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La fine del liberismo?

Post n°7 pubblicato il 30 Agosto 2008 da rassegnastampa.ds
 
Foto di rassegnastampa.ds

A quanto pare il liberismo selvaggio sta finalmente tirando le cuoia. A gran voce si chiede che la mano pubblica porti soccorso al settore finanziario, lo scavezzacollo che gridava indipendenza e che si sta letteralmente schiantando contro un muro di debitori insolventi. È la fine dei lunghi anni ’90, quelli della globalizzazione ruggente e del liberismo sfrenato.

Come spesso è il caso, questa immagine sembra un po’ troppo semplice e unilaterale. Fannie Mae per esempio, la famosa agenzia di prestiti immobiliari ormai tenuta in piedi dal Tesoro statunitense, non è una ditta liberista, bensì un’agenzia federale, più precisamente la Federal National Mortgage Association. Guarda caso, fondata nel 1938 da Franklin Delano Roosevelt come parte del suo New Deal, il primo grande programma di interventismo keynesiano teso a parzialmente statalizzare l’economia statunitense sul modello delle economie pianificate comuniste e fasciste, come Roosevelt stesso non nascondeva.
Forse sarebbe davvero il caso di gridare che il re è nudo. Tutta la crisi attuale non ha nulla a che fare con il liberismo che, ricordiamolo, significa in italiano laissez-faire e non esiste più da circa 130 anni. In un mercato libero chi fa errori paga di tasca propria, se caso fallendo. Il credito non viene prodotto dal nulla dalle banche centrali a prezzi (i tassi d’interesse) fissati politicamente. Lo Stato non fa da agenzia per prestiti ipotecari per la metà della massa immobiliare, come appunto negli USA.

Il liberismo non è morto perché non c’è proprio. La spesa pubblica in rapporto al reddito nazionale è cresciuta in quasi tutti i paesi dal secondo dopoguerra e per anni la massa monetaria è stata aumentata nel mondo occidentale a ritmi tanto alti da generare gli effetti macroscopici lentamente sotto gli occhi di tutti. L’inflazione (una forma di fiscalità) non a caso sta raggiungendo i massimi storici degli ultimi otto anni: nei 30 paesi dell’OECD siamo al 4.4% su base annua in giugno. Se per giunta si calcolasse l’inflazione americana con le vecchie formule poi cambiate dall’amministrazione Clinton, come fa il sito www.shadowstats.com dell’economista John Williams, noteremmo già oggi tassi negli USA superiori all’8%!
In sostanza, un’enorme e crescente bolla di liquidità creditizia si è mossa anno dopo anno da un mercato all’altro. Dopo i titoli tecnologici, nel 2001 l’onda di liquidità ha scelto il mercato immobiliare, e abbandonato questo migra ora verso energia e alimentari. Se anche gli indici borsistici o i prezzi immobiliari avessero fatto parte dell’indice dei prezzi, avremmo forse osservato gli attuali tassi d’inflazione già anni fa. La fantasia di una sconsiderata ingegneria finanziaria ha sicuramente aiutato, ma la questione centrale rimane da dove provenga tutto questo denaro. Se la massa monetaria mondiale fosse stata relativamente fissa, i soldi per giocare sarebbero finiti prima e con loro la degenerazione del sistema finanziario. Qui sta a mio avviso la chiave di volta della crisi attuale, che è di natura monetaria come il ’29: troppo credito creato dal nulla dalle banche centrali (anziché dai risparmi privati).

Chi vende il “più Stato” alla luce della situazione attuale scherza molto pericolosamente col fuoco. In tutta la storia dell’umanità l’instabilità economica è aumentata al passo con la discrezionalità del potere politico, fino al tracollo. È successo ai Babilonesi, nell’antica Roma del tardo Impero, nella Cina del 1500, nell’Unione Sovietica. Purtroppo, anche stavolta la mano pubblica farà di tutto per salvarci dai problemi che lei stessa ha causato nel passato, quando artificialmente stimolò l’attività economica. Un’ottima occasione per lei per aumentare ulteriormente la discrezionalità politica con la scusa di salvarci dagli eccessi del liberismo selvaggio, che non c’è.
Paolo Pamini
Da Il Corriere del Ticino 29/08/ 2008

 
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