10/08/2004 Thailandia - Ko Pan gan

Post n°14 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
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Ko Pan gan Dopo Chiang Mai siamo passati Ko Pan gan, un’isola sulla costa sud orientale, vicino a Ko Samui. È abbastanza famosa perché ogni mese a Hat Rin, un villaggio a sud, ci fanno il full moon party, una specie di rave sulla spiaggia dove ci si ammazza di techno e alcolici fino all’alba. Ho conosciuto delle ragazze inglesi che dicevano che questa festa è la ragione per cui la gente viene in Thailandia. Per fortuna che ci sono persone così, in questo modo fuori da Hat Rin (dove non siamo proprio andati) e quando si è lontani dalla festa l’isola è un vero paradiso! Di questo non c’è poi molto da raccontare, abbiamo preso un bungalow sulla spiaggia e ci siamo goduti qualche giorno di assoluto riposo. La cosa migliore sulle isole è noleggiare un motorino per girarle e farsi portare con una barca sulle spiagge più isolate. In particolare, siamo stati a Bottle Beach, una spiaggia bianca dove l’acqua è trasparentissima e calda. Dopo tutta la pioggia di Chiang Mai ci voleva un po’ di sole!

 
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05/08/2004 Thailandia - Chiang Mai

Post n°13 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
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Da Bankok siamo passati a Chiang Mai, vicino al confine con la Birmania. È una città dalla pianta perfettamente quadrata, circondata da quattro canali e con dentro un sacco di storia e di templi, la voglia di incontrarsi qui è ancora più nell’aria che a Bangkok. In alcuni templi, soprattutto dove c’è anche l’università (le zone dei templi sono città in miniatura), ci sono aree dedicate al monk chat, la chiacchierata con il monaco. Molti monaci studiano l’inglese e aspettano con il sorriso la gente che si vuole avvicinare per fare un po’ di conversazione. Loro ti raccontano un po’ della loro vita e della loro religione e tu un po’ del tuo viaggio. Ogni gesto in quei posti ha un significato e va fatta con cura. Dopo un po’ di correzioni da Fabio (che si era preparato al viaggio meglio di me), sono riuscita a passare una bottiglia di latte di soia a Pichit, il monaco, nel modo corretto: con una mano sola (la destra, la sinistra è segno di maleducazione), appoggiandola al tavolo per non toccarlo direttamente (i monaci non possono toccare le donne) e cercando di non far cadere la cannuccia in bilico sul tappo chiuso - beh, quella era una mia preoccupazione occidentale da microbi per terra!

Del resto la paura dei microbi me la sono poi fatta passare presto, appena abbiamo iniziato l’escursione di tre giorni nella foresta pluviale a nord di Chiang Mai! Senza troppo pensare alle conseguenze, abbiamo comprato per pochi bhat un giro di tre giorni e due notti e ci siamo ritrovati a camminare per ore in mezzo alla foresta (con le guide che ci facevano fare un leech-chek ad ogni tappa per vedere se si erano attaccate sanguisughe alle gambe), percorrere sentieri pieni di fango in groppa a degli elefanti e fare rafting sul fiume in piena su zattere di bamboo legati insieme, con l’acqua fino alla pancia e una pioggia che ti sembrava di stare sotto la doccia. Beh, ci siamo divertiti un sacco! Le notti le abbiamo passate in un paio di villaggi nella foresta. La prima sera la guida ci ha portato in una capanna tipo palafitta, sopra le camere e la cucina (una stanza vuota con delle pietre per raccogliere il fuoco in un angolo) e sotto lo spazio per le mucche e i maiali. Devo ammettere che i maiali thailandesi puzzano meno di quelli italiani! La padrona di casa, una vecchina di ottant’anni tutta curva (tra la testa e i piedi c’era un angolo retto esatto) ci ha accolto con un sorriso dolcissimo tra le rughe. Abbiamo cenato sul pavimento. Riso e verdure bollite. Dopo una giornata di cammino ci sono sembrate buonissime!

La sistemazione per la notte era in una camera, a dormire sul pavimento spalla a spalla con gli altri nostri dieci compagni di viaggio - no materassi, si zanzariera. Non avevo mai dormito su delle assi di legno prima, ho scoperto spigoli nelle ossa che non sapevo di avere! Durante quella notte poi è successo qualcosa di speciale e la mattina dopo ci siamo ritrovati a fare gli occhi dolci ai quattro maialini che erano nati da poche ore! Colazione (sempre per terra) e poi via per nuove avventure! Insomma, si è trattato di un vero e proprio corso di sopravvivenza, con consegna dell’attestato alla fine! Mi sono divertita molto però, la fatica è stata ripagata da tante bellissime emozioni.

 
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02 agosto 2004 Thailandia - Bangkok

Post n°12 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
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Per conoscere Bangkok non basterebbe una vita. Strade larghissime, ponti, vicoli e canali si ingarbugliano attorno a grattaceli, templi, baracche, case coloniali, bancarelle e ancora negozi grandi e piccoli e costruzioni assurde di legno e lamiera a cui non sono riuscita a dare un nome. Ma lasciarsi catturare da questo gomitolo è davvero un’esperienza affascinante. Il caos per le strade è assoluto, macchine, camionette scassate e pullman si incanalano lenti in strade a quattro corsie, mentre sui marciapiedi ai lati la puzza e il caldo dei gas di scarico a volte diventano insopportabili. Ci siamo fatti un giro su un tuk tuk, uno dei mezzi tipici del posto, in pratica è un’ape car che sfreccia per strade grandi come la tangenziale di Milano rischiando di catapultarsi ad ogni curva. È un mezzo molto economico, e divertente, anche se ogni tanto ti senti che stai lasciando i tuoi polmini all’Asia!Ma è girando a piedi che ci sono sorprese che non si potrebbero gustare in altro modo. Attraversi una via trafficatissima e ti trovi davanti un tempio buddista, con colori di fuoco e il tetto luccicante, ti infili in un vicolo e scopri una farmacia cinese zeppa di vasi con dentro di tutto, dalle radici di gingseng ai cavallucci marini essiccati (pare che facciano molto bene ai reni). Sempre girando un po’ a caso abbiamo trovato anche un canale che taglia orizzontalmente la città, le barche che lo percorrono ti portano per pochi centesimi da una parte all’altra di Bangkok in molto meno tempo che qualsiasi taxi nel traffico del centro. Quel canale e il fiume Chao Praya sono le arterie d’acqua della città e sono le vie più comode per gli spostamenti. L’acqua è un elemento vitale di Bangkok. Tutti poi sono impegnati a fare qualcosa. La gente cammina per i marciapiedi di strade inquinatissime portando in giro le cose più disparate (frutti, sculture attaccate a bastoni, cappelli strani…). Ai lati, cinesi piccoli friggono nei wak pesce e riso su banchetti ambulanti, mentre nei negozi uomini e donne aspettano i clienti tenendo le mani sempre in movimento su sedie da impagliare, tessuti da cucire, tastiere dei computer. Quando sono fermi, i thailandesi pregano. Nei templi grandi, ma anche nei tempietti agli angoli delle strade, giovani e vecchi si fermano a pregare, con il foir di loto tra le mani, gli incensi accesi e la collana di fiori da deporre ai piedi della statua del buddha.Se ti vedono consultare una cartina, le persone si avvicinano e con un inglese stentatissimo fanno di tutto per indicarti la via. Con Fabio ridevamo pensando che in Italia avvicinarsi a qualcuno e attaccare bottone così sarebbe visto più come un atto di invadenza che come un gesto gentile.Ovviamente, non tutti quelli che si offrono di aiutarti lo fanno con disinteresse, a volte cercano di far credere che un tempio è chiuso o che una via non è percorribile per proporre alternative più costose. Per fortuna si tratta di casi abbastanza isolati, di solito sono la gentilezza e l’altruismo che guidano i gesti da queste parti, anche se resta chiaro che il turista per loro è una fonte importante di guadagno in moltissimi sensi. Spesso ciò che per noi può essere un prezzo stracciato, per loro equivale a una settimana di lavoro.

 
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15/08/2003 Ecuador - Quinindé

Post n°11 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
Tag: Ecuador
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Via da Atacames, ci siamo spostati ad Esmeraldas, città poverissima e sconsigliata da tutte le guide dato l’alto tasso di criminalità e le poche cose da vedere. In effetti lì abbiamo visto la parte più povera di quel paese e anche la più pericolosa. Siamo rimasti solo poche ore, ma ci sono bastate per notare che i negozi per strada avevano tutti le inferriate davanti, con un piccolo spazio per far passare merce e soldi durante l’acquisto e una guardia armata all’esterno.

Avevamo appuntamento lì con un missionario di nostra conoscenza, Padre Bruno, che ci ha caricato in macchina per andare alla sua missione a Quinindé. È una zona povera come Esmeraldas, ma totalmente diversa nell’atteggiamento delle persone. La loro ospitalità ci ha commosso. La missione è a Malimpia, a un’ora dal villaggio, in mezzo alla foresta, tra il Rio Quinindé e il Rio Blanco. Ci sono solo capanne di legno, ma tutte pulitissime. Il fiume è alla base della vita di quel luogo. È via di trasporto per le barche e fornitore di ottimo pesce, le donne passano molti pomeriggi sulle sue rive a lavare i panni e la sera tutti vi si ritrovano per lavarsi. Non c’è altra acqua nel villaggio.

Abbiamo fatto amicizia con alcuni ragazzi, comunicando un po’ in spagnolo, un po’ in italiano e un po’ in dialetto (alcune parole sono molto simili!). Ci hanno raccontato che proprio in quei giorni era successa una cosa che li stava preoccupando molto. Nella regione di Esmeraldas ci sono alcune fabbriche di compagnie nordamericane che lavorano prodotti chimici. Qualche giorno prima del nostro arrivo, dei ladri (o dei disperati di quella zona) avevano rubato campioni di materiale tossico, probabilmente per rivenderlo ad altre compagnie. Pare che questi, braccati dalla polizia, avessero poi gettato i contenitori in un fiume che attraversava il villaggio vicino. Siamo rimasti troppo poco per capire cosa fosse successo veramente, ma sapere che a un centinaio di chilometri c’erano industrie chimiche nordamericane ci ha dato da pensare…

In questi posti dove esiste solo la raccolta di frutti o l’allevamento di maiali e vacche si sta soffrendo molto la conversione della moneta ecuadoriana (il sucre) al dollaro, avvenuta 2-3 anni fa. La crisi economica ha reso obbligatoria questa scelta, ma conseguenti problemi, come l’inflazione e l’innalzamento dei prezzi, hanno reso quasi impossibile la vita per questa gente.

Da qualche tempo poi i contadini sono costretti a buttare via o a dare ai maiali le piccole banane dolci dei tropici perché non riescono più a venderle ai mercati occidentali. Le loro infatti non sono tutte uguali e hanno dei puntini marroni sulla buccia (sono banane normali insomma), mentre le catene di supermercati preferiscono proporre banane perfette giallo vernice che all’occhio non destano perplessità (ma che però al gusto sono imparagonabili a quelle meno belle e figlie di queste terre povere).

A questo si aggiunge il calo dei prezzi dei bovini fino al punto che costa di più il mangime rispetto a quello che si guadagna a vendere il bestiame una volta allevato. Il tempo a nostra disposizione alla missione e in Ecuador è volato. A Quinindé abbiamo passato l’ultima sera in compagnia i ragazzi del villaggio. Il giorno dopo, prima di ripartire da Quito per l’Italia, abbiamo saputo che, mentre eravamo nella missione, in città c’era stata una sommossa degli indios contro l’attuale governo. Il presidente, eletto anche con l’appoggio degli indios stessi grazie alle sue promesse, stava perdendo potere dopo alcuni provvedimenti “infelici”.

Viaggiare è un lusso che solo una piccola percentuale di persone al mondo può permettersi, ma crediamo abbia un senso se aiuta a percepire almeno un pochino le diversità e le contraddizioni di questo pianeta. Auguriamo a tutti coloro che vorranno conoscere l’Ecuador un buon viaggio, vale veramente la pena di lasciarsi coinvolgere da questa terra.

 
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14/08/2003 Ecuador - Atacames

Post n°10 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
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Al rientro in Ecuador, abbiamo trascorso l’ultima settimana a nord di Quito tra la costa e una missione a Quinindé. Sulla costa siamo stati un giorno ad Atacames, che è un po’ la Rimini della gente del posto.

La storia di quella zona è stata segnata dal naufragio di una nave di schiavi nel 1700 I suoi abitanti hanno infatti una fisionomia molto diversa da quella tipica del resto del paese, sono più alti e praticamente neri. C’è sempre musica per le strade e le persone sono cordiali e sorridenti. Sulla spiaggia l’atmosfera è caraibica, ci sono un sacco di chioschi lungo la strada dove la sera ci si può fermare per bere qualche cocktail con del succo di ananas, o cocco, o altri frutti strani ma succosissimi.

Nonostante questo però ci sono alcuni “eccessi” che rendono Atacames anche un po’ pesante. Ad esempio i giovani vedono nei turisti una fonte di guadagno, in ogni cosa, soprattutto attraverso i rapporti umani. Abbiamo visto molti ragazzi flirtare con turiste nord europee. La cosa in sé è molto carina, se non fosse che parlando con la gente del posto abbiamo saputo che spesso l’obiettivo è quello di sedurle (l’uomo “caliente” ha molti punti in più rispetto ai freddi maschi svedesi!) per poi farsi prestare soldi che non torneranno, o addirittura sposarle per avere soldi, documenti e un passaggio per l’Europa, vista come paradiso economico e regno del lusso. Ovviamente l’amore e soprattutto la fedeltà in questi “affari’ c’entrano poco…

È una pratica abbastanza comune in quei posti e fa capire che se la voglia di andarsene è così tanta non bastano dei chioschi, la salsa e il merengue a rendere vivibili quelle zone.

 
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10/08/2003 Ecuador - Galapagos

Post n°9 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
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Questo arcipelago di isole vulcaniche è relativamente giovane (“solo” 12 milioni di anni), solo una di queste è abitata (Isla Isabela), sulle altre, a parte i coloni già esistenti prima che fossero dichiarate parco naturale, è proibito costruire. Per questo chi vuole visitarle deve prenotare un viaggio su una delle poche imbarcazioni autorizzate a navigare in quelle acque a scopo turistico.

Il nostro tour “last minute” è stato estremamente conveniente, ma anche molto spartano, cosa che non ci ha disturbato, dato che togliendoci molte comodità ha tolto anche i filtri alle sensazioni che queste impongono. Abbiamo viaggiato dormito e mangiato per una settimana su una barchetta minuscola, il Cormoran, con altri 10 passeggeri più una guida e 5 persone dell’equipaggio. Esistono comunque anche barche un po’ più grandi e attrezzate…e più costose.

Abbiamo navigato di notte, rannicchiati in cuccette minuscole, sopra il mare grosso e sotto un cielo enorme, ci siamo lavati con l’acqua ghiacciata sulla nave che dondolava, abbiamo aiutato l’equipaggio a raccogliere i pezzi della barchetta che usavamo per andare sulle spiagge e che stava per affondare… Insomma, abbiamo fatto vita di mare pura e ci siamo divertiti un sacco! E tutto questo nell’ultimo paradiso dove l’uomo non ha ancora lasciato la sua impronta indelebile.

Alle Galapagos dovrebbe andarci solo chi è veramente convinto ed è pronto a sentire questo luogo come qualcosa di sacro ed unico al mondo. Ci si trova infatti in una situazione dove l’essere umano non è considerato un pericolo o minaccia da nessuna specie vivente. Gli animali non considerando l’uomo come pericolo o come cibo lo ignorano. Da quando le Galapagos esistono, nel loro codice genetico non è scritta la parola uomo. Questo fa riflettere su come invece ci considerano tutti gli altri animali del mondo e che cosa noi rappresentiamo per loro.

Le Galapagos ci hanno meravigliato per come sono gestite. Accessibili solo con guida, si può camminare solo su sentieri definiti, non si può fumare ne mangiare sulle isole. Divieto assoluto di toccare piante o animali e di avvicinarsi a meno di un metro. Questo per preservare il “distacco” fra i cicli naturali e l’uomo che di naturale oramai ha ben poco. Alcune guide sono un po’ permissive e la coscienza di ognuno a volte deve compensare questo. Se per esempio si toccasse un piccolo di leone marino questo prenderebbe il nostro odore e la madre lo lascerebbe morire di fame. Sulle Galapagos l’uomo è solo spettatore non deve intervenire nella selezione naturale degli animali. Abbiamo assistito alla morte per fame di un cucciolo che non riusciva a raggiungere la madre a pochi metri, alla battaglia fra due fratelli di sula per il poco cibo nel nido. Il più debole deve soccombere come vuole la natura.

Appena scesi sulla prima isola ci ha accolto il volo radente dei pellicani che cercavano le uova di tartaruga. Durante le escursioni sulle isole abbiamo camminato tra albatros, iguane, sule dai piedi azzurri, tartarughe giganti e tanti altri animali per i quali la nostra presenza non rappresentava nessun pericolo. Mentre noi eravamo a un metro di distanza, loro continuavano tranquilli a dormire, mangiare, corteggiarsi oppure lottare, senza darci il minimo peso. Forse ci consideravano alla stregua delle piante, o trasparenti. E quando ci incontravano in acqua forse ci vedevano come altri pesci.

Abbiamo fatto il bagno con i leoni marini che ci nuotavano intorno, giocando con i colori buffi delle nostre maschere. Prima di partire dall’Italia, le Galapagos erano talmente lontane nella nostra immaginazione (e costose prenotando un viaggio da qui) che non avevamo nessuna speranza di riuscire ad andarci. Invece tutto si è realizzato e, anche adesso che siamo tornati, ogni volta che ci ripensiamo ci sembra di aver vissuto un sogno.

 
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07/08/2003 Ecuador - Riobamba

Post n°8 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
Tag: Ecuador
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Il percorso lungo la strada Panamericana offre la vista del vulcano Chimborazo di oltre 6.300 metri. Dalla stazione di Riobamba (paese da visitare giusto un giorno), il mercoledì, venerdì e domenica parte un treno speciale.

E’ un convoglio merci dove si viaggia seduti sul tetto (ci sono anche due carrozze per i meno avventurieri). Il treno precorre la linea a sud verso Cuenca mai completata e porta ad una località chiamata Nariz del Diablo. Ci si trova la mattina presto in stazione (avendo fatto il biglietto la sera prima) per prendere posto sopra uno dei vagoni (ricordarsi maglione!). Non ci sono balaustre o ringhiere, si sta seduti con i piedi puntellati sul ciglio del tetto (per fortuna non si va troppo veloci). Il treno viaggia per 4-5 ore tra gli altipiani del centro sud, il panorama cambia spessissimo.

Alla partenza si attraversano villaggi piccoli e molto poveri, dove gli abitanti (soprattutto i bambini) escono di casa per salutare, sperando in qualche offerta o caramella, e ogni tanto si vedono recinti di caprette o addirittura scimmie legate a una catena lunga. Noi guardiamo e salutiamo tutti con un sorriso un po’ ebete. Poi il treno comincia a salire e dalle colline verdissime ricche di fiumi e laghi si arriva alle montagne, attraverso gole e strapiombi mozzafiato. In certi tratti non si capisce nemmeno se c’è lo spazio per i binari sotto il treno.

Tra le montagne spiccano di tanto in tanto i mantelli delle donne che portano i greggi al pascolo, i colori dei tessuti sono talmente intensi, forti e brillanti che sembrano quasi incompatibili con le tonalità dolci della natura. Arrivati alla Nariz del Diablo, dopo manovre impossibili della locomotiva per invertire il senso di marcia (c’è un binario solo con pochi scambi), la ferrovia termina e si torna indietro, non a Riobamba ma più vicino, ad Alusì, da cui si può proseguire per il sud o tornare a nord. Noi siamo tornati a Quito, per prendere da lì il nostro aereo per le Galapagos.

 
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06/08/2003 Ecuador - Banos

Post n°7 pubblicato il 12 Settembre 2006 da saralyce
 
Tag: Ecuador
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Il paesaggio cambia continuamente, l’Ecuador è il paese con più morfologie territoriali del sud America: le pianure verso il mare, la dorsale centrale delle montagne e dei vulcani, la parte a est con la foresta amazzonica.

Abbiamo fatto tappa a Banos in una delle numerose pensioni, questa è una zona termale di villeggiatura anche per i locali. Banos è sotto un vulcano attivo, il Tungurahua, che ogni tanto si risveglia e si mette a sbuffare cenere. Le strade di Banos hanno una striscia gialla che indica il percorso più veloce per l’evacuazione in caso di eruzione. In paese ci sono tanti uffici turistici che organizzano escursioni nella foresta.

Noi abbiamo scelto di passare un paio di giorni nella giungla a est, oltre la località di Puyo, con altri due ragazzi tedeschi conosciuti li, più una guida. Nella selva, a quell’altitudine (500-700 metri) non c’è il pericolo di febbre gialla. Se si decide invece di visitarla più a nord, verso le pianure, è meglio aver fatto la profilassi febbre gialla e antimalarica. Senza allarmismi però, informatevi se queste precauzioni sono consigliate per il periodo in cui vorrete andare in Ecuador. Abbiamo passato nella giungla due giorni, fra spostamenti a piedi e canoa.

La giungla è veramente impressionante, non c’è mai silenzio. La notte ci siamo fermati in uno dei tanti piccoli accampamenti che funzionano come base d’appoggio per le escursioni in canoa verso l’interno. Il nostro era formato da alcune palafitte con quattro letti ciascuna per dormire e una costruzione centrale vicino al fiume, dove ci siamo ritrovati per la cena. La nostra “sala da pranzo” era una specie di balcone sul fiume: coperta sopra, senza pareti e con una balaustra sull’acqua. Abbiamo aiutato la nostra guida a cucinare: patate cipolle e altre verdure per la zuppa e del pollo in padella. Non ci era mai capitato di tagliare delle cipolle con di fronte un tramonto sulla foresta amazzonica.

Pima di andare a dormire abbiamo camminato con delle torce fino a una laguna lì vicino, cercando di illuminare gli occhi rossi dei caimani ma senza fortuna: quella notte erano tutti sott’acqua. Sulle palafitte, dentro i nostri letti incartati da zanzariere, siamo stati avvolti dalla notte amazzonica fatta di buio denso e di rumori di sottofondo che lo riempivano.

Il giorno dopo, durante le camminate per sentieri avviluppati dalla densa foresta, la guida ci ha illustrato tantissime piante e le relative proprietà curative o eccitanti che usavano ed usano gli indios. Si intuisce quanto siano distanti le percezioni del loro mondo dalle nostre. La guida ci ha spiegato anche che molte piante di quella zona sono alla base di importanti scoperte scientifiche per la cura di diverse malattie dell’occidente, dal raffreddore al cancro. Finché non la distruggeranno tutta, la foresta amazzonica continuerà generosa ad essere una fonte inesauribile di vita.

Sulla via del ritorno dalla camminata ci siamo fermati davanti a una cascata altissima dove l’acqua prima di tornare fiume tranquillo si fermava in un laghetto. Il panorama era troppo invitante, via le magliette sudate e i pantaloni infangati! Ci siamo buttati in canottiera e mutande dentro l’acqua gelata. Abbiamo fatto a gara per chi resisteva di più sotto la cascata (dove l’acqua che ti arriva sulle spalle picchia fortissimo) e poi ci siamo asciugati in tre minuti con l’aria calda che sembrava uscire da un phon. Al rientro a Banos abbiamo preso l’autobus per spostarci ancora più a sud, verso Riobamba.

 
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1 agosto 2003 Ecuador - Quito

Post n°3 pubblicato il 11 Settembre 2006 da saralyce
 
Tag: Ecuador
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Come tutti i viaggi lontani da casa, anche per questo in Ecuador è stato doveroso aprirsi a una cultura diversa dalla nostra ed accettarne usi e abitudini che sono molto lontani da quelli a cui siamo abituati. Ecco perché questo diario non si soffermerà sulla comodità o meno di certi luoghi o situazioni, ma si concentrerà invece su quello che hanno trasmesso a me e a Fabio. Abbiamo trascorso in Ecuador circa un mese. Siamo partiti in due, senza prenotare nessun albergo o escursione ci siamo mossi sempre in autobus.
L’Ecuador è uno dei paesi dell’America Latina meglio organizzati per i bus, che collegano tutte le località a prezzi convenienti e con buona frequenza. I tempi di percorrenza sono abbastanza lunghi per i nostri canoni (circa due ore per meno di cento chilometri), ma il panorama è sempre splendido. Nel giro di un’ora puoi passare dalle pianure, alla jungla, fino alle montagne e ai vulcani e se hai un po’ di pazienza e buona volontà riesci anche a fare qualche chiacchierata con le persone che viaggiano con te (lo spagnolo parlato da quelle parti è ben scandito e comprensibile anche da noi italiani).

Quito
Il nostro viaggio è iniziato a Quito, la capitale più alta del mondo. I suoi 2.850 metri di altitudine fanno si che l’aria sia talmente rarefatta che, per i primi 2-3 giorni, si fatica nel compiere i più semplici movimenti. Ti rendi conto che sei quasi a 3.000 metri in un clima primaverile. Quito si sviluppa in lunghezza, è su una valle in mezzo a montagne e soprattutto sull’equatore. A girare a piedi colpisce l’intenso odore di smog dei mezzi vecchi che circolano da quelle parti, per cui, per spostarsi nelle città del paese una volta arrivati, è molto comodo e più salutare il taxi (tariffe da 1 a 4 dollari non fatevi fregare, chiedete taxi con tassametro prima di salire!).

Gli autobus di Quito sono frequentati da abilissimi tagliatori di tasche. Basta stare un po’ attenti. A Quito ci sono diverse cose da vedere (soprattutto delle chiese con dentro delle decorazioni spettacolari), una guida vi dirà che cosa visitare. (ottima la Lonley Planet). La parte della città chiamata “gringolandia” è quella dedicata ai turisti. È piena di locali un po’ finti, arredati in base agli stereotipi dei film ambientati in sud america e con il popcorn nel menu. Però può essere utile perderci un paio d’ore, ci sono un sacco di internet café ed è lì che si possono trovare le agenzie con i last minute più convenienti per le Galapagos. Non sappiamo se si è trattato solo di fortuna o è sempre così, ma a noi è andata di lusso, con gli ultimi due posti su di una barchetta in partenza dopo qualche giorno, senza tanti comfort ma a un prezzo superottimo e con un equipaggio in gamba. A Quito si va con un taxi al Terminal Terrestre da dove partono tutti i pullman per il paese.

 
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Il tempo in fondo è fluido

Post n°2 pubblicato il 11 Settembre 2006 da saralyce

Ho scoperto che per trasportare i miei vecchi post dovrò perdere le vecchie date di inserimento... Questo significa che i post che ho scritto nei viaggi che ho fatto negli ultimi cinque anni staranno tutti insieme in un solo mese, come se li avessi fatti tutti in una volta.
Il tempo in fondo è fluido... e io mi preparo per il travaso!

 
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Dato che in Myanmar l'accesso a internet è regolato da censura, la data di inserimento del post non corrisponde a quella del viaggio, perchè ho caricato i testi dopo il rientro in italia.
A parte i post che rimandano ad un articolo di giornale, tutte le foto sono state scattate durante il viaggio.
 

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