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MARGHERITA ASTA

Post n°178 pubblicato il 09 Aprile 2009 da libera_voce
 
Tag: Memoria

Vent'anni fa la strage di Pizzolungo
"Mio fratello, una macchia sul muro..."

Intervista a Margherita Asta di Marco Nebiolo

«In questi giorni mi domando cosa mi stia succedendo. Credevo di essere più forte. Invece mi accorgo che più ne parlo più sento il dolore crescere. Da fuori non si vede, ma dentro so solo io quello che sento». La voce di Margherita Asta si incrina per l’emozione appena ripensa a quella mattina di vent’anni fa in cui, all’età di soli dieci anni, in un istante perse la madre Barbara e i fratelli minori, i gemellini Salvatore e Giuseppe, di sei anni. Tutti travolti e uccisi dalla violenza di Cosa Nostra, in quella che viene ricordata come “la strage di Pizzolungo”. Era il 2 aprile 1985.
Obiettivo dell’attentato era il sostituto procuratore di Trapani, Carlo Palermo: era per lui l’autobomba posizionata sul ciglio della strada che da Pizzolungo conduce a Trapani. Trasferitosi nel febbraio di quell’anno dalla Procura di Trento, dove si era distinto per alcune indagini importanti sul traffico d’armi e di stupefacenti, in poche settimane di lavoro si era guadagnato una condanna a morte dalla mafia. Una tragica fatalità, però, lo salvò: la sua auto incontrò lungo il tragitto l’utilitaria guidata da Barbara Asta e la superò proprio nel punto in cui i sicari avevano posizionato la vettura con l’esplosivo. Noncuranti dell’ostacolo imprevisto, gli assassini premettero comunque il pulsante, sperando di raggiungere l’obiettivo: la mafia non dà alcun valore alla vita umana, specie a quella di chi costituisce un intralcio alla realizzazione dei suoi interessi. Carlo Palermo fu solo ferito, mentre la mamma e i bambini fecero da scudo e furono dilaniati.
Fu una strage di innocenti, figlia di una strategia terroristica che avrebbe raggiunto il culmine nelle stragi del ’92 e che ebbe il suo prologo in quella del 29 luglio 1983, a Palermo: un’autobomba parcheggiata davanti al palazzo in cui risiedeva Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione di Palermo, uccise, oltre al magistrato e ai carabinieri della scorta Mario Trapassi ed Edoardo Bartolotta, anche Stefano Lisacchi, l’inerme portiere dello stabile. Un’altra vittima collaterale di una guerra nella quale, spesso, i semplici cittadini non credono di poter essere coinvolti.
Carlo Palermo fu profondamente scosso da quella tragedia. Se il piano fosse andato a buon fine, sarebbe stato il secondo magistrato assassinato a Trapani in due anni: il 26 gennaio 1983 era caduto a colpi di mitragliatrice Gian Giacomo Ciaccio Montalto, che indagava sulle potenti cosche dell’eroina. Poco tempo dopo l’attentato, Palermo lasciò la magistratura e la Sicilia.
Margherita Asta ricorda tutto di quel giorno. Far sì che non si dimentichi fa parte del suo impegno quotidiano, da quando con l’associazione Libera cerca di promuovere, specie tra gli studenti, la cultura della legalità e dell’antimafia.
Margherita, cosa ricordi di quel giorno?
Che mi salvai per una pura coincidenza. Invece di andare a scuola con mia madre come al solito fui accompagnata da una vicina di casa e passai sul luogo dell’attentato un quarto d’ora prima dell’esplosione. Dopo poco mi venne a prendere la segretaria di mio padre, senza spiegarmi il motivo. Non mi feci particolari domande, mi insospettì solo il fatto che per tornare a casa facemmo un giro molto lungo, e durante il percorso notai la presenza di molti posti di blocco.
Giunta a casa la sorella di mia madre mi comunicò cosa era successo. Non realizzai in che modo fossero morti. Poi, andando ai funerali il giorno dopo, facemmo la strada che passa da Pizzolungo e passammo sul luogo dell’attentato. Andando in chiesa nel primo pomeriggio avevo notato solo il cratere in terra creato dall’autobomba. Ma al ritorno vidi un particolare che ancora adesso mi fa soffrire particolarmente. Una macchia di sangue sulla parete di una abitazione. Mio padre mi spiegò che era stato il corpo di uno dei due fratellini, scaraventato contro quella casa. Solo una parte del corpo, in realtà, perché i tre cadaveri furono dilaniati e ne rimase ben poco. Furono ricomposti per modo di dire, c’era ben poco da ricomporre.
Qual è l’emozione prevalente in te quando ti guardi indietro? Rabbia, rancore?
Impotenza. Perché non potrò sapere mai chi è stato a pigiare il pulsante.
Non esiste una verità processuale sulla strage?
Per quanto riguarda i mandanti c’è un processo in corso nel grado di appello. L’anno scorso sono stati condannati Di Maggio, Virga e Riina. Per quanto riguarda gli esecutori, in primo e secondo grado sono stati condannati Gioacchino Calabrò, Vincenzo Milazzo, Filippo Melodia. Ma la sentenza è stata cassata nel ’91 perché gli imputati non avrebbero commesso il fatto. Tra quei giudici c’era Corrado Carnevale (l’ex Presidente della Iª sezione della Corte di Cassazione noto negli anni 80 e 90 come “l’ammazzasentenze”, nda.).
Le istituzioni ti sono state vicine? In che modo?
Mi sono sentita abbandonata. Sono passati vent’anni e ancora sul luogo dove una famiglia è stata distrutta non c’è nulla che ricordi la strage, se non una stele realizzata a nostre spese l’anno dopo. L’area è tutta piena di erbacce, si limitano a pulirla prima delle celebrazioni annuali, perché le autorità devono venire a fare la solita passerella. La volontà politica di ricordare quella tragedia è mancata. Forse perché sono morti semplici cittadini, non giudici o politici.
Che rapporto hai avuto con Carlo Palermo?
Con lui ha tenuto i rapporti mio padre, che è morto nel 1993. Da allora non ci siamo più sentiti: ho provato a chiamarlo l’anno scorso in occasione dell’anniversario, ma non sono riuscita a combinare un incontro. Credo che Palermo faccia ancora molta fatica a ripensare a quei giorni.
Cos’era per te la mafia prima dell’attentato?
La sentivo come una cosa lontanissima dalla mia famiglia. In quel periodo di mafia in Sicilia se ne parlava eccome, anche se con accenti diversi. Il sindaco di Trapani, qualche giorno dopo la strage, disse che la mafia non c’era. Ma chi aveva disintegrato i miei famigliari?
Oggi sei impegnata con l’associazione Libera come responsabile per i comuni di Trapani ed Erice: nella tua attività di formazione e di educazione alla legalità nelle scuole, che messaggio cerchi di fare passare ai ragazzi?
La mafia non colpisce solo i suoi avversari diretti, giudici, forze dell’ordine, politici, giornalisti, ma può colpire chiunque. Mia mamma stava accompagnando i miei fratellini a scuola, non stava facendo altro. E la nostra famiglia non aveva mai avuto nulla a che fare con la mafia, neanche lontanamente. E poiché tutti possiamo essere colpiti, ognuno di noi deve impegnarsi a combatterla, senza delegare questo impegno alla magistratura e alla polizia. I ragazzi sono molto sensibili a questi ragionamenti, molto più degli adulti.
Quando incontri i famigliari di altre vittime di mafia, cosa vi dite?
Cerchiamo di non piangerci addosso e di pensare in positivo. Anche se il dolore è grande e non ti abbandona, reagire è una necessità.

 
 
 
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