Sasha Sans Serif

Questa non è la solita colonnina nella quale racconto le mie cosas de amores, confuse, e parecchio, in questa stagione nella quale, come dice Juan José Millás ne "El País", ci sono ancora i lunedì e i martedì. Ma rubo le parole del Puma de Venezuela perché sempre di amore si tratta. Di amore per la vita. E non mi manca.

Ho cominciato, finalmente, a riordinare i miei vecchi articoli, del noto giornale madrileno e di altre testate, quelli che ho iniziato a collezionare nel 2002, quando una persistente crisi mi portò a cercare la distrazione, l'unico sistema che non fallisce mai, quando mi trovo di fronte al muro della fesseria; e non me ne compiaccio, ma non sono mai riuscito ad abbatterlo. Né mi compiaccio adesso, quando le persone di allora guardano me e Sanjuán intenti a fumare la sigaretta post tribunale sotto quella che, un tempo, era la finestra di Beatriz, con un certo fastidio. A volte cambiano anche marciapiede. Perché la traversata è dura per tutti, dodici anni dopo. Ma, di fronte alla nostra unione, c'è chi pensa di essersi perso qualcosa, che con noi sarebbe stato più facile. Ha proprio ragione. Ma la vita è fatta di scelte. Ed io, scaricato allora, oggi sceglierei solo Sanjuán.

Del mio quarantesimo anno di età restano, dunque, solo questi tre o quattro chili di carta e alcuni nuovi amici, conosciuti su internet, su quelli che erano, allora, gruppi di discussione. Non avevo nessuno con cui parlare, lasciato Sanjuán sulla porta di casa sua, o, più raramente, Colui su quella del suo ufficio, Fúlvia alla fermata dell'autobus. E allora si parlava molto, e bene, sui gruppi. Mi sono ripreso così. Ho avuto fortuna. La pulsione di vita, credo.

Mi guardo indietro e non riesco a capire se sia sempre lo stesso o se un briciolo di maturità si sia infiltrato in questa testa sciacqua, che non manca di divertirmi, ogni tanto; il muro di fesseria mi si presenta ancora davanti, con la sua geometria variabile e la sua implacabile logica, illustratami da un'altra bella signora, della quale non posso fare il nome: se vuoi stare tranquillo, non chiedere niente. Sono d'accordo. Ma temo anche che, a forza di non chiedere niente, finiremmo per perdere anche il minimo vitale. Che, per quanto mi concerne, non è molto più esoso di quello di Gervaise Macquart ne "L'Assommoir" (a proposito, quando studiavo ciò, all'Henri IV, avevo un compagno di scuola di nome Lantier... e lo sfottevamo).

Tutto sommato, penso di essermi evoluto. Anche se la vita come continua evoluzione non fa più parte delle mie credenze. Eppure, guardando l'orizzonte, e guardandomi, per scoprirmi ancora una volta maniaco-depressivo, ma di brutto, so che devo superare me stesso, ancora una volta. Per quanto la mia situazione, in tutti i campi, sia preferibile a quella di allora, corro lo stesso rischio di fossilizzarmi. Ecco perché il manufatto edilizio di cui sopra mi secca tanto.

Devo trovare qualcosa di nuovo. "Scoprire un nuovo continente", dico al mio socio. E, nel frattempo, ho ripreso a leggere "El País", del 2014 come del 2002. Millás c'è ancora, altri no. Chissà che non mi vengano nuove idee. Amar es algo más...

©2014 Pavia Malandra