Il sogno di Icaro

E’ l’ alba a ottomilaquattrocento metri sul livello del mare.
Maschere silenziose dalle quali si affacciano occhi incuriosititi e fissi, corpi tendenzialmente inerti ed all’apparenza rilassati nell’aria cristallizzata della carlinga gelata di Falco. Cristalli di ghiaccio come trina  si sono posati sugli strumenti, sulle parti metalliche, sugli oblò, sul grande polmone d’acciaio verde che contiene il soffio vitale, l’ossigeno,  che le maschere pompano attraverso cannule trasparenti, nutrici di vita lassù dove la vita non esiste più, se non nei venti potenti e gelati.
Nel nero si comincia a distinguere a poco a poco, verso est, una sottile linea rosa separare il cielo dal mare di nubi. Si allarga e si stende nel tempo stesso che cambia di colore, un momento rosso fuoco, riflesso dal bordo d'attacco dell'ala di Falco.
Il resto del mondo è soltanto grigio.
La luce non ce la fa ancora a rompere il letto grumoso delle nubi le cui onde montagnose parallele e monotone si stendono a perdita d'occhio, senza un buco, senza una fessura, scivolando impercettibilmente sotto la pancia di Falco che sembra sospeso, immobile, uccellaccio metallico rumoroso e senza peso sopra qualche gassoso pianeta, di qualche astro morto, fuori del tempo, disabitato e gelato.
La porta si apre sul vuoto e si alza come un ponte levatoio. Un agguato i cui stratagemmi sono ben noti ed accettati.
Le maschere vengono tolte ed il respiro si trattiene dentro i polmoni. Nessuno può parlare senza respirare ed i gesti silenziosi mimano gli ordini.
Un brivido s’infila nei corpi e nei cuori. Sotto lo zero di 45 gradi un tremito di più che vuoi che sia?
Un indice fende l’aria dall’alto in basso indicando il vuoto. La vita batte nel petto e d’improvviso salta.