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Messaggi del 23/02/2017

 

La stazione

Post n°2200 pubblicato il 23 Febbraio 2017 da paperino61to

L’uomo pagò il tassista e scese dalla macchina. Era in anticipo rispetto all’arrivo del treno ma detestava fare le cose di fretta. Lentamente si avviò verso la piccola stazione: una fioca luce illuminava l’entrata. Alzò il bavero del cappotto poiché la temperatura stava scendendo,  accese una sigaretta mentre si guardava intorno.  Non vi era anima viva, solo tanta nebbia che la faceva da padrona.

Entrò nella stazione ma la biglietteria era chiusa.

“ Meno male che sono previdente e che il biglietto l’ho fatto in agenzia!”.

Guardò il cartellone degli arrivi: “ Perfetto, tra neanche  un’ora sarò su quel treno, non vedo l’ora di tornare a casa”.

La porta dell’atrio era aperta e al suo interno non vi era nessuno. L’uomo si sedette, c’era qualcosa che lo metteva a disagio in quella stanza, ma non sapeva cosa fosse.

Le panchine erano polverose, sembrava che nessuno si fosse seduto da settimane se non da mesi. Prese il giornale dalla tasca del cappotto ed iniziò a leggerlo, ma dopo pochi minuti si alzò e andò verso l’uscita.

Vide che la fitta nebbia si era portata via anche la poca visibilità della luce esterna del lampione.

“ Ci mancava ancora questa”  ed imprecando rientrò nella sala d’aspetto.

Chiuse la porta e si risedette sulla panchina. Guardò l’orologio appeso al muro, gli sembrò che le lancette si muovessero al contrario.

L’aria era gelida, toccò con la mano i termosifoni che erano bollenti.

“ Com’è possibile? Sono caldi eppure qui si gela!”.

Le mani cercarono un po’ di tepore nelle tasche del cappotto.

“ Almeno ci fosse un bar !”.

I minuti trascorsero lentamente, riguardò le lancette dell’orologio e la certezza lo fece esclamare: “ Non è possibile…le lancette… stanno andando all’incontrario”.

Uno stridore di freni lo destò da questo suo pensiero. Corse all’esterno ma non vi era nulla e nessuno.

“ Adesso sto sognando pure in piedi. Cristo che nebbia…”.

Si bloccò sull’uscio dell’atrio, e sentì un vociare elevarsi fino al soffitto.

“ Meno male che  qualcuno è arrivato” esclamò.

Guardò nel locale della stazione ma non vi era nessuno, solo il ticchettio delle lancette spezzava il silenzio.

“ Come….io ho sentito delle voci. Chi c’è? Non siete divertenti…uscite fuori”.

Un fischio lo fece sobbalzare.  Sentiva pianti di bambini  e urla di donne e uomini.

Qualcuno lo spinse contro la parete.

“ Ma chi c…”. Non c’era nessuno. Sorrise : “ Sto diventando pazzo…non c’è altra spiegazione”.

Fece un passo verso la panchina ma cadde a terra urlando di dolore.

Alzò lo sguardo, un paio di stivali neri erano innanzi a lui. Alzò ancora di più lo sguardo e vide una divisa…di colore nera…da nazista.

“ Non è possibile…sto sognando”.

“ In piedi giudeo” era  un’inconfondibile accento tedesco a urlare questa frase. Un altro calcio lo percosse facendolo gridare di nuovo di dolore.

“ Basta…ti prego. Io non sono ebreo…guarda i miei documenti…ecco tieni”.

Il tedesco sorrise beffardamente:  Ja, dite tutti così voi giudei! Alzati in piedi o vuoi crepare qui?”.

L’uomo a fatica si alzò e lentamente si mise in piedi.  Innanzi a lui non c’era nessuno, si guardò intorno, era solo. Rise: “ Sono inciampato, che idiota sono, altro che nazi…”

Non finì la frase che un colpo nella schiena lo fece piegare in due dal dolore.

“ Il giudeo è deboluccio… mi sa che questo non arriva a destinazione”. Una risata echeggiò nella piccola stazione.

“ Io non….non ….giudeo…ti prego, devi credermi”.

Ora stava rannicchiato, come un feto nella pancia della mamma; si accorse che stava piangendo. Il muro innanzi a lui era sparito, vedeva un treno carico di persone che stavano salendo, e sul loro petto c’era la stella ebraica.

“ Non è possibile…cosa sta succedendo?”.

Un paio di braccia lo sollevarono di peso. Ritto in piedi osservava quello che doveva essere il comandante di questo nazisti, indossava la divisa delle SS.

“ Non sei reale…sei un parto della fantasia…della mia fantasia!”.

Il nazista sorrise, poi lentamente prese la pistola. Un colpo echeggiò nella stazione.

L’uomo urlò di dolore, era stato colpito al ginocchio. La prima cosa che pensò fu che non era colpa sua se il sangue aveva sporcato il pavimento, l’inserviente della pulizia lo doveva sapere.

“ Allora giudeo, sono ancora parte della tua…come hai detto…fantasia?”.

“ Chi…sei…io sono italiano…non giudeo…maledetto bastar…”.

Un altro proiettile colpì la sua spalla, il cappotto si intrise di sangue che sgorgava a fiotti. Osservò il treno, era sparito, vedeva solo un muro sporco di sangue.

Si alzò a fatica madido di sudore con  il cuore che  batteva all’impazzata. Sul suo cappotto non vi era traccia di sangue e anche il ginocchio era integro. Corse verso l’uscita della stazione, non sarebbe stato un minuto di più in quel dannato posto.

La nebbia lo avvolse mentre alle sue spalle delle grida echeggiarono accompagnate da raffiche di mitra. L’uomo cadde al suolo a faccia in giù, le sue ultime parole furono: “ Non è reale…è parto della mia fantasia…”.

“ Morto per infarto maresciallo…poveretto, se fosse accaduto qualche centinaio di metri più avanti si sarebbe potuto salvare, alla stazione c’è sempre qualcuno” , era il medico del paese a parlare.

Il maresciallo domandò al tassista che aveva accompagnato l’uomo come potesse aver sbagliato a farlo scendere.

Il tassista rispose che non si vedeva nulla per la fitta nebbia: “ Credevo fossimo arrivati a destinazione…sia io che lui  ( indicò il morto) abbiamo visto a malapena l’insegna con la scritta stazione”.

“ Caricate pure il corpo…povero diavolo, se non avesse sbagliato a scendere si sarebbe potuto salvare…”.

“Maresciallo…guardi qui…il cappotto è bucato all’altezza della spalla …come se gli avessero sparato e anche i pantaloni… appena sopra il ginocchio…ma non c’è sangue …da nessuna parte”.

Il maresciallo osservò in silenzio, mentre il medico esclamava: “ E’ morto per infarto…saprò ben fare il mio mestiere”.

“ Anche nella schiena ha dei fori …guardate!” notò uno degli infermieri mentre il corpo veniva caricato sull’ambulanza.

La nebbia stava calando di nuovo mentre le auto si allontanavamo e in lontananza, in mezzo ai campi di granoturco, si sentiva il fischio di un treno con i pianti di donne e bambini.

 

Un grazie alla nostra amica Sonia, che parlando di un fatto a lei accaduto  mi ha ispirato questo racconto.

 
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