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12/06/2006 Piani paralleli

Post n°52 pubblicato il 27 Settembre 2006 da saralyce
 
Foto di saralyce

Dalle sue lucide vetrate che si affacciavano sulla Avenue of Americas, al ventunesimo piano di un bel palazzo postmoderno dalle linee slanciate, sinuose ed affusolate come sarebbero piaciute a Gaudì, si vedevano Bryant Park con la fontana al centro e il Pronto Pasta all'angolo con la quarantaduesima. Era per questo motivo, ma non solo, che Damian aveva scelto quella galleria d’arte per incontrare di nuovo Tessa, perché la vista era ottima.
Arrivando con un discreto anticipo, avrebbe potuto vedere da lontano la sua figura eretta e slanciata, uscire dall’ufficio al ventunesimo piano del palazzo di fronte e camminare veloce nel corridoio dritto lungo le pareti di vetro, per poi scendere con l’ascensore esterno e attraversare decisa il parco. L’aveva osservata ormai tante volte da quel punto di vista privilegiato che gli sembrava di accompagnarla lui stesso. Conosceva il tempo esatto che Tessa avrebbe impiegato per percorrere ogni spazio lineare di quel tragitto. Geometriche e razionali, le architetture di quei palazzi erano state studiate per generare flussi di percorrenza funzionali, in qualsiasi momento del giorno, contro ogni imprevisto.

Damian a tutta questa perfezione non si voleva abituare. Ogni volta che osservava l’ordine limpido di quella metropoli, la sua mente fuggiva tra i vicoli bui e sinuosi di un luogo infinitamente più piccolo e geloso dei suoi segreti e della sua storia. Ricordava le notti trascorse con Tessa nella sua città, più scorbutica ma più materna, dove non esistevano incroci ad angolo retto, ma curve e vicoli persi in una rete di ragno. Spesso, nei loro incontri notturni, dopo l’amore, la portava a passeggiare nel cuore di quella ragnatela, cercava con lei di tessere trame nuove in quelle strade piccole. Giravano a caso tra le vie, raccontandosi della loro vita, delle grandi imprese che avrebbero realizzato. A volte si fermavano a parlare con la gente persa in quelle notti, a volte scambiavano una bottiglia di vino con un carillon o un vecchio giornale, che qualche ubriaco portava nella sua sporta cercando un posto per dormire. A volte invece litigavano per ore, per un nulla, per una battuta che Damian faceva apposta per godere degli scatti d’ira di Tessa, magari da farsi perdonare con un fiore rubato in qualche cortile, e poi finivano, esausti, a baciarsi dentro un giardino nascosto, o dietro un angolo buio di quella tela infinita.

Damian amava Tessa. La amava davvero, a modo suo. Amava la sua pelle dorata e i suoi occhi verdi, strano miscuglio tra un uomo che veniva da isole lontane e una donna fiera delle sue radici in una terra di nebbie. Amava i suoi gesti, eleganti e misurati quando era serena e all’improvviso rapidi e violenti quando veniva provocata. Ogni cosa in lei era duplice e a contrasto, di questo Damian era violentemente affascinato. Sapeva che lei, nonostante la sua aggressiva insicurezza, gli era profondamente legata. Tessa faceva di tutto per non dargli alcun vantaggio nell’amore, ma Damian sentiva che lei ci sarebbe sempre stata per lui e per questo era fiero e sicuro di sé. Che poi questo sentimento fosse vero amore, Damian non se lo era chiesto per molto tempo. Del resto, non c’erano mai stati scambi di promesse. Lei non gli aveva mai chiesto nulla, anzi, indipendente e fiera, aveva sempre difeso le sue zone d’ombra, mostrando in cambio poco o nessun interesse per le altre donne che Damian frequentava. Proprio per la profonda libertà e il mistero che ciascuno difendeva, la loro relazione, era stata la più duratura e più stabile nella vita di Damian. Questo complice distacco era il fuoco che alimentava il loro desiderio.

Ora Damian capiva che desiderio così intenso per sua natura non poteva limitarsi a loro due. In quelle notti solo per loro, mentre mentivano al mondo come se avessero potuto vivere in eterno nascosti l’uno nell’altra, l’amore aveva chiesto il suo tributo, senza chiedere il permesso.

Affacciato ad una vetrata su un panorama di griglie e piani perfetti, Damian, ripensando a quei giorni, riassaporò per un respiro la sensazione di potenza di allora, seguita dall’amarezza di aver vissuto per troppo tempo in un eterno presente, senza mai pensare alla propria vita come ad un filo che si può dispiegare disegnando un’idea. Si era sentito a lungo in un gomitolo elettrizzato di pensieri e desideri, convinto che l’amore dovesse essere onorato solo per amore dell’attimo, che la vera scelta fosse quella di non farsi scegliere mai. Fino a quella sera lontana, in cui Tessa, allineando i guanti di lana neri sul tavolo, aveva parlato con voce bassa e seria, dicendogli della vita che era entrata dentro di lei.

La luce di quel pomeriggio d’estate entrava vibrando nella stanza del grattacielo in Avenue of Americas. Contro ogni regola d’esposizione in una galleria d’arte, i raggi del sole si posavano indisturbati sulle opere lungo le pareti. C’erano diverse istallazioni di artisti italiani esposte, tra cui una di Rossetti, che aveva affascinato Damian fin da subito: un libro antico, trafitto, chiuso per sempre da un coltello. Era stata questa la seconda ragione che aveva spinto Damian a mandare a Tessa un invito fasullo all’inaugurazione di quella mostra per poterle di nuovo parlare. Gli era sembrato un segno. Il libro rappresentava quello che, in fondo, aveva scelto di fare Tessa: chiudere un capitolo della sua vita in maniera definitiva.

Incontrarsi lì quel giorno avrebbe significato riaprire il libro, ma Damian era convinto di aver raggiunto la forza per curare qualsiasi ferita. In fondo, c’erano voluti molti anni, ma aveva capito quello che avrebbe potuto afferrare quella sera lontana: che il mistero di Tessa era solo un il profondo amore per lui che lei non aveva mai confessato. Damian sapeva che ora era pronto per accoglierlo senza vacillare. Allora la sua dignità era solo un gioco di mano dal palmo vuoto, oggi era solida dell’esperienza della vita.

Per troppo tempo era stato convinto di aver agito nel migliore dei modi. Accettare che la vita scegliesse per loro, mandando un suo frutto non voluto sarebbe stato una pazzia, aveva detto allora, mentre Tessa fissava persa un punto lontano fuori dalla finestra buia. Per un attimo gli era sembrato di intravedere in quei grandi laghi verdi una scintilla di speranza, ma proprio per questo aveva cercato di essere il più razionale possibile, di proporre la cosa più ragionevole per entrambi. Nessuno dei due era pronto per un terremoto simile. Tessa aveva ascoltato senza mai parlare. Da quella notte avrebbe parlato sempre meno con Damian. Per un po’ lei aveva lasciato che lui le stesse vicino. Nelle settimane subito successive, aveva lasciato che lui le asciugasse serio ogni lacrima e le parlasse con dolcezza e determinazione. Poi, in un giorno freddo di fine inverno, aveva scelto di sparire. Da un giorno all’altro, chiuso ogni contatto con lui, quel mondo e quella città, aveva cambiato tutta la sua vita in un giorno e se ne era andata.

Fu solo dopo che lei scomparve che Damian si rese conto di ciò che era realmente successo. Parlando di scelte razionali, per il bene di entrambi, aveva soffocato nel rumore delle sue teorie i desideri di Tessa, che, forse per la prima volta, gli aveva mostrato apertamente il suo bisogno, la sua paura e la sua debolezza.

Per un po’ Damian era stato abile a nascondersi la verità. Lei era forte abbastanza da affrontare quel periodo anche da sola e, forse, la sua vicinanza avrebbe solo peggiorato le cose. Si aspettava che da un momento all’altro sarebbe tornata, lo aveva sempre fatto, lo aveva sempre, in fondo, perdonato. Fu solo dopo diverso tempo, quando l’alcool e le notti solo in quella città non bastavano più a fargli nascondere il suo malessere, che si rese conto che lei non sarebbe tornata.

Damian aveva investito tanto tempo per trovarla, quasi dieci anni di silenziosa ricerca. Totalmente diversa, un altro nome, un'altra città, ma sempre lei, la sua Tessa, l’aveva ritrovata dall’altra parte del mondo. E tra poco sarebbe stata di nuovo di fronte a lui. Certo si sarebbe stupita di rivederlo dopo tanti anni! Ma Damian sentiva di doverlo fare, almeno per vederla un’ultima volta. Finalmente le avrebbe detto le parole che non era riuscito a trovare allora, si sarebbe mostrato a lei come uomo, solido, razionale, affidabile, nuovo. Le avrebbe parlato, le avrebbe chiesto scusa, l’avrebbe riportata a casa con sé, via da quella città così fredda, via da quelle vie dritte e luminose, perché loro erano fatti per restare uniti, nella loro terra. Avrebbero ricominciato insieme, ne era convinto, aveva capito come poteva farla felice.

Guardò lontano, un’ultima volta, sul panorama di una città chiara, ordinata e rassicurante da quel punto di vista. La città dove aveva deciso di ricostruirsi una nuova vita la donna che, dieci anni prima, lui non era stato all’altezza di amare. Damian sentì un brivido lungo la schiena. Dal palazzo di fronte si aprì una porta. Damian appoggiò la mano al vetro. Lei, slanciata e rapida, stava percorrendo il corridoio dritto verso l’ascensore esterno. Un veloce tragitto verso terra e poi l’avrebbe riavuta con sé. Ancora qualche minuto e Tessa sarebbe stata nel suo stesso edificio, nel suo stesso spazio. Ancora qualche giorno, e Tessa sarebbe tornata nel suo universo.

Quando Tessa entrò nella galleria d’arte, la prima cosa che vide fu che un’opera di Rossetti era caduta a terra. Per il resto, la sala era deserta. Tessa si avvicinò alla finestra. Dalle sue lucide vetrate che si affacciavano sulla Avenue of Americas, al ventunesimo piano di un bel palazzo postmoderno dalle linee slanciate, si vedevano Bryant Park con la fontana al centro e il Pronto Pasta all'angolo con la quarantaduesima. Tessa alzò gli occhi. Nel palazzo di fronte, proprio al piano del suo ufficio, un uomo la stava guardando.

Per la prima volta in vita sua, quell'uomo stava piangendo.


(Questo racconto è stato pubblicato in una raccolta edita da Giraldi editore, Bologna)

 
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