scardanelli

diario di poesia dalla città dove si applaude ai tramonti

 

AREA PERSONALE

 

FACEBOOK

 
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

I MIEI BLOG AMICI

Citazioni nei Blog Amici: 4
 

ULTIME VISITE AL BLOG

monica.tfilippo.ortenzisebagustavodagowoodstefaniaviolinistefania.rusticipoliacea1n2t3o40brianglyciaaguidot53pino.doubledisfrancodis2411piterpannfioremariano
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« PRINCIPESSAProposito per l'anno che verrà »

L'ARTE: DIO E' BRUTTO O BELLO?

Post n°69 pubblicato il 15 Dicembre 2009 da scardanelli
 

L’ARTE: DIO E’ BRUTTO O BELLO?

        Una riflessione sulla precedente poesia “Principessa” che tratta della bellezza e prende le mosse da quella meravigliosa frase di Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo” che è sviluppata nel romanzo “L’Idiota”. Mi avvalgo liberamente per queste riflessioni dell’intervento di Mons. Gianfranco Ravasi tenuto durante la conferenza “Dio oggi, con Lui o senza di Lui cambia tutto”, svoltosi a Roma il 10 – 12 dicembre.

          L’arte – tutte le forme di arte, dalla poesia alla pittura alla scultura – è la narrazione visiva dell’esperienza dell’incontro con un volto, una parola, un’immagine veramente visibile perché incarnata. San Paolo andrà anche oltre, completando cristologicamente e cristianamente la dottrina dell’“immagine-icona” di Dio sviluppata dal passo di Genesi 1,27. Infatti, egli afferma che i cristiani, come figli adottivi di Dio, sono «predestinati ad essere conformi all’immagine (eikôn) del Figlio suo, primogenito tra molti fratelli» (Romani 8,29). Il cristiano è, di conseguenza, immagine dell’immagine di Dio e l’arte è l’icona dell’immagine, perché attraverso i vari volti umani essa ricompone il volto di Cristo che è impronta del volto divino.

            In conclusione si potrebbe accennare ad una domanda forse ingenua ma affascinante: è possibile dire qualcosa di più sul volto di Dio, attraverso l’Incarnazione, così che l’arte abbia qualche canone figurativo? Il paradosso è nel fatto che i Vangeli non ci hanno lasciato neppure un rigo sul profilo fisico di Gesù di Nazaret, neppure il “pittore” (stando alla tradizione) Luca. Le principali strade imboccate dalla cultura cristiana sono state due e antitetiche. Eppure entrambe hanno una loro verità.

Da un lato, a partire dal III secolo i Padri della Chiesa hanno infranto quel silenzio visivo e hanno immaginato un viso sgraziato di Cristo fondandosi sulla sua sofferenza redentrice, sulla sua passione e morte e sulla rilettura cristologica del celebre passo isaiano del quarto canto del Servo del Signore: «Non ha apparenza né bellezza per attrarre il nostro sguardo, non splendore per poterne godere» (53,1). Lapidario era stato Origene: Gesù era piccolo, sgraziato, simile a un uomo da nulla». Al riguardo il grande romanziere argentino J.L. Borges nel suo racconto “Tre versioni di Giuda” andava ben oltre, portando al paradosso la tesi della bruttezza non solo fisica, ma pure morale di Gesù, il quale secondo Borges, per poter condividere appieno il destino abietto degli uomini, avrebbe dovuto rivestire oltre ad un’apparenza insignificante, anche un animo molralmente meschino e quindi macchiarsi dei più bassi peccati. Tanto poi da  giungere in un eccesso di virtusiosismo a riconoscere il Messia non in Gesù di Nazareth, quanto piuttosto nel vile traditore Giuda Iscariota.

            Lasciando stare le elucubrazioni di Borges, sicuramente affascinanti e meritevoli di citazione quanto alla coerenza interna, ma molto fuori bersaglio per quanto concerne il ruolo mediatore e salvatore del Messia, va comunque realisticamente detto che anche la bruttezza (non la bruttura) può salvare il mondo, capovolgendo il celebre e citatissimo asserto di Dostoevskij. La logica dell’Incarnazione comprende anche la sofferenza di Dio, il corpo martoriato, i posteriora Dei, come Lutero osava definire il profilo del Cristo crocifisso. Un volto, quindi, che riflette i visi rigati di lacrime dei fratelli e delle sorelle del «primogenito tra molti fratelli».

In questo senso c’è un “brutto” nobile che parla di Dio e che impedisce ogni kitsch devozionale, ogni estetismo trionfalistico, ogni ottimismo di maniera.

Tuttavia, bisogna riconoscere che l’approdo ultimo della vita di Cristo non ha come data il Venerdì Santo, bensì «la domenica della vita», ossia l’alba di Pasqua che è per eccellenza il definitivo «giorno del Signore» (Apocalisse 1,10). Non per nulla la Prima Lettera di Giovanni definisce Dio come Luce (1,5).

            Si è, così, aperta un’altra strada figurativa che i Padri della Chiesa, a partire dal IV secolo, hanno esaltato fino a farla prevalere nella tradizione artistica successiva. Sulla base dell’estetismo greco-romano classico, attingendo spesso alla stessa tipologia figurativa delle divinità pagane o dei filosofi dell’antichità, si è proposto un Dio bello e radioso, un Cristo apollineo, irraggiante luce come il sole, incarnazione di un altro passo sottoposto a rilettura allegorico-messianica, il Salmo 45,3: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo». E nonostante sant’Agostino ripetesse che «noi ignoriamo totalmente quale fosse il volto» reale di Cristo, fu questa l’immagine divina vincente, ribadita in mille e mille ritratti stupendi dei tanti secoli dell’arte cristiana, ma anche nella pletora delle stucchevoli oleografie.

         In realtà, entrambi questi itinerari iconografici hanno un loro valore per raffigurare il Dio biblico che è, sì, trascendente e luce, ma è anche Emmanuele, pronto a incamminarsi sui percorsi della storia e a giungere nel cuore dell’umanità col Figlio suo fatto uomo. In questa prospettiva diventa emblematica la sintesi operata dai vari Pantokrator posti nelle absidi delle grandi basiliche antiche: il Cristo trionfante e glorioso appare in tutto lo splendore della sua bellezza, ma reca ben visibili in sé ancora tutte le stimmate sanguinanti della sua passione. Dio invisibile e visibile, trascendente e vicino, glorioso e sofferente. Ecco, l’arte, che non ha come compito solo di presentare il fenomenico ma il mistero sotteso (l’Inconnu, come diceva il poeta francese Laforgue), quando si fa religiosa, deve sempre cercare di unire in un modo armonico l’Infinito e la carne, l’Eterno e la storia, il Figlio di Dio che è Gesù di Nazaret.                                                                

 

La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/scardanelli/trackback.php?msg=8140181

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
Nessun trackback

 
Commenti al Post:
Nessun commento
 
 
 

INFO


Un blog di: scardanelli
Data di creazione: 26/05/2006
 

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: scardanelli
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 50
Prov: PS
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963