo, è anche un "mestiere". La necessità di questo mestiere è palmare quando si pensa a tutti i rischi che chi batte, più o meno consapevolmente, corre. È sacrosanto provare a frenare fenomeni di marca schiavile. Ma mantenendo nel perimetro dell'illegalità la mera prospettiva di dare organizzazione imprenditoriale al business del sesso, si decreta l'impossibilità della sua "normalizzazione". Levare le donnine dalle strade sarebbe poi questo.

Svariati tentativi di "fare pulizia", a livello locale e nazionale, sono finiti nel nulla. Mara Carfagna può scrivere il proprio nome in coda alla lista dei moralizzatori. Oppure può ritirare mano e sasso. E non in virtù di un'altra visione della possibile "regolazione" del mercato del sesso. Ma perché un governo ha tutto il diritto, di non avere alcuna visione coerente della "regolazione" del mercato del sesso. Ha il diritto di rimanere in silenzio, quando si parla di cose che attengono la sfera dei comportamenti più privati, del modo che un individuo ha di intendere la propria sessualità, di un commercio troppo particolare perché richieda una partita Iva.

È il mestiere più antico del mondo, sopravvissuto a un millenario via vai non di governi, ma di sistemi politici, all'ascesa e alla caduta di interi Stati. L'educazione insegna che ci sono cose di cui, a tavola, sta meglio non dire. Chiudere gli occhi può essere l'alternativa più dignitosa. Figurarsi in situazioni politicamente ed economicamente complesse, quando l'agenda è altra. Il pil non cresce, l'Italia è ferma, e il governo arresta Bocca di rosa?
Alberto Mingardi
Da IL Riformista, 11/09/2008

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

La fine del liberismo?

Post n°7 pubblicato il 30 Agosto 2008 da rassegnastampa.ds
 
Foto di rassegnastampa.ds

A quanto pare il liberismo selvaggio sta finalmente tirando le cuoia. A gran voce si chiede che la mano pubblica porti soccorso al settore finanziario, lo scavezzacollo che gridava indipendenza e che si sta letteralmente schiantando contro un muro di debitori insolventi. È la fine dei lunghi anni ’90, quelli della globalizzazione ruggente e del liberismo sfrenato.

Come spesso è il caso, questa immagine sembra un po’ troppo semplice e unilaterale. Fannie Mae per esempio, la famosa agenzia di prestiti immobiliari ormai tenuta in piedi dal Tesoro statunitense, non è una ditta liberista, bensì un’agenzia federale, più precisamente la Federal National Mortgage Association. Guarda caso, fondata nel 1938 da Franklin Delano Roosevelt come parte del suo New Deal, il primo grande programma di interventismo keynesiano teso a parzialmente statalizzare l’economia statunitense sul modello delle economie pianificate comuniste e fasciste, come Roosevelt stesso non nascondeva.
Forse sarebbe davvero il caso di gridare che il re è nudo. Tutta la crisi attuale non ha nulla a che fare con il liberismo che, ricordiamolo, significa in italiano laissez-faire e non esiste più da circa 130 anni. In un mercato libero chi fa errori paga di tasca propria, se caso fallendo. Il credito non viene prodotto dal nulla dalle banche centrali a prezzi (i tassi d’interesse) fissati politicamente. Lo Stato non fa da agenzia per prestiti ipotecari per la metà della massa immobiliare, come appunto negli USA.

Il liberismo non è morto perché non c’è proprio. La spesa pubblica in rapporto al reddito nazionale è cresciuta in quasi tutti i paesi dal secondo dopoguerra e per anni la massa monetaria è stata aumentata nel mondo occidentale a ritmi tanto alti da generare gli effetti macroscopici lentamente sotto gli occhi di tutti. L’inflazione (una forma di fiscalità) non a caso sta raggiungendo i massimi storici degli ultimi otto anni: nei 30 paesi dell’OECD siamo al 4.4% su base annua in giugno. Se per giunta si calcolasse l’inflazione americana con le vecchie formule poi cambiate dall’amministrazione Clinton, come fa il sito www.shadowstats.com dell’economista John Williams, noteremmo già oggi tassi negli USA superiori all’8%!
In sostanza, un’enorme e crescente bolla di liquidità creditizia si è mossa anno dopo anno da un mercato all’altro. Dopo i titoli tecnologici, nel 2001 l’onda di liquidità ha scelto il mercato immobiliare, e abbandonato questo migra ora verso energia e alimentari. Se anche gli indici borsistici o i prezzi immobiliari avessero fatto parte dell’indice dei prezzi, avremmo forse osservato gli attuali tassi d’inflazione già anni fa. La fantasia di una sconsiderata ingegneria finanziaria ha sicuramente aiutato, ma la questione centrale rimane da dove provenga tutto questo denaro. Se la massa monetaria mondiale fosse stata relativamente fissa, i soldi per giocare sarebbero finiti prima e con loro la degenerazione del sistema finanziario. Qui sta a mio avviso la chiave di volta della crisi attuale, che è di natura monetaria come il ’29: troppo credito creato dal nulla dalle banche centrali (anziché dai risparmi privati).

Chi vende il “più Stato” alla luce della situazione attuale scherza molto pericolosamente col fuoco. In tutta la storia dell’umanità l’instabilità economica è aumentata al passo con la discrezionalità del potere politico, fino al tracollo. È successo ai Babilonesi, nell’antica Roma del tardo Impero, nella Cina del 1500, nell’Unione Sovietica. Purtroppo, anche stavolta la mano pubblica farà di tutto per salvarci dai problemi che lei stessa ha causato nel passato, quando artificialmente stimolò l’attività economica. Un’ottima occasione per lei per aumentare ulteriormente la discrezionalità politica con la scusa di salvarci dagli eccessi del liberismo selvaggio, che non c’è.
Paolo Pamini
Da Il Corriere del Ticino 29/08/ 2008

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Sei grasso? Paga una tassa in più

Post n°6 pubblicato il 23 Agosto 2008 da rassegnastampa.ds
 
Foto di rassegnastampa.ds

Lo Stato dell’Alabama ha introdotto la tassa che mancava: quella sull’obesità. I suoi 37.527 dipendenti pubblici hanno infatti un anno di tempo per rimettersi in forma: coloro che alla fine di questa specie di ultima spiaggia risulteranno in sovrappeso saranno costretti a pagare un premio assicurativo di 25 dollari al mese.
Come tutte le follie dello Stato Etico, naturalmente anche questa viene fatta passare come una misura a fin di bene. E come sempre in questi casi c’è tutto un mondo pronto a cadere nella trappola: è il caso della nostra Coldiretti, che ieri ha salutato la decisione dell’Alabama con un comunicato nel quale si sottolinea la gravità della situazione. Si snocciolano dati su adipe e colesterolo, glicemia e diabete, pressioni minime e massime: i ciccioni - insieme con i fumatori, l’effetto serra, lo scioglimento dei ghiacci e le centrali nucleari - sono ormai entrati a pieno titolo fra i nuovi mostri che distruggeranno la Terra. Chi ingrassa avvelena anche te, è il nuovo slogan di salutisti e ambientalisti.
In realtà, dietro il volto buono del medico condotto che si prende cura di te lo Stato Etico nasconde la sua natura totalitaria. Finiti fascismo, nazismo e comunismo, l’ultimo totalitarismo è ormai questa ideologia che pretende di dettarci l’agenda quotidiana. Non credo che l’aggettivo «totalitario» sia esagerato. Anzi. Il controllo che si vuole imporre alla nostra vita privata è totale. Lo dico in modo paradossale: fascismo e comunismo si limitavano a chiederci di pensarla come loro sulla politica. Questi invece si impicciano delle nostre faccende più intime: sfìlati la sigaretta di bocca, infìlati il preservativo, non bere più di tot, non mangiare più di x, non pesare più di y. Dopo la camera da letto e la sala da pranzo, il nuovo totalitarismo ha deciso di dettare le regole perfino in bagno: i nazisti inaugurarono la guerra-lampo, gli ecologisti la doccia-lampo, per non sprecare acqua puzzeremo un po’ ma come al solito sarà per il nostro bene. Un’attenzione particolare è poi riservata ai momenti in cui siamo seduti sul water: da qualche tempo è in vigore una legge che impone due tipi di sciacquoni, uno per la pipì e uno per la popò. Un noto ecologista ha comunque consigliato (non sto scherzando) di limitare l’uso del secondo a non più di una volta la settimana per tutelare le risorse idriche.
La cosa drammatica è che ormai accettiamo tutto senza reagire. Anzi, il loro naso infilato sotto le nostre lenzuola e sopra le nostre tovaglie ci sembra quasi rassicurante. Come in tutte le dittature, c’è un periodo del consenso. Ieri ho letto commenti soddisfatti alla tassa anti-grasso dell’Alabama: gli obesi, dicono gli immancabili esperti, sono un costo sociale. Non ne dubito. Ma mi domando se non siano un costo sociale anche gli allergici, i depressi, i ciechi, i sordi, i malati di cancro, insomma tutti quelli che hanno bisogno di assistenza e di cure: facciamo pagare una tassa anche a loro? Un collega mi ha obiettato: ma l’obeso è obeso per colpa sua, mangia troppo. Ammesso che sia così (e non credo) si potrebbe rispondere che anche i malati di influenza e quelli di lombalgia (prime cause di assenza dal lavoro, a proposito di costi sociali) non sono innocenti: i primi potrebbero coprirsi di più, i secondi tenere una postura corretta.
La verità è che quando si entra nella spirale del politicamente corretto non si finisce più. Per esempio: qualcuno ha fatto presente che non esiste una sola prova scientifica dei danni provocati dal fumo passivo. I Sirchia di tutto il mondo hanno replicato: non importa, in ogni caso il fumo dà fastidio a chi sta accanto. Verissimo. Ma se si resta fedeli a questa logica si presenteranno presto problemi di non facile soluzione: negli Stati Uniti sono già sorte associazioni che chiedono una legge che vieti l’uso dei profumi in luoghi aperti al pubblico. Qualcuno, ai profumi, è allergico; qualcun altro semplicemente insofferente. Perché costringerli a inalare uno Chanel numero 5?
Non ho interessi particolari. Non sono obeso (78 chili per un metro e 86) e purtroppo ho smesso di fumare da tempo. Ma mi infastidisce un conformismo così folle da voler uniformare le nostre silhouette e così ipocrita da prendere di volta in volta di mira alcune categorie e renderne intoccabili altre. Contemporaneamente alla crociata anti-fumo, si conduceva quella per la libertà di drogarsi (chiedere ai familiari della ragazza incinta travolta ieri ad Anzio da un drogato se è vero che «chi si droga fa male solo a se stesso, sono fatti suoi»); adesso sono gli obesi a fare i conti con una certa disparità di giudizi. Non solo in Alabama. In Inghilterra più di quattrocento amministrazioni locali hanno avviato un procedimento per togliere i bambini troppo grassi ai genitori. Nella stessa Inghilterra, dal dicembre del 2005 le coppie gay possono però adottare un bambino. Non so se per un bambino sia peggio crescere con una mamma e un papà un po’ distratti al momento della merendina oppure con due papà (o due mamme). Mi permetto di avanzare qualche dubbio. Ma mi rendo conto di fare discorsi omofobi, che non si usano fra gente perbene.

Michele BRAMBILLA
da "Il Giornale" del 23/08/2008

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
« Precedenti
Successivi »
 
 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

bagnaroto1981dolceamore2007FiorVitamilionidieuroKemper_B0ydalidifarfalla5pazza1986p
 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963