Creato da: ruconcon il 25/07/2005
Sul ritmo della pachanga i ricordi di un giovane 'rivoluzionario'

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« Barbe biancheChelo Alonso. »

Las Minas del Frìo.

Post n°18 pubblicato il 19 Settembre 2005 da ruconcon

Ci informano che, chi vuole, può salire sulla Sierra per stare qualche giorno alla Scuola Militare di Minas del Frìo; mi segno volontario e dopo qualche giorno arriva l’ordine: domani si parte. Riceviamo anche una coperta di lana, da inserire nel famoso zaino da formare col telo-amaca, con l’avvertenza che lassù fa freddo. Vero è che il nome significa Miniere del Freddo, ma sarà così per i cubani, che non conoscono basse temperature.
Una costante nei nostri spostamenti sono i ritardi; quando già siamo tutti sui camion, si resta fermi, non si sa perché non arrivi l’ordine di partenza e seguono poi altre soste senza motivo apparente. S’inganna l’attesa cantando e ritmando sulle sponde…
                                                        
la Pachanga!
                                                                  
 
Anche oggi è questa la routine che segue la sveglia all’alba; camion fino a Jibacoa; si sale su pista sterrata per pochi chilometri ancora, fino ad arrivare al limite che il sole è alto. Iniziamo finalmente la salita a piedi sotto il sole, ma subito siamo all’ombra della selva. Chi se l’è portate, mangiucchia delle gallette.
Si va in fila indiana lungo il sentiero che, ci han detto, è percorso giornalmente dalle squadre di reclute che portano, a spalla, i rifornimenti a Las Minas; potrebbero migliorarlo un po’: è piuttosto ripido ed a tratti scivoloso. Fa tanto caldo, anche se si cammina sempre al coperto della fitta vegetazione; la sete mi fa consumare presto l’acqua della bottiglia (di vetro, non esistevano ancora quelle di plastica – nota per i nipoti) infilata nello ‘zaino’ che minaccia sempre di sbrogliarsi. Attraversiamo spesso a guado dei ruscelli e l’acqua non manca; sono montagne disabitate e quindi non sarà certo inquinata...
Non è il caso che mi cimenti nella descrizione della selva: rinvio ad un qualsiasi romanzo di avventure in ambiente tropicale. Riporto invece la foto di una pattuglia, guidata da Fidel, su quello stesso sentiero.
Mi hanno detto che la cima massima della Sierra è il Pico Turquino, quasi 2000 metri; l’accampamento sarà quindi più in basso. Però non si finisce mai di salire, vuoi vedere che l’hanno messo proprio in cima? Un paio di militari allungano il passo, per dare l’avviso all’accampamento; la fila si allunga sempre più ed alla fine posso vantare di essere arrivato nel gruppo dei primi, pur incrociando lo sguardo ironico delle due staffette, che stanno già scendendo per recuperare i ritardatari.
Attorno ad uno spiazzo sorgono diverse baracche di legno e lamiera e numerosi capanni, formati dal solo tetto di paglia, sostenuto da una serie di pali. Servono da mensa, da scuola, per riunioni, ma soprattutto – quelle più arretrate – da dormitorio, poiché tra i pali sono sospese le amache dei soldati. Faccio tempo a mettermi in coda per il rancio serale. Gli ultimi salteranno anche la cena. Il cibo è il solito: riso con fagioli e pezzetti di carne, pollo o maiale, ma questa sera non ho fame. Sarà la fatica; mi sforzo di finire quel che ho nel piatto, anche se mi sale dallo stomaco una sensazione di nausea. Effettivamente quassù fa un bel fresco, voglio cambiarmi la camicia sudata, che ora sento fredda, appena sistemato per la notte. Già, ma dove sistemarci? Siamo una trentina circa, non sarà una cosa facile. All’Avana avevo rinviato al domani la preoccupazione di trovare due alberi, alla distanza giusta per appenderci l’amaca; ora è venuto il momento di farlo, inoltrandoci nella selva, fitta attorno all’accampamento, prima che sia troppo buio.
Sto per chiedere parere – anzi, ordini, poiché siamo aggregati all’esercito – al nostro ufficiale, quando arriva la bella notizia: questa mattina una compagnia è scesa al piano ed i soldati ci hanno gentilmente lasciato i loro alloggiamenti, con montate le amache e relative coperte. Ne prendiamo possesso e utilizzo subito il servizio igienico, una latrina costruita a norma del regolamento, uguale in tutti gli eserciti: un assito che lascia dei buchi e sotto scorre un rigagnolo d’acqua. Questa sera c’è un incontro con il Comandante della Scuola, ma sono troppo stanco, ho freddo e la nausea si fa più forte. Saluto quindi e vado a… letto; si è fatto buio ma ogni capanno è illuminato da una lampadina, appesa al palo centrale. Metto una coperta sul fondo dell’amaca, per migliorarne l’accoglienza; mi avvolgo nell’altra, cerco inutilmente di mettermi comodo e riesco comunque ad assopirmi. Presto mi sveglio e comincio l’andirivieni alle latrine; ho freddo, un bravo compagno mi cede una coperta e dice che forse ho la febbre.
All’alba ho ancora più freddo e mi gira la testa.  Poi qualcuno avverte l’ufficiale, che mostra dov’è la baracca infermeria; sostenuto da due compagni ci arrivo a fatica, entriamo in una stanza con qualche letto a castello, liberi; mi fanno stendere sulla branda in basso, non faccio a tempo a dire grazie che cado nel buio.

 

 

 
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volandfarm
volandfarm il 24/03/09 alle 14:12 via WEB
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