Rocche del Crasto
Cultura, politica, società, varia attualità a cura di Gaetano Zingales
Firmata convenzione per la gestione delle "Case Mangalavite"
Il nuovo schema di convenzione, formato da cinque articoli, permetterà al Comune longese di pubblicare e creare il bando, per l'affidamento a terzi del complesso, da adibire a struttura ricettiva e centro base per l'escursionismo e la fruizione del Parco dei Nebrodi. La durata della concessione è prevista in nove anni dalla data di stipula del contratto.
Il Comune di Longi è esclusivo proprietario della struttura e delle sue relative pertinenze, mentre l'ESA e il Parco dei Nebrodi si riservano un diritto d'uso per le finalità istituzionali.
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Il Partigiano socialista e Patriota, Leone Gemma
L'ins. Leone Gemma, nato a Longi nel 1915, durante la II guerra mondiale venne arruolato come ufficiale di fanteria dell'Esercito Italiano e destinato alle operazioni militari in Francia. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, portò in salvo il suo battaglione rientrando in Italia. Ma, da fervente socialista, depose la divisa per darsi alla macchia unendosi alla Resistenza. Come partigiano, combattè in Piemonte e in Lombardia al comando di un plotone della sesta brigata "Giustizia e Libertà". Tra le numerose azioni in combattimento, cui prese parte, gli venne assegnata, come comandante, la difesa del presidio, in posizione avanzata, di Montecalvo Vessiggia, che tenne sino al grande rastrellamento invernale, da parte dei tedeschi, iniziato il 22 novembre 1944. Prese parte anche ad una spedizione contro elementi della Zicherait repubblicana e ad altri numerosi combattimenti contro i nazi-fascisti.
Il 27 aprile del 1945, con la sua famosa brigata, Leone partecipò e fu protagonista dell'arresto di Benito Mussolini, camuffato da caporale della Wehrmacht, in fuga verso la Svizzera, assieme ad altri gerarchi fascisti. Il Duce fu scoperto ed il partigiano "Bill" lo dichiarò in arresto in nome del popolo italiano.
Il Comandante delle forze alleate in Italia, Generale Alexander, firmò un attestato, a nome del Governo e dei popoli delle Nazioni Unite, dove acclamava il Partigiano longese , Leone Gemma, "come Patriota che ha combattuto per l'onore e la libertà".
Dismesse le vesti del combattente, Leone rientrò al paese natio e, nel 1947, venne nominato insegnate di ruolo nelle scuole elementari di Caronia.
A S.Agata di Militello, il 19 marzo si festeggiava San Giuseppe. Con un suo amico volle assistere ai solenni festeggiamenti per riprendere, nella stessa nottata, la strada per ritornare a Caronia. Prima di arrivarvi, nel tragitto lungo la trazzera che dalla marina portava alla montagna, una lupara chiuse la spensierata giornata facendo stramazzare a terra, senza vita, l'invitto partigiano Leone Gemma. Venne esclusa la strada di un delitto per vicende amorose in quanto probabilmente inesistenti.
L'unico indagato fu un vigile urbano, peraltro grande amico di Leone, per cui non si comprende l'imputazione quale presunto colpevole dell'efferato omicidio. Tant'è che dopo cinque anni di vicende giudiziarie, la Corte d'Appello di Messina, nel 1952, assolse con formula piena l'imputato, che precedentemente era stato condannato nel primo grado di giudizio.
Ci si chiede il perché venne scartata l'ipotesi di una vendetta da parte di elementi fascisti che vollero, in tal modo, vendicarsi uccidendo il partigiano che prese parte attiva all'arresto di Mussolini. Probabilmente, se fosse stata appellata la sentenza della Corte d'Appello, fatti nuovi sarebbero potuti emergere nel corso del giudizio da parte della Corte di Cassazione. Ma, a quei tempi, considerato lo scacchiere politico esistente in Parlamento, per non fare venire a galla un ipotetico scandalo, si decise di interrompere la ricerca della verità.
Manon Roland, nel 1793, prima di essere ghigliottinata, passando dinnanzi alla statua della Libertà, disse: « O Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome! ».
Il paese natio non può non rendere gli onori postumi al valoroso Patriota ed invitto Partigiano, illustre figlio di questa nostra terra, additandolo alle giovani generazioni quale "Eroe".
Fonti: "Longi, nel 900 e...oltre" di Francesco Lazzara
Gazzetta del Sud del 25 aprile 2016,con un articolo a firma di Salvatore Mangione
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CHI HA CREATO IL DOLORE? Quale nefasta influenza si aggira intorno a questo vecchio, decrepito mondo? La gran moltitudine della gente perché non può condurre una vita normale? Quale malvagità soprannaturale impone il suo dominio al destino dei popoli disseminati su tutto il globo terrestre? Non c'è angolo dei continenti che sconosca il dolore. (dalla mia pagina FB: <https://www.facebook.com/gaetano.zingales>
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VIDI MORIRE MIA MADRE
Il dolore, male del mondo, è la peggiore quintessenza della vita.
Agosto 1941 ed a seguire.
Dormiva la neonata nella sua culla. Accanto, Lei stringendosi al seno il figlioletto pregava guardando l’icona: “Gesù fa che il padre di questi bimbi torni dalla guerra”. Egli tornò ma la bandiera tricolore avvolgeva le assi del legno che racchiudeva il suo corpo.
E Lei aveva ventun anni.
Sfidò i rigori della Legge per sfamare quelle creature cercando in paesi lontani il grano venduto al mercato nero. Le fu proibito il lavoro nella sua terra da un epigono fascista riciclatosi nel potere democratico. Emigrò. Lontano dal paese il soldo non bastava; vendette casa paterna e le terre del suo sposo.
Era bellissima e corteggiata ma rimase fedele al suo uomo convinta che un solo amore secondo antichi valori poteva avere spazio nell’animo di una sposa dove il sentimento che unisce è fede.
Con modesto lavoro sorresse i suoi orfani nella loro quotidianità e con fiero decoro sopportò rinunce e dolori chiudendosi nella solitudine di una donna con la giovane vita spezzata.
Anno 2016.
Giunse la sua ora per l’altro viaggio che la portava al suo uomo. Ancora una volta il Destino decise di calare la sua mannaia sui giorni e sulle notti che l’accompagnavano. Tre lunghi anni di immobilismo s’abbatterono sul suo guanciale assieme all’alternarsi del delirio che invase il suo cervello; tra tremori e sussulti per un lacerante dolore iniziò la sua agonia che percorse per sette giorni il corpo defedato e scheletrito che rifiutava il necessario nutrimento. Con il corpo ulcerato e la febbre alta sentiva il dolore e ne implorava la fine muovendo le labbra senza suono. Gocce di lacrime spuntavano dagli angoli degli occhi ancora accesi quando le carezzavo il volto dicendole: “ti voglio bene Mamma”.
Un urlo di ribellione.
Vidi avanzare i suoi ultimi anni i suoi ultimi giorni ancora nella persecuzione del dolore. Che certamente poteva essere più lieve se i boiardi della Sanità di Stato fossero meno “crudeli” e se non considerassero la vita di chi è avanti negli anni come” soggetto a perdere”.
A Te che giochi con la vita degli uomini chiedo urlando: E’ GIUSTOOO? A Te assoluto giudice ed amministratore della gioia e del dolore grido questa mia protesta. Non per noi che per lunghi giorni ascoltammo impotenti i suoi gemiti ma per Lei e per tutti come Lei non posso accettare il rozzo assassinio della dignità umana la negazione a chiudere l’uscio su questa terra con una doverosa requie dell’animo e del corpo.
Nei millenni.
Non accetto il Tuo libero arbitrio portatore di inaudite sofferenze, Destino o Dio, o Allah, o Budda. o Giove o divinità d’altre terre perché immenso è stato ed è il dolore che impazza su questa dilaniata Terra. Il pianto degli innocenti non si genera dal nulla ma viene “portato” da mano invisibile ed inoculato nelle carni umane o iniettato nelle menti deviate predisposte alla malvagità.
Non accetto l’omicidio di bimbi affogati nelle fredde acque dei nostri mari. Non accetto la cacciata dalla propria terra di umani prede della fame e che fuggono le armi della guerra e del terrore. Non accetto il dolore quale complemento dell’esistenza umana. Non accetto che il travaglio del trapasso sia affidato ad una lama che lentamente spegne la vita attraverso il veleno di cui è impregnata. L’ineluttabilità della morte umana non può passare attraverso l’agonia di una tortura imposta.
Chi ha fatto il mondo ha voluto che così fosse? Calcolo sbagliato o volontà criminale?
Accanto a TE
Madre siamo soli noi due in questa ultima notte insieme. Accarezzo il tuo volto vitreo e ti do l’ultimo bacio rammentando quando tu nel tuo letto di dolore mi chiedevi il bacio della buonanotte. “La totale dedizione ai tuoi figli non può meritare un misero grazie né i patimenti arrecati possono essere cancellati con la semplice invocazione del perdono. Che lieve Mamma ti sia il marmo che da noi ti separerà.
Una lacrima sulla tua fronte per il mio addio.
13 luglio 2016
G.Zingales
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Una gomena che non si spezza mai
C’è una forza nella natura che supera quella della gravità terrestre: l’amore verso e dalla mamma.
Il nostro sangue è il suo, penetrato nelle nostre vene, mentre ci faceva crescere nel suo grembo, e diventa un solo fiume che noi navighiamo per tutta la vita.
Quando il fiume s’increspa e noi corriamo il rischio di precipitare nelle rapide, il pensiero vola a chi ci ha dato la vita.
Quando navighiamo le acque tranquille della gioia, accanto a noi vediamo il volto di chi col suo sguardo ci accarezza.
E’ un intreccio di fili mai spezzati che ci lega alle sue mani verso di noi sempre protese quando la lontananza ci porta verso i lidi della nostra vita o i nostri occhi si riempiono di lacrime, che Ella amorevolmente deterge.
Torna in noi il ricordo delle tante marachelle perdonate, dei dolori procurati, dei castighi o dei rimproveri ricevuti per il nostro bene seguiti sempre dalle sue braccia pronte ad accoglierci sul suo cuore.
Lei per noi ha sofferto quando la nostra vita ha conosciuto la tristezza dell’animo e, quando impotenti, nel suo letto di sofferenza non abbiamo potuto alleviare le sue pene.
Poi, il silenzio d’una lapide di marmo!
Ma il fiume in cui naviga ancora la nostra vita ha il colore del sangue che Lei ha iniettato nelle nostre vene.
E vive il ricordo della Mamma, dolce, sereno, forte, indistruttibile. Non tra le lacrime, ma con il sorriso e le carezze della Mamma.
Addì, dopo 30 giorni di silenzio.
Tanino
P.S. Non potei esternare queste mie riflessioni quando mio padre ci ha lasciati perché avevo soltanto tre anni. Se avessi potuto avrei scritto all’incirca le stesse cose.
A mio padre ed a mia madre, che sono di nuovo insieme, dedico queste mie povere parole d’amore.
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Pose sul mio piccolo davanzale
lo sfarfallio d’ali
un usignolo fuggito
all’ultima neve.
Albeggiava
ed atterrò sul cuscino
del letto disfatto
per ammirare il volto anonimo
lasciato dall’ombra
del mio sogno di metà notte.
Sentiva l’umore
d’un amplesso incompiuto
tra lenzuola sudate di fresco lino
e dopo averle attraversate
con lieve cinguettio
s’involò
tra sonnolenti raggi di sole
per trasmettere alla compagna
l’odore dell’amore.
Ali variopinte di farfalle
danzavano ai bordi del nido
ascoltando lo squittio di piacere
dei giovani piumati.
Tra le fronde filtrava lucente
l’ombra del sole
ed ai piedi del ciliegio
vagavano le laboriose formiche
in cerca di semi;
beccava il dolce frutto la merla
per deporlo sulla rosea bocca
degli implumi figlioletti;
un agnellino cercava
le lattee mammelle
belando tra il gregge
che brucava sul prato dipinto;
sui tepali di un ciclamino rosato
la lucciola dormiva
dopo avere schiarito la notte
al viandante notturno;
il grappolo d’uno sciame d’api
spandeva un minaccioso ronzio
nella quiete di una loggia deserta
da cui erano fuggite le piumate ovaiole.
Giaceva quel volto di novella Pleiade
accanto a fragoline di bosco
attorno al rivo della fonte
e l’intero suo corpo nudo
mostrava la morbida pubertà
del seno virgineo.
Gocce d’un tonante piovasco
nel sereno mezzodì
zittirono l’armonioso cinguettio
e l’implacabile battito delle ore
tornò ad accompagnare il passo
lungo l’instabile sentiero della vita.
Gaetano Zingales
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Le foto della cerimonia di Consegna del quadro di S. Leone Vescovo, Protettore di Longi,
presso la chiesa di S. Maria dei Siciliani, a Roma
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Dal mio libro
Tra storia e leggenda
Immagini di Longi, Kamarina, Cefalù, Taormina
a cura di
Gaetano Zingales
QUI’ CEFALU’
Dalle sponde del fiume Irminio , nella terra Iblea, Dafni, reso cieco dalla suocera Giunone per avere tradito sua moglie, dopo avere girovagato e pianto per i boschi ed i monti della Sicilia, plana su una scogliera accanto Cefalù infrangendosi sulla roccia. Gli dei, impietositi, lo trasformano in una rupe alle spalle della cittadina. La rocca, infatti, somiglia ad una testa umana, da cui prese il nome Cefalù: Kephaloidion quando vi giunsero i coloni greci facendolo derivare da kefalé,” capo”.
Qui, a Cefalù, così si racconta la leggenda del pastorello Dafni. La ninfa Echeneide, figlia di Giunone, andò in sposa a Dafni essendosi perdutamente innamorata di lui. Egli era molto corteggiato dalle donne per la bellezza del suo canto, della sua persona e delle sue poesie; pertanto, Giunone acconsentì alle nozze a condizione che se l’uomo avesse tradito la figlia lo avrebbe reso cieco. Ma, come si suol dire “il diavolo ci mise lo zampino”. Infatti, il re Zeno invitò il cantore a declamare e cantare le sue odi presso la dimora reale. La regina Climene, come ogni donna d’altronde, s’invaghi perdutamente di Dafni e cercò di sedurlo. Il quale resistette per rimanere fedele al giuramento fatto a sua moglie. Climene, in assenza del marito, una sera organizzò un fastoso banchetto in onore dell’ospite. Abbondanti libagioni con il vino siciliano, cui venne aggiunto il succo d’alloro, un forte afrodisiaco, fecero crollare quel giovane, che docilmente si fece condurre nel talamo reale dalla bramosa Climene. Immediatamente, la tremenda Giunone applicò la legge del taglione privandolo della vista.
Altri miti e leggende animano la ridente cittadina tirrenica.
La bellissima Diana, divinità presente anche negli eventi mitologici di Cefalù, venne rapita dai pirati mentre faceva il bagno nello specchio d’acqua ai piedi della Rocca. Atterrita dal fatto che potessero violentarla, togliendole la verginità di cui andava fiera, riuscì a fuggire e si gettò in acqua lasciandosi morire annegata. Presidiana (cioè presa di Diana) venne chiamata quella contrada, laddove è stato realizzato il Porto. Sulla Rocca, a Diana venne innalzato un tempio, rimaneggiato nelle varie epoche, del quale oggi rimangono soltanto i resti.
Quando il mare è calmo e c’è bassa marea, vicino la riva, tra Capo Plaia e Mazzaforno, emergono sette scogli in fila indiana. Sono i corpi di sette fratelli che si gettarono in mare per impedire la “fuitina” in barca della sorella Carmela col pescatore Pasquale. Si racconta, infatti, che, dopo la morte dei genitori, i fratelli avessero deciso di vivere tutti quanti insieme in una casetta lungo la riviera. La donna provvedeva ai lavori domestici mentre gli uomini andavano a lavorare, ma era trattata come una serva. Carmela si sentiva avvilita e depressa. Un giorno si presentò all’uscio di casa un certo Pasquale con un cesto di pesce fresco da lui pescato. Il grazioso gesto si ripetè frequentemente. Dai oggi, dai domani i due si innamorarono. Ma, come si suol dire “bellezza, amore e denaro” non si possono nascondere; del cambiamento di Carmela, infatti, se ne accorsero i fratelli. S’insospettirono delle assidue visite col solito cesto pieno di pesce e decisero di tenere sotto stretta sorveglianza la sorella. Non c’era altra soluzione alla realizzazione del sogno d’amore dei due giovani se non la “fuitina”; così convennero appena si sarebbe presentata l’occasione propizia.
Un giorno tutti e otto germani decisero di andare a fare visita ad alcuni parenti, che abitavano un pò distanti dalla loro abitazione. S’incamminarono lungo il sentiero prospiciente la riva; ad un tratto, la donna disse di doversi appartare per soddisfare un bisogno. Cosa che fece entrando in un canneto. In una baia il pescatore aveva nascosto la sua barca. Carmela, non più visibile al controllo visivo dei fratelli, di corsa, tra le canne, raggiunse Pasquale. Insieme si mossero velocemente verso la barca, vi salirono e si avviarono verso il mare aperto. I fratelli, insospettiti del ritardo, attraversarono il canneto e videro che i due stavano lasciando la riva. Corsero, presi da cieco furore, verso la baia, si gettarono in mare vestiti per fermare i due colombi, ma, non sapendo nuotare, appesantiti dall’abbigliamento inzuppatosi e con le forze che venivano meno, ad uno ad uno andarono sott’acqua ed annegarono.
Gli dei assistettero all’atto coraggioso ma disperato di quegli uomini, si commossero e decisero di trasfigurare i loro corpi in altrettanti faraglioni per rammentare ai posteri che nulla poterono sette uomini per impedire alla sorellina la “fuitina”, in auge sin dai lontani millenni. Nacque così la baia di Settefrati.
Ancora altri miti vagheggiati, vogliono che:
- alcuni Giganti – Lestrigoni, Lotofagi, Ciclopi- ,discendenti da Noè, popolassero il territorio;
- Cefalù sia stata fondata dai sicani o dai fenici, intorno al 3000 a. C, chiamandola Ras Melkart, cioè promontorio di Ercole, il quale peraltro vi innalzò un tempio dedicato a Giove;
- il Sacro Graal sia venuto in possesso di Federico II, essendo stato portato a Cefalù, in epoca relativamente più recente rispetto alle leggende dei millenni precedenti, dagli Esseni, seguaci di Giuseppe d’Arimatea. L’Imperatore avrebbe fondato l’ordine Graalico del Grifone, a cui sarebbe appartenuto anche Cristoforo Colombo. Successivamente, l’Erimatea lo avrebbe spostato in Gran Bretagna. La notizia è stata riferita dalla principessa Yasmin von Hohenstaufen, discendente di Federico II, venuta in possesso recentemente di un archivio segreto;
- la Cattedrale, che si presenta imponente a guisa di una fortezza, sia stata iniziata a costruire, nel 1131, da Ruggero II d’Altavilla, primo re di Sicilia, il quale, essendo scampato ad una tempesta nel suo viaggio in mare da Napoli a Cefalù, volle in tal modo sciogliere un voto fatto a Gesù Cristo mentre correva pericolo di vita. I lavori si protrarranno per tutto il secolo, senza che Ruggero veda compiuta la sua opera;
- una ninfa punì il suo amante perché l’aveva tradita; ma, pentitasi, versò tante lacrime creando il fiume Cefalino. “U ciumi” versa le sue acque nel suggestivo lavatoio medioevale, scavato nella roccia, all’ingresso del quale si legge: “Qui scorre Cefalino, più salubre di qualunque altro fiume, più puro dell’argento, più freddo della neve”. Ventidue bocche di ghisa riempiono d’acqua le vasche. Ad esse attingevano le donne per il consumo domestico e per lavare i panni; anche i cavalli venivano condotti a bere;
- intorno al 1222-25, Frate Antonio da Padova, durante il suo secondo viaggio in Sicilia, raggiunse il monastero dei santi Cosma e Damiano, nelle alte Madonie, per prelevare una campana nell’officina Martinetto, fonderia in rame e bronzo specializzata nella realizzazione di campane ed armi. Ottenuta la campana, gli fu detto che avrebbe dovuto portarsela da solo. Il frate non si scompose; infilò il bastone nel gancio della “colotta”, si caricò sulle spalle il pesante fardello e ripartì per raggiungere Cefalù, ove pose la rima pietra dell’erigendo convento, lasciando ivi la campana.
Sul lato settentrionale del promontorio sono scavate due grotte di età preistorica mentre testimonianze arcaiche sono una possente cinta muraria di tipo megalitico ed un tempio coperto con lastroni di pietra disposte verticalmente sulle quali ne poggia una orizzontalmente (tipo dolmen N.d. A.); all’interno del tempio, probabilmente dedicato a Diana, c’è una cisterna alimentata da una sorgente e realizzata in epoca precedente. Numerose rovine di mura merlate, resti di abitazioni, fortificazioni, cisterne e forni testimoniano la presenza di un preistorico agglomerato urbano. Le antiche mura sono state realizzate utilizzando pietre grossissime e riquadrate, senza calce.
Alla sommità della Rocca un Castello inespugnabile, del XII secolo, domina sulla città e sulla costa tirrenica visibile ad occhio nudo. Di recente, è stato restaurato.
Nel IV secolo a. C, i coloni greci approdarono su quelle rive e chiamarono quell’insediamento, come prima detto, Kefaloidion ; i Siracusani la conquistarono nel 307 a. C. mentre nel 254 a. C., i Romani vi s’insediarono cambiandole il nome in Cephaloedium. Dopo il dominio bizantino, nell’858, a seguito di un lungo assedio, venne conquistata dagli arabi e la chiamarono Gaffudi. I Normanni cacciarono i musulmani, nel 1063, e fecero scendere gli abitanti rifugiati sulla Rocca rioccupando l’antico abitato sulla costa.
Il Re Ruggero II, quando si recava a Cefalù stabiliva la sua residenza presso l’Osterio Magno,un edificio sorto su un precedente impianto di età ellenistica, ove vennero trovate anfore, olle, monete di bronzo con Pegaso raffigurato in una faccia, ceramiche.
Nella cattedrale, realizzata nel tempo dai Re Normanni, il Cristo Pantocratore domina il catino dell’abside attraverso un grandioso mosaico di stile bizantino. Altri sfavillanti mosaici, numerosi sarcofagi, in uno dei quali è sepolta la principessa Eufemia, sorella del re Federico II, morta a Cefalù, la Cappella del sacramento rivestita d’argento, assieme a 32 vetrate che inondano di luce il duomo concorrono a rendere splendido l’imponente monumento.
Federico II aveva fatto dipingere sulla facciata del duomo una serie di pannelli su cui veniva celebrata la genealogia normanna, da Ruggero I a Federico, passando attraverso i due Guglielmi e Costanza. Malauguratamente, essi sono andati perduti. Fece trasferire, inoltre, i due sarcofagi di porfido di Ruggero II, che contenevano il suo corpo e quello della moglie, dal duomo di Cefalù alla cattedrale di Palermo affinchè facessero parte del “Cimitero reale”.
Il borgo medievale ha mantenuto la sua bellezza nella città antica, all’interno della quale sono sorti monasteri, conventi, monti di pietà, il palazzo Vescovile con il suo chiostro, il Museo Mandralisca e la Pinacoteca.
Le antichità, il panorama, il mare, la spiaggia arricchiscono meravigliosamente il sito, divenuto il secondo polo turistico della Sicilia, dopo Taormina. Se quest’ultima è stata definita la “perla dello Jonio”, Cefalù ha tutte le peculiarità per poterla appellare “la perla del Tirreno”.
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Romanzo