Ci risiamo! Voi non ci crederete, ma ci risiamo! E da un mese e mezzo! Ho ripreso a prendermela troppo, non lo dite a Paulina, che l'ha scoperto quando ci siamo conosciuti, alla prima occhiata, mi vergogno! E mi vergogno di avere scomodato l'intero club, come lo zio Filtros definisce il pugno di amici delle varie epoche e località, per trovare una soluzione. Potevo limitarmi a Sanjuán: "il tuo entusiasmo è inversamente proporzionale al saldo del tuo conto in banca". Lapidario, ma non del tutto sbagliato. Insomma, una banale questione di sghei. Speriamo che non ne arrivino troppi, quando arriveranno: si sa, i ricchi sono racchi.
Tra i luminari (leggi membri del club) che si sono avvicendati al mio capezzale, il che mi ricorda tanto una canzone di una trentacinquina d'anni fa (non si scherza, non è un gioco...), anche Máximo B. Namnetes, col quale ci siamo laureati in due: io e mio figlio. In cosa? Ma in diritto costituzionale, che diamine! Non certo in psicologia dell'età involutiva! A questo proposito, Colui, tienitelo per detto: la psicoterapia, lunga o breve, no, no e no!
Prima ancora, Max era un amico, di quelli mens sana in corpore sano, saggio allora - a meno di trent'anni - come adesso. E la mia vergogna triplica.
"Geoffroy" mi ha detto varie volte, in questi giorni, "Tu devi tirar fuori il tuo sense of humour...". In inglese. Dev'essere nostalgico di quando, come mio zio, voleva andarsene in Inghilterra. Ma per motivi che con la swinging London avevano poco a che vedere. Lui, voleva studiare la democrazia.
Si, nostalgico. Anche di me, quando avevo vent'anni (o poco più) e facevo satira di costume. E' che mancano gli argomenti, cugino spirituale. Non te ne sei accorto, preso come sei tra la giurisprudenza e l'uscita di sicurezza? "Non ti sto chiedendo di entrare in scena per uno one man show: ne fai già abbastanza davanti allo specchio, di mattina. Ti sto chiedendo di ridere di te stesso e degli altri. Ma soprattutto di te stesso".
'Na parola. Sapete come chiamiamo Namnetes, la sua omonima città natale? "Là-bas, dans l'autre monde". Non sarà l'isola felice, e gli autoctoni tendono a sottolinearlo (che abbiano paura dell'immigrazione, come i campanilisti?), ma qualche problema in meno, rispetto a noi, ce l'hanno. Meno coatti, meno alienazione, per tirar fuori il primo esempio che mi viene in mente!
Va be', prometto d'impegnarmi. Lo prometto a lui, e a mio padre (Paul-Henri), che dice che il mio attuale modo di vivere è disperatamente fesso, quanto quello che cerco di combattere. Quanto ai miei due genitori a latere, Rogelio, come Sanjuán, ha gettato la spugna da tempo, soprattutto da quando ho ricominciato a pensare che porta iella (Un ragazzone grande e grosso come me, superstizioso!). Non gliel'ho detto, ma mi si legge in fronte, quando (poco) elegantemente declino le sue proposte di accompagnarmi in posti in cui, e lui lo sa, credo di aver bisogno di fortuna e non (scusate il sessismo) di zebedei.
L'altro, Pinedo, non si è fatto vedere per le due o tre ultime tragedie (dieci giorni, suppergiù). Stamattina, tuttavia, l'ho trovato nella mia stanza sulla Diagonal, seduto in punta di chiappe sul divano disfatto e con una luce sdegnata nei diabolici occhi gialli. "Hai finito?".
Ho finito. Vado a ricaricarmi il sense of humour. Sarà aperto l'elettrauto?
©2014 Pavia Malandra
P.S.: Ci credereste che ieri mattina ho incontrato Boris? E mi ha fatto anche piacere!
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