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COSI' RAMMENTO LONGI NEGLI ANNI '4O

Post n°2857 pubblicato il 09 Novembre 2020 da gazimo08


ERA BELLO IL MIO PAESE
Candidi i fiocchi cadevano dal cielo sugli stinti sconnessi “canali”
da cui filtrava l’acre fumo di legna accesa nella “tannura”;
brontolava la massaia per il lento cuocere della polenta
unico cibo assieme al nero pane.
Nella notte il freddo plasmava diafani “cannileri” alla base dei tetti a sgrondo
mentre il braciere spento si preparava a dipingere “fucili”
sulle gambe fasciate di ruvida lana.
Percorrevamo, scolari, i malconci vicoli
scivolando sui gradini ghiacciati, bombardati dallo scolo dei “canaluni”,
attenti a non farci sfuggire il piccolo scaldino,
misera illusione nelle fredde aule.
Marinavamo la scuola
per scolpire l’omino con la pipa sull’enorme palla nevosa
agglomerata lungo la “ciacata” del Corso:
saettavano allora sulla piazza palle di neve contro il goffo pupazzo.
Il bianco tutt’intorno penetrava le nostre virginee anime
che elevavano canti attorno al fuoco del Natale.
Poi, quando il profumo di ginestra inondava l’aria
ed il garofano occhieggiando tra le pendule “campanelle” sui davanzali
carezzava mite le narici s’usciva nei campi
avendo compagni il belar della capretta
ed il monotono brucare del rude asinello.
Intanto, le donne sferruzzando sedevano sul “paraturi”
mentre i pulcini razzolavano tra i ciottoli del vicolo.
E la sera era festa attorno alla “cardella” fumante,
a male pena rischiarata dalla traballante “lumaricchia”.
Riempivamo di grida la “chiesa sfasciata” o il “chiano” dell’Annunziata
calciando un improvvisato pallone,
ci trastullavamo spruzzando l’acqua
sul volto delle ragazze che lavavano i panni alla “Fontana”
o strisciando a rimpiattino tra i “ficarazzi” del “Vignalazzo”
per poi dissetarci alle fluenti acque dei Due Canali.
Millenario borgo dalle case piccole e vetuste tra il Castello e la S.Croce,
abitazioni piene di gente
che talvolta si dividevano con gli animali da cortile,
armoniosi acquerelli sul declive pianoro a sbalzo sull’acque del Milè;
dedalo di viuzze strette con le “quartare” a riempire
messe a turno dinanzi alle antiche fontane.
Sereno ciarlare tra le comari sull’uscio di casa,
notti scaldate da un bicchiere di vino al banco del “putiaro”
per dare il via alla vibrante “chianota”.
Notti senza luce complici di languide serenate
sulle note di un mandolino aiutato da qualche chitarra.
Così fluivano le stagioni in quegli anni quaranta:
vita grama, senza pretese ma tanto amore tra la gente.
Tasselli di un mosaico consegnati alla storia
memorie di ricordi andati:
volti amati maestri di vita,
scorci dipinti che non esistono più.
Era bello il mio paese d’allora tanto povero
ma ricco di antichi sapori.
Gaetano Zingales

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