Creato da: rosario71dgl il 09/03/2008
E' una bella prigione, il mondo. (Shakespeare, Amleto)
Dino Buzzati nasce il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino, nei pressi di Belluno. Sin dalla giovinezza si manifestano in lui gli interessi, i temi e le passioni del futuro scrittore, ai quali resterà fedele per tutta la vita: la poesia, la musica (studia violino e pianoforte e non bisogna dimenticare che in futuro scriverà anche alcuni libretti d'Opera), il disegno, e la montagna, vera compagna dell'infanzia, a cui è anche dedicato il suo primo romanzo, "Barnabo delle montagne". A soli quattordici anni rimane orfano dell'amato padre, il quale si spegne a causa di un tumore al pancreas. L'evento sconvolge così tanto il piccolo Buzzati che per molto tempo vivrà nell'ossessione di essere colpito dallo stesso male. Svolti i regolari studi, nei quali si dimostra bravo e diligente, ma nulla più, si reca nella caserma della sua città per svolgere il servizio militare: sei mesi di scuola allievo ufficiale, tre mesi da sottufficiale (sergente) e quattro mesi da sottotenente. Scrittore in erba, fin dalla giovinezza tiene un diario dove si abitua ad annotare opinioni e avvenimenti. Dentro di lui, infatti, prende sempre più corpo il desiderio e il sogno di dedicarsi professionalmente a qualunque mestiere che prevedesse la scrittura. E' assai attirato ad esempio dal giornalismo ed ecco che, nel Luglio del 1928, ancor prima di concludere gli studi in legge, entra come praticante al "Corriere della Sera". Dopo la laurea, invece, inizia la collaborazione al settimanale "Il popolo di Lombardia" mentre poco dopo esce il già citato "Barnabo delle montagne", che ottiene un buon successo. La stessa sorte, purtroppo, non accade alla sua seconda prova narrativa, "Il segreto del Bosco Vecchio", accolto con sostanziale indifferenza. Nel gennaio del 1939 consegna il manoscritto del suo capolavoro, del suo libro più amato e conosciuto, quel "Il deserto dei Tartari" che diverrà un emblema della letteratura del Novecento. Il romanzo è la storia di un giovane militare, Giovanni Drogo, che inizia la propria carriera nella fortezza Bastiani, che sorge isolata ai confini di un immaginario regno e in un'epoca non precisata. Se inizialmente, per Drogo, quella fortezza è un luogo chiuso, inospitale e che non gli offre alcun futuro, col passare del tempo vi si abitua , fino a non volerla (e non poterla) più lasciare, sia a causa della perdita di contatti col resto del mondo, sia per la continua speranza che un giorno i Tartari, dal deserto, attacchino la fortezza. E' chiaro dunque che in tale romanzo è fondamentale l'allegoria che vi è sviluppata, sebbene non siano mai abbandonate la verosimiglianza delle situazioni e l'attenta descrizione di personaggi che diventano quasi dei tipi. La vita di Drogo simboleggia la vita umana, che è incalzata dal passare del tempo e dalla solitudine, in un mondo, rappresentato dalla fortezza, fatto di leggi assurde e speranze inutili. Altro punto messo in rilievo da Buzzati è come gli uomini continuino ad ingannarsi: Drogo si ripete in continuazione che "l'importante è ancora da cominciare", e continua ad alimentare le sue speranze sebbene nulla le suffraghi. Buzzati sembra dirci, con questo romanzo, che per l'uomo è meglio desiderare poco, che si sappia accontentare, poichè il mondo, il gioco della vita, concedono poco e sono pronti a disilludere le più spericolate o nobili ambizioni. Il primo lettore che riceve il manoscritto è l'amico Arturo Brambilla che, dopo un'entusiastica lettura, lo passa a Leo Longanesi, il quale stava preparando una nuova collezione per Rizzoli denominata il "Sofà delle Muse". Su segnalazione di Indro Montanelli, questi ne accetta la pubblicazione; tuttavia, in una lettera, Longanesi prega l'autore di cambiare il titolo originario "La fortezza", per evitare ogni allusione alla guerra ormai imminente. In seguito, Buzzati si imbarca a Napoli sulla nave Colombo e parte per Addis Abeba, come cronista e fotoreporter, inviato speciale del "Corriere della Sera". E' il 1939 e la seconda guerra mondiale è alle porte. L'anno successivo, infatti, parte dallo stesso porto come corrispondente di guerra sull'incrociatore Fiume. Partecipa così seppure come testimone, alle battaglie di Capo Teulada e di Capo Matapan ed alla seconda battaglia della Sirte, inviando i suoi articoli al giornale. Sarà sua anche la "Cronaca di ore memorabili" apparsa sulla prima pagina del "Corriere della Sera" il 25 aprile 1945, giorno della Liberazione. Nel 1949 esce il volume di racconti "Paura alla Scala" e nel giugno dello stesso anno è inviato dal "Corriere della Sera" al seguito del Giro d'Italia. Nel 1950 l'editore Neri Pozza di Vicenza stampa la prima edizione degli 88 pezzi di "In quel preciso momento", una raccolta di note, appunti, racconti brevi e divagazioni mentre, quattro anni dopo, esce il volume di racconti "Il crollo della Baliverna", col quale vincerà, ex aequo con Cardarelli, il Premio Napoli. L'8 giugno del 1961 muore la madre e due anni dopo egli scriverà la cronaca interiore di quel funerale nell'elzeviro "I due autisti". Seguono anni di viaggi come inviato del giornale. L'8 dicembre 1966 sposa Almerina Antoniazzi, la donna che, seppure alla lontana e in un'ottica romanzata, gli aveva ispirato il tormentato "Un amore". Nel 1970 gli viene assegnato il premio giornalistico "Mario Massai" per gli articoli pubblicati sul "Corriere della Sera" nell'estate 1969 a commento della discesa dell'uomo sulla Luna. Il 27 febbraio 1971 viene rappresentata a Trieste l'opera in un atto e tre quarti del maestro Mario Buganelli dal titolo "Fontana", tratta dal racconto "Non aspettavamo altro". E' invece il 1971 quando comincia ad avvertire i sintomi della malattia (un tumore al pancreas, esattamente come il padre) che lo porterà alla morte.
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