Arriva il Comandante Fidel Castro Ruz e lo posso vedere da vicino. In divisa militare verde-oliva, i gradi sono solo le losanghe rosso-nere del Movimento 26/7; un bell’uomo alto e robusto, penso che Garibaldi sarà stato così. Emana un fascino notevole, tutto particolare per noi giovani che gli siamo attorno anche perché è pure lui un giovane, a 33 anni è il più giovane capo di governo che ci sia mai stato. Chissà perché porta due orologi, ad entrambi i polsi? Particolare irrilevante, adesso inizia a parlare; sono le nove di sera e continuerà per quattro ore (è arrivato anche a sei) ma non ci si stanca di sentirlo: concetti chiari e sempre svolti e spiegati con ordine, parole semplici o rese ben comprensibili, oratoria affascinante. Questa sera vuole istruire i giovani latino americani, agli altri rivolge uno svelto cenno di saluto. I compagni vicini si accorgono che ho una buona facilità di comprendere il Castillano e ai passaggi più applauditi mi si rivolgono – che ha detto? – e quindi mi tocca seguire con attenzione per fare una sintesi e tradurre.
Beatrice, capace di tenere tutto in ordine, mi ha trovato nella scatola delle foto di famiglia un pacco di fotografie e carte varie di Cuba. Ci ritrovo dei ritagli dei giornali socialisti di Novara, con articoli miei, e di Mantova, con articoli del compagno Guizzardi, coi quali posso integrare i ricordi del memorabile discorso. Il centro del ragionamento è che non si può attendere che si verifichino tutte le condizioni per la rivoluzione, è lo stesso fuoco insurrezionale che può crearle. A Cuba non erano presenti le condizioni che i politici pseudo-rivoluzionari definiscono necessarie allo scoppio di una rivoluzione e tanto meno alla sua vittoria. Usa il termine pseudo-rivoluzionari come riferimento preciso; molti Paesi latino americani erano, infatti, governati da partiti ‘rivoluzionari’ nel nome e lo stesso Castro iniziò l’attività politica militando nel Partido Revolucionario ‘Ortodoxo’, che si contrapponeva a quello ‘Autentico’. “Eppure a Cuba”, ricorda Castro, “in pochi coraggiosi abbiamo iniziato la rivoluzione, abbiamo attaccato la dittatura; altri, sempre più numerosi ci hanno seguito, hanno combattuto e vinto con noi”. Passa all’analisi socio-politica: nell’America sottosviluppata il terreno della lotta armata deve essere fondamentalmente la campagna. Segue però l’ammonizione: “Il rivoluzionario non deve fermarsi alle indagini sociali, ai problemi economici, né stare a discutere con chi allearsi, a valutare le forze che all’inizio saranno sempre inferiori a quelle del potere dominante”. E poi il richiamo alla dura realtà, “la Rivoluzione non può arretrare per timore del sangue che sarà sparso, della violenza e della morte che saranno subite ed inflitte”. Da parte USA sarà poi citata, come prova della volontà di Fidel Castro di esportare la rivoluzione cubana, l’esortazione “Per conseguire un reale progresso economico e sociale è necessario abbattere i privilegi, liberare l’America Latina dall’imperialismo yanqui, cacciare i governi ad esso sottomessi”. Il messaggio è indubbiamente chiaro: “andate e fate la rivoluzione nel vostro Paese; potrete vincere o morire, ma questo solo è il vostro dovere – se siete rivoluzionari”.
“Il dovere del rivoluzionario è uno solo: fare la rivoluzione”. Quattro ore di discorso si riassumono in questa frase.
Inviato da: volandfarm
il 25/03/2009 alle 07:35
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