Creato da: ruconcon il 25/07/2005
Sul ritmo della pachanga i ricordi di un giovane 'rivoluzionario'

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« Turismo e solidarietà in...Rane Toro »

Brigada Internacional de Trabajo Voluntario.

Post n°12 pubblicato il 06 Settembre 2005 da ruconcon

I viaggi in delegazione organizzati dalla Federazione Mondiale della Gioventù si svolgevano nell’Europa orientale comunista; in Italia erano conosciuti come viaggi-premio ai giovani del PCI e del PSI più meritevoli. Tra mangiare, bere e andare a spasso, pare che qualcuno, regalando calze di nylon, riuscisse anche a ‘cuccare’ tra le compagne del Paese visitato. A Cuba è la prima volta che la Federazione mette piede, con l’obiettivo politico di cui ho già detto. A parte che le cubane sono davvero belle e simpatiche, ma non portano calze e non hanno intenzione di farsi cuccare, fino ad ora il viaggio ha avuto soprattutto belle qualità turistiche.
Un giorno ci annunciano che siamo stati inseriti nella Brigada Internacional de Trabajo Voluntario, con destinazione la Provincia di Oriente, dove si sta costruendo una città-scuola ai piedi della Sierra Maestra. Oggi un’iscrizione ‘d’ufficio’ a qualcosa mi desterebbe qualche contrarietà, allora mi riempie d’orgoglio l’essere registrato come volontario. Sarà stato forse anche il nome, che richiama le gloriose Brigate Internazionali della Guerra di Spagna.
Andiamo in una sede della Milicia Obrera, per ricevere la dotazione di vestiario; ho ancora la distinta:
- due paia di pantaloni di tela blu, con tasconi laterali uso militare (sono quelli della divisa della Milicia Campesina)
due camicie azzurre (quelle della Milicia Obrera)
magliette, mutande, calzettoni
scarponi militari
un telo di canapa con cordame, per appenderlo come amaca; opportunamente piegato serve anche come zaino (ci provo, sembra impossibile)
-
  un telo di plastica e apposite cordicelle, da stendere quale tetto sopra l’amaca a difesa dalla pioggia e dall’umidità della notte.
L’amaca e relativa plastica – mi spiegano – fanno parte della dotazione essenziale di ogni soldato dell’Ejercito Rebelde, che può appenderla ovunque e riposare con qualsiasi tempo. Più dell’idea di dormire nella selva mi preoccupo di non riuscire a trovare due alberi alla distanza giusta per appendere l’amaca, ma rinvio il pensiero, non attuale.
Indosso la divisa: con i pantaloni infilati a sbuffo negli scarponi faccio la mia bella figura, proprio da Brigata Internazionale. Così vestiti partecipiamo agli ultimi incontri nella capitale; il saluto, non ricordo da parte di quale autorità, avviene in un teatro, con ripresa televisiva. Le persone con cui parlo non sono mai state in Oriente, non hanno alcuna intenzione di andarci e ci ammirano molto per lo spirito con cui affrontiamo le difficoltà presenti da quelle parti: caldo terribile, selva folta, montagne irte e terre incolte, insetti, animali (serpenti, coccodrilli…), malattie (quali? Chiedo un poco preoccupato; paludismo, la prognosi). “E’ povera gente poco civile”, mi dice uno, “tutti negri”.
Se il sole tropicale dell’Avana mi ha già scottato, chissà come sarà laggiù! Il paludismo potrebbe essere la malaria, ma si è parlato di Città-scuola, non di bonifica di paludi; non credo poi che ci faranno mangiare dai coccodrilli! Il tono dei discorsi è - in fondo - appena più pesante di quello usato da noi per commiserare i giovani sfortunati, mandati in Sicilia in servizio di leva militare. Semplicemente, la provincia di Oriente dev’essere la zona arretrata del Paese. Vedremo.
Dicono che ci daranno anche una paga: cinque pesos la settimana, non è poco.

 

 

 
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