Creato da Raf_ADMOpiemonte il 13/06/2007

Non siamo isole

Storia di un seme che morendo fa nascere un grande albero

 

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Quella levetta...

Post n°14 pubblicato il 10 Ottobre 2007 da Raf_ADMOpiemonte
 

Nina non risponde più al telefono: non ce la fa a sentire ancora voci di conoscenti che chiedono come stai, e voci di parenti che hanno saputo dirle di molto peggio. Ad esempio: “Preparati, perché potresti anche morire”.

A uno così, cosa puoi rispondere? Se sei una persona appena equilibrata: “Gioia, guarda che domani uscendo di casa potresti passare sotto una macchina e morire tu, prima di me”. Ma se sei una ragazza di 26 anni, che aveva una vita normale e si stava preparando per andare in vacanza, e da due mesi si trova a fare i conti con le chemioterapie per una leucemia venuta fuori come uno schiaffo, cosa gli rispondi a uno così?

Probabilmente niente; chiudi il telefono e piangi. Cerchi di racimolare tutte le tue forze, la tua voglia di vivere e provi a ricordare com’è fatta la luce del sole, che odore ha l’aria dell’autunno.

La sua amica mi ha chiamato in questi giorni: si sente inutile perché difficilmente potrà donarle il suo midollo (una su centomila le probabilità che i loro sistemi immunitari siano compatibili); non vuole telefonarle e chiedere anche lei “Come stai?”. Ma non vuole nemmeno lasciarla sola.

 Provo a dirle: “Raccontale qualsiasi cosa che la tenga legata alla vita che continua, al mondo esterno”, ma ha paura persino di accennarle che la sua amichetta la aspetta per andare a raccogliere le castagne. Potrebbe rattristarsi pensando che forse non ce la farà ad uscire dall’ospedale in tempo? Non lo so. Tutto diventa così delicato e difficile in queste situazioni. Quasi pericoloso dare dei consigli.

Cerco di suggerirle che Nina è l’ultima pietra sulla punta di una piramide, ogni persona intorno a lei la deve sostenere e a sua volta deve essere sostenuta da qualcuno più sotto. A quella altezza –un Fisico può spiegarlo- il peso da sopportare è grandissimo: nell’ordine genitori, fratelli, parenti e amici, tutti sono tenuti a fare la loro parte; altrimenti Nina si troverà a terra, insieme con gli altri.

Ma in realtà l’amica di Nina sta facendo molto: uscita dalla sua solitudine, ha preso il telefono per non restare da sola e ha chiesto aiuto. Io sono la persona che può fare di meno per loro: non sono un medico, non sono una taumaturga, sono solo qualcuno che può capire abbastanza bene la situazione. Per questo le ho messe in contatto con Nadia, quella ragazza guarita dalla leucemia, di cui ADMO Piemonte ha pubblicato il Diario. Sono certa che Nadia con l’energia vitale che sa trasmettere, la sua esperienza nello stesso ospedale, la sua voglia di aiutare chi attraversa il medesimo tunnel, potrà essere quella piccola luce nel buio totale.

A volte vorremmo smontare il mondo che non funziona e siamo così infelici perché non vediamo dov’è la levetta per aprire il cofano. Avete mai pensato a quanto è semplice quella levetta? Nelle vecchie Fiat era un cavetto d’acciaio legato ad una molla, con una piccola maniglietta. Ma tu la tiravi e CLAC, quel rumorino ti faceva uscire tutti i cromosomi del tuo bisnonno motorista.

Ma noi in realtà non siamo altro che quella levetta! E non ci accorgiamo di quanto possiamo essere importanti, utili, anzi indispensabili. Senza di noi il cofano resterebbe chiuso o ci si spalancherebbe in faccia oltre i 20 all'ora. Lasciamoci usare per quello che siamo, un piccolo attrezzo per un piccolo pezzo di mondo. Una volta che il motore sarà accessibile, ci penserà il Meccanico.

Un abbraccio e buona giornata.

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Commenti al Post:
tembleve
tembleve il 15/10/07 alle 16:21 via WEB
Ricordi dell'anno scorso. Parole che mi fanno correre ai miei fantasmi, alla paura di perdere chi ami. Rabbia per le parole di chi non capisce. Poco più di un anno fa mia madre è stata operata per un tumore. Nulla ache vedere con la leucemia, certo. Ma la paura (fottuta, brutta, cattiva) credo sia molto simile. Tornata al lavoro dopo la dimissione di mia madre, una mia collegna mi ha chiesto come stava. Già quella domanda mi ha fatto male. Cosa volete che le rispondessi? Che non si teneva più in piedi? Che aveva piaghe in ogni parte del corpo? Che non riusciva nemmeno a bere? No, nn le ho risposto nulla di questo. Le ho detto "tutto bene". Ma lei non si è fermata. "Sai che la zia del mio ragazzo è morta alcuni mesi fa per un tumore come quello di tua madre?". Ero sul punto di farle del male. Veramente. Io che non uccido nemmeno le mosche. Ho scoperto cosa vuol dire avere voglia di picchiare qualcuno per farle del male. Poi è passata subito, quella sensazione: lei non capisce. Non può o non vuole capire. La cosa più difficile, però, era parlare con mia madre. Di morte, a volte, quando lei voleva parlare di quello. Paura, paura. E tante altre volte di vita, perchè quando uno lotta è la vita che porta altra vita. Come una droga buona, in fondo. E poi, ogni tanto, nel momento giusto, non aver timore di dire: “ho paura di perderti".
 
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