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La Caletta dello Zaffiro

Post n°43 pubblicato il 04 Febbraio 2014 da rmlegginventa
 

 

Guardava lo specchio e lo specchio le rispondeva. Le restituiva la sua immagine splendente, raggiante, di donna che prepara la sua pelle, i suoi occhi, il suo cuore, al giorno più importante della sua vita. Un raggio di sole, oltrepassando la tenda sottile e bianca, si posò sulla sua gota rosea, rotonda, tenera come una pesca. Tutto lo splendore dei suoi diciott'anni esplose come una scintilla: la perfezione del suo naso, la dolcezza dei suoi zigomi e la graziosa rotondità delle sue labbra piene, appena colorate da un velo di rossetto. L'orecchino di perla col piccolo smeraldo, dono prezioso della nonna, esaltava la luce dei suoi occhi verde mare e sposava alla perfezione i suoi riccioli biondo cenere, cadenti sulla fronte e incornicianti un ovale perfetto.
Matilde era la ragazza più bella del paese. E da sempre quella bellezza le aveva portato grandi graffi all'anima. Era passato poco da quando lei, desiderosa di amicizia, ricercava la compagnia di altre ragazze della sua età, ma l'invidia e la gelosia ora per quel sorriso dipinto dagli angeli, ora per le attenzioni ricevute dai ragazzi, ammaliati al suo passaggio, l'avevano fatta allontanare. 
Fu allora che si rifugiò in un mondo tutto suo, fatto di storie e poesie, di disegni e pitture. Nelle sue mani risiedeva l'arte. E fu quella la strada che la condusse nella Caletta dello Zaffiro, un luogo poco distante dal paese e dove l'acqua all'alba e al tramonto diventava trasparente e dove lei, libera da occhi indiscreti, poteva creare.
Proprio lì, in una calda mattina d'agosto, incontrò John, un soldato americano rimasto in Italia dopo la guerra perché creduto morto dopo lo scoppio di una mina. Era stato curato dal dottore del paese dopo che alcuni paesani l'avevano trovato, esangue, lungo la strada interna e l'avevano trascinato su un asino fino allo studio del medico. Quando John si svegliò, dopo più di venti giorni di atroci sofferenze e di cammino sul filo della morte, non riusciva a parlare. Non voleva raccontare. Si chiuse in un silenzio misto a rabbia, dolore e sofferenza, del corpo e dell'anima trucidata dalla guerra. Si guadagnava da vivere come poteva, lavorando nelle terre dei signorotti locali o durante la vendemmia, o partecipando alle raccolte stagionali. E poi si rifugiava li, nella Caletta, scrutando il mare, regalandogli i suoi dolori. 
Fu in quella calda mattina d'agosto, in quella cornice di paradiso in terra, che i loro sguardi di incontrarono: gli occhi di ghiaccio di John si tuffarono negli smeraldi di Matilde e qualcosa da quel giorno non fu più uguale. Il tempo si fermò, l'aria smise di muoversi, il mare restò in ascolto, il vento sibilò una melodia. E fu così anche quando lei, tremante e impaurita, lo accolse dentro sé, sospirando di dolore e tremando di piacere, arpa nelle mani di un esperto suonatore. Un suonatore che parlava solo con lei.
" Vieni con me in America" le disse durante un caldo pomeriggio di autunno, mentre giacevano sulla sabbia, abbracciati e seminudi " fra pochi mesi avrò abbastanza soldi per entrambi, comprerò due biglietti e ti porterò via, vivrai a New York". Matilde era impaurita, ma amava John e desiderava andare con lui. Era eccitata e allo stesso tempo intimorita. Quella stessa sera l'avrebbe detto ai suoi genitori.
Ma ad attenderla a casa, oltre alla madre e al padre, quella sera trovò Don Augusto: grasso, buffetti curati, abiti eleganti, distinto nei modi, quasi quarant'anni, aveva visto Matilde camminare per le vie del paesello ed era rimasto rapito. Voleva sposarla. E in cambio avrebbe dato tutto, avrebbe anche accettato di imparentarsi con una povera famiglia di umili contadini, lui che aveva origini nobili. Fu allora che Matilde capì: il suo detino era segnato. La sua volontà annullata per le necessità di genitori. Si sedette sul letto, lo stomaco chiuso dalla delusione, l'anima scossa da tristi pensieri. I suoi sogni e le sue forze erano svanite, lontane come le luci di New York. Per poco non svenne.
Il matrimonio era stato già concordato, sarebbe stato in Aprile, quando la natura si sarebbe svegliata e quando il cuore di Matilde sarebbe appassito per sempre. Fiumi di lacrime tacciarono rughe profonde sulla sua pelle candida. John, come ogni volta, sarebbe stato sulla spiaggia ad attenderla il pomeriggio seguente. Cosa mai avrebbe potuto fare? Come avrebbe potuto dirgli la verità? E allora scelse la strada più semplice: decise di tacere, di continuare ad amarlo come se ogni giorno fosse l'ultimo, fino alla sua partenza. Gli disse di comprare i biglietti e fissò la data nello stesso giorno del matrimonio, per far si che fosse lontano quando lei si sarebbe recata all'altare per sposare quell'uomo panciuto e maturo, che la desiderava ma non conosceva i suoi sconvolgimenti interiori, le sue lotte, i suoi turbamenti. " Imparerai ad amarmi" le disse Don Augusto, ma lei già sapeva che non sarebbe mai stato così. La sera prima della partenza si concesse all'ignaro John come mai aveva fatto prima, con una forza, una foga e una passione irrefrenabili, come se mille spine fossero conficcate nella sua carne e la tormentassero: voleva che John le strappasse l'anima perché lui la portasse con sé, lontano da quel paese e da una vita che non era la sua. 
La mattina del matrimonio, con in mano la spazzola e gli spilli per capelli, il velo non ancora indossato poggiato su una sedia, riviveva quei meravigliosi attimi , ripercorreva la pelle del suo amore e ne contava le imperfezioni, le valli e le montagne. Assaggiava i suoi baci e toccava i capelli ruvidi per l' acqua del mare e, d'improvviso, capì che la sua vita sarebbe finita in quello stesso istante se non fosse corsa da lui e non fosse salita su quella nave. Scavalcò la finestra, strappò il pizzo dell'abito da sposa e fuggì follemente verso la città vicina, da cui la nave che avrebbe dovuto condurla negli Stati Uniti e verso i suoi sogni stava per salpare.
Corse Matilde, noncurante degli sguardi stupiti della gente che incrociava, dei locandieri e dei commercianti, dei pescatori e dei marinai, mille volti senza senso e senza ragione, maschere nella commedia della vita. Sudata, sconvolta, i capelli cadenti in ciocche disordinate, confusi coi fiori dei fermagli, raggiunse il molo e li il suo cuore si fermò per un secondo. All'orizzonte sbuffi di fumo, due enormi fumaioli che sembravano tracciare in linee confuse la parola "addio".
John era partito senza di lei. non c'era più nulla da fare. La sua forza venne a mancare. Le ginocchia si piegarono contro la sua volontà e il respiro affannoso la bloccò. 
"Ti ha aspettato fino all'ultimo momento - Una voce la fece trasalire - ha aspettato che arrivassi li, seduto su quel molo fino a quando gli é stato possibile. Poi, quando ha capito che non saresti arrivata in tempo, mi ha pregato e di darti questa lettera " .
A parlare era un anziano marinaio, baffi bianchi e occhi incorniciati da un labirinto di rughe, se ne stava sul suo sgabello a osservare le navi partire per luoghi che lui non avrebbe più rivisto. Ora era un messaggero d'amore. Matilde si avvicinò timidamente e prese in mano la missiva che l'uomo le porgeva, quasi con devozione. Si lasciò di nuovo cadere a terra, il vestito bianco come una corona intorno, e aprì la busta sgualcita; vi trovò un foglio giallo con su scritte le ultime parole che John le rivolgeva:

Amore mio infinito, luce del cuore, so che arriverai dopo che sarò partito. So che vedrò la costa allontanarsi senza averti al mio fianco. Ma so anche che verrai, perché ciò che ci lega é più forte di qualunque catena gli uomini possano imporre. Noi siamo uniti dal cielo e sotto questo cielo, sono sicuro, ci incontreremo ancora. So che oggi ti sposerai e ti ringrazio per non avermi detto nulla, perché capisco le ragioni che ti hanno spinto a tacere. Sii forte, amore mio, perché noi siamo la prova che l'amore va oltre la vita. Dovessi rivederti fra cent'anni, fra cent'anni ti amerò ancora. E ti prometto che accadrà. Ora va', sposa quell'uomo e compi il tuo dovere di figlia. Ma portami con te sempre, ricorda il mio volto e i miei baci. Presto ci riabbracceremo.
Per sempre tuo John.

Ancora scossa, Matilde si alzò di scatto, abbracciò l'uomo che le sedeva di fronte come se avesse ricevuto una grazia divina e, stanca, tentò di ritornare alla realtà: era una sposa vestita a metà col pizzo stracciato e i capelli arruffati, era sola e sudata e senza soldi per tornare in tempo a casa. La sua mente sembrava ridestarsi da un sogno. Cosa poteva fare?
D'improvviso si sentì chiamare. Era il suo povero padre che l'aveva vista fuggire e l'aveva inseguita, aiutato dalle indicazioni della gente e con l'aiuto dell'unico paesano che possedeva un'automobile. La vettura li attendeva fuori dal porto. Appena lo vide Matilde ebbe paura, ma quando le braccia del padre si aprirono in un abbraccio il suo cuore smise di scuoterle il petto come un tamburo.
"Torniamo a casa bambina mia, questo é un gran giorno per te.." .
E ora anche lei lo sapeva, sapeva che da ora in avanti sarebbe stata forte, avrebbe sopportato tutto nell'attesa di John, perché non avrebbero mai smesso di amarsi e non si sarebbero mai lasciati. Lo sapevano entrambi, ma Matilde aveva una sicurezza in più: con la mano si accarezzò il ventre, col gesto protettivo e sicuro di chi non può più pensare solo a se stesso. Un nuovo cuore batteva dentro lei, una nuova vita, il frutto del suo peccato o un nuovo splendido dono, che forse avrebbe avuto gli occhi del colore del mare, il mare della Caletta dello Zaffiro...

 
 
 
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