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once upon a time : il vecchio e il mare

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lo shipping internazionale: tecnologie ed innovazione

Post n°27 pubblicato il 03 Giugno 2012 da saltwater57

I traffici commerciali via mare sono aumentati negli ultimi vent’anni. Il 30% della flotta  mondiale  è costituita da petroliere e  chimichiere, un altro 30 % da portarinfuse solide ed il 15-20 % da navi  porta containers. Tutte cose interessanti che però non toccano il nocciolo del problema: l'aumento dei traffici petroliferi ed il trasporto merci alla rinfusa e su container ships permette guadagni enormi, a discapito della sicurezza.

Le navi porta container sono cresciute a dismisura, con una percentuale media dell' 8 % annuo. Le regole sono semplici: tre 'E' per indicare 'Economy of scale', 'Energy efficient' e 'Environmentally improved'. Ma anche le performance non sono state trascurate. Oltre alle importanti dimensioni (400 metri di lunghezza, 59 di larghezza e 73 di altezza, che faranno nel 2013 delle Triple-E le navi più grandi del mondo), le stesse saranno in grado di trasportare 18.000 containers standard.

La rincorsa al profitto ha trasformato il trasporto  mondiale in una giungla dove regna una concorrenza sfrenata a danno dei lavoratori e dell'ambiente. Nel settore marittimo questa situazione trova una ulteriore amplificazione con l’utilizzo, sempre più sfrenato, di lavoratori extracomunitari. Tanto per fare un esempio: il nolo di una petroliera faceva guadagnare all'armatore 35 mila dollari nel 1998, 70 mila dollari  nel 2000 e ad oggi i noli sono ancora raddoppiati!

Per quanto riguarda le navi passeggeri, i traghetti e le navi porta containers,  si è registrata nel corso degli anni 2002-2012 una implementazione della sicurezza; tutto ciò, purtroppo, non è riscontrabile ancora sulle altre navi da carico. Infatti, analizzando quest'ultimo decennio, la memoria di noi tutti  va al 19 novembre 2002: 70mila tonnellate di petrolio colarono a picco insieme alla "Prestige", una nave vecchia e malmessa; circa 35mila tonnellate si riversarono su circa 350 Km di coste spagnole; almeno 30mila posti di lavoro furono persi, nell'immediato,  per l'inquinamento; danni ambientali ancora incalcolabili.

Un disastro provocato dal naufragio di una petroliera o meglio l'ennesimo disastro ecologico provocato dal naufragio di una petroliera. Tutti lo sappiamo bene: quello della "Prestige" non è uno sfortunato incidente ma il risultato della ricerca del profitto, dell'opacità e dell'irresponsabilità che caratterizza i trasporti marittimi internazionali, dove dominano le "bandiere ombra", le irregolarità, lo sfruttamento dei lavoratori marittimi extracomunitari.

Ecco la sequenza più o meno completa dei disastrosi naufragi di petroliere: dalla Torre Canyon che nel 1967 riversò 168 mila tonnellate sulle coste inglesi, alla Haven che esplose al largo di Genova nel 1991 con 145 mila tonnellate di petrolio, alla Erika affondata nel dicembre 1999 al largo delle coste francesi con 30 mila tonnellate di residui della lavorazione del petrolio, tanto per citare solo alcuni dei casi più famosi.

 Fino agli ultimi anni '60-'70  i traffici di idrocarburi erano dominati da un pugno di compagnie petrolifere:  British Petroleum, Gulf Oil, Esso(Exxon),Mobil Oil, Royal Duch Shell, Texaco-Getty Oil Co e Chevron Oil Co,  le famose “sette sorelle”,  che estraevano il petrolio e lo trasportavano con proprie navi alle raffinerie, utilizzando solo ed esclusivamente Comandanti ed Ufficiali europei, per la maggior parte italiani.

 Dopo lo shock petrolifero del 1973 (guerra del Kippur e blocco delle esportazioni petrolifere dei paesi arabi) il settore ha subìto una rapida quanto radicale trasformazione tesa a sfuggire alle regolamentazioni internazionali dell'IMO che, paradossalmente, tanto più erano esigenti in termini di sicurezza e di garanzie dei lavoratori, tanto meno erano osservate dai singoli Stati.

Nel giro di pochi anni le compagnie petrolifere dismisero le loro flotte e si affidarono ad armatori che utilizzavano navi registrate sotto bandiere di Stati compiacenti.  Attualmente il 70% delle petroliere batte "bandiere ombra". Si tratta quasi sempre di navi vecchie - l'età media della flotta di Antigua è di 20 anni, quella delle isole Saint-Vincent è di 25 anni, quella delle isole Turks è di 30 anni - navi sulle quali vengono imbarcati lavoratori sempre meno esperti e sempre peggio pagati , che effettuano viaggi tra i porti dei paesi produttori di greggio e “le acque internazionali americane”.

L’America, infatti, intervenne sùbito emettendo, per la navigazione nel suo mare territoriale e l'ingresso nei suoi porti, delle restrizioni a carico delle navi non dotate di doppio scafo, ma per gli armatori fu abbastanza facile aggirare l’ostacolo. Per spiegare con un esempio, queste navi arrivano nel Golfo del Messico, rimanendo in rada ad oltre 100 miglia dalle coste ed effettuano il trasbordo del greggio ("lightering operations") sulle navi moderne a doppio scafo che entrano nelle acque americane.

Ma cosa trasportano le petroliere e chimichiere? Sempre prodotti altamente inquinanti poiché il petrolio è un prodotto tossico lungo tutto il processo che lo trasforma da materia grezza a prodotto di consumo, passando per il trasporto e la raffinazione. Ma la "Prestige", così come la "Erika", non portavano né petrolio grezzo né prodotto raffinato (benzina, gasolio, ecc.) bensì quello che viene definito "CRUDE OIL - olio combustibile denso" , cioè quel residuo di lavorazione che fino a pochi anni fa veniva considerato un rifiuto senza valore ma che negli ultimi 30 anni, grazie all'aumento sconsiderato  del prezzo del petrolio (fino a 147 dollari al barile) e dei suoi derivati, ha trovato un suo mercato come carburante per certe navi e, soprattutto, come combustibile per impianti termici in paesi del terzo mondo poco attenti alla protezione dell'ambiente .

Questi oli combustibili densi dovrebbero essere sottoposti ad una lavorazione per essere depurati e riciclati, operazione costose che la ricerca del massimo profitto rende antieconomica. Meglio imbarcare queste schifezze su qualche vecchia carretta e spedirle in giro per il mondo con equipaggi formati totalmente da extracomunitari ed , al massimo, con il solo  comandante italiano o comunitario,  che deve confrontarsi giornalmente con le problematiche della navigazione,  senza avere validi collaboratori o il dono dell’ubiquità.

Nino Ursino  

 
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