Creato da: ruconcon il 25/07/2005
Sul ritmo della pachanga i ricordi di un giovane 'rivoluzionario'

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« 26 de julio Il dovere del rivoluzionario… »

Entusiasmo rivoluzionario

Post n°7 pubblicato il 30 Agosto 2005 da ruconcon
Foto di ruconcon

Fine luglio 1960 all’Avana. In coincidenza con la seconda celebrazione dell’assalto al Moncada si è tenuto il congresso della gioventù latino-americana, organizzato da Cuba. La Federazione Mondiale della Gioventù, con sede a Praga, decide di inserirsi ed invia rappresentanti europei ed orientali. L’aereo, cubano, casualmente (?) ritarda l’arrivo a Ginevra e ci porta all’Avana a congresso ultimato. La delegazione italiana, tra le più nutrite, comprende otto comunisti e quattro socialisti; io sono tra quest’ultimi. Ho 23 anni.

E’ il primo approccio della sinistra verso la rivoluzione cubana; per sostenerla -  credevo allora - o per inglobarla nel sistema comunista e controllarne l’allargamento, per imitazione, al continente sudamericano, come mi suggerisce il senno critico del poi? Qualcuno ha scritto che un ventenne deve essere rivoluzionario, sennò non sarebbe veramente giovane. Io ero giovane e mi sentivo rivoluzionario, come mi aveva insegnato il compagno Alberto Jacometti: noi socialisti siamo rivoluzionari perché vogliamo abbattere il capitalismo e cambiare la società, ma la rivoluzione non implica lotta armata e tanto meno dittatura, socialismo e democrazia sono inscindibili; il marxismo è la base teorica della lotta rivoluzionaria e il leninismo invece mira solo alla conquista del potere del partito comunista.

L’età giovane può giustificare il non saper vedere, o essere attenuante della colpa di non aver voluto capire? Perché l’entusiasmo rivoluzionario non consente di sviluppare l’analisi dei punti critici percepiti? Ma è giusto così e non è possibile diversamente; l’analisi vuole calma, distacco, freddezza e la giovinezza è invece calore, passione, sentimento, magari anche dolore. Chi nota tutti i difetti della persona amata e li pesa e li giudica, non è giovane, o non è davvero innamorato.

L’atto conclusivo del congresso si svolge in un grande stadio da baseball; Fidel Castro pronuncerà il discorso di chiusura. Entriamo in sfilata nello stadio, con le bandiere come nelle cerimonie olimpiche. Mi viene di salutare verso il pubblico e la telecamera alzando con passione il pugno chiuso; solo gli italiani mi imitano, ai giovani dei Paesi comunisti sarà stato raccomandato di non fare sfoggio ideologico. Sulla faccia degli spettatori cubani vicini vedo un’espressione interrogativa. Con la patetica commozione del ricordo giovanile posso vantarmi di aver per la prima volta a Cuba alzato il segno di saluto rivoluzionario, là ancora sconosciuto.

Sul terreno di gioco sono collocati il podio per l’oratore e una tribuna per gli invitati, noi, i rappresentanti della gioventù di tutto il mondo unita a sostegno della rivoluzione cubana! Questo è il sentimento che provo, e non mi sfiora alcuno sforzo di analisi.

 
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