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Messaggi del 11/04/2018

 

L'intuizione di Maria ( quarto capitolo)

Post n°2342 pubblicato il 11 Aprile 2018 da paperino61to

 

Riassunto: Una donna viene uccisa e rinvenuta sulle rive di un fiume, non ha documenti e il volto è sfigurato da una fucilata. Il commissario Berardi ha come unico indizio un vestito, che è stato venduto alla signora Trevisani. La donna è reticente ha rispondere a banali domande, e ovviamente finisce assieme al marito negli indiziati. Un losco malfattore viene ucciso e il suo compagno sparisce per paura, entrambi avevano minacciato la proprietaria del negozio di abbigliamento, la quale aveva riconosciuto il vestito venduto alla Trevisani.

 

A fine giornata vedo Maria, è sorridente. Le domando il perché, e mi dice che la signora Trevisani si è scusata con la Orsini.

“ Pensa Marco, ci ha pure pagato la colazione. Quella donna non la capisco”.

“ Se è per quello manco io, ma per la verità non capisco neanche le altre donne”.

Mi lancia un’occhiataccia e le domando scusa.

“ Bene commissario, ora che si è scusato andiamo da Mamma Gina?”.

La passeggiata dal posto di lavoro a Piazza Vittorio è sempre piacevole; discorriamo del più e del meno.

Dopo cena mi domanda come sta andando l’inchiesta, rispondo che sicuramente il marito della Trevisani è implicato nei due delitti.

“ Il fucile da caccia che detiene è sparito; il custode della villetta nega il furto, quindi rimane l’ipotesi che il medico lo abbia portato con sé a Torino”.

“ Per farne che?”.

“ Sapessi la risposta…posso solo ipotizzare. Prove certe non ne ho, per ora solo indizi”.

“ Credi che la Trevisani faccia pressione perché tu smetta l’indagine? Ho paura che ti succeda qualcosa…”.

“ Sicuramente lo farà, ma stai tranquilla Maria, non mi succederà nulla. D’altronde non è la prima volta che tentano di ostacolarmi senza mai esserci riusciti”.

Nei giorni seguenti non accade nulla, è solo verso il fine settimana che vengo convocato dal questore. Prima di entrare nel suo ufficio, sento un concitare di voci provenire da esso.

Entro e trovo che il questore ha un ospite, è Alibrandi.

“ Buongiorno commissario…” il questore non finisce la frase che il gerarca fascista prende la parola.

“ Berardi, ho detto chiaramente l’altra volta di lasciar perdere l’indagine sui coniugi D’Ambrosi…non mi ha dato retta vero? Bene, ho fatto richiesta a Roma perché lei venga trasferito da Torino! Ho fatto il nome di un paesino vicino a Cuneo!”.

Rimango stupito da queste parole ma non lo faccio notare.

“ Quindi se capisco bene, fino a quando non arriva la richiesta da Roma io sono ancora in servizio qui, giusto signor questore?”.

Alibrandi  sbotta che mi devo rivolgere a lui e non al mio superiore.

Continuo ( guardando sempre il questore) che la mia indagine avrà fine entro un paio di giorni, dopo di che, se come credo i coniugi sono implicati nel doppio omicidio, sarò io stesso a chiedere al ministro della Giustizia Farinacci la complicità del qui presente Alibrandi.

“ Credimi, che per quanto Farinacci sia un fascista come te, ha una cosa che tu non hai caro Alibrandi, ovvero il senso della giustizia!”.

Esco dall’ufficio sentendo il caro gerarca imprecare contro di me.

Chiamo Tirdi e Perino  e spiego loro la situazione. Non abbiamo tempo da perdere, il tempo rema contro di noi. Un filo lega i due omicidi, ma quale, visto che della prima vittima non sappiamo nulla tranne il vestito identico a quella della Trevisani e una voglia sulla mano.

Il telefono squilla prima che esca dall’ufficio. E’ la sorella di Aresi, mi chiede se posso passare a prenderla perchè mi deve parlare urgentemente. Prendo nota di dove si trova, poi chiamo un agente che mi accompagni all’indirizzo datomi.

“ Voi due andate a cercare Giuspin… esatto, quello che è chiamato il topo di appartamenti. Se non è alla solita piola di Borgo Aurora, provate alle Nuove. Vi faccio firmare un ordine del questore caso mai ne aveste bisogno, quando lo trovate lo portate qui da me”.

La sorella di Aresi mi aspetta nelle vicinanze di Piazza Bengasi.

“ Commissario, si è fatto vivo Paolo, è vicino alla stazione Dora. Ho preferito dirglielo a voce”.

“ Ha fatto bene, dove esattamente?”.

“ Mi ha detto che quando arriviamo si farà vivo lui, dobbiamo entrare nell’atrio della stazione ed aspettare”.

La guardo e capisco che è inutile domandarle di tornare a casa. Entriamo nell’atrio, un paio di persone sono in attesa del treno per Ciriè, un uomo poco distante dorme sotto le coperte, è un barbone.

Siamo li da mezz’ora e Aresi non si è fatto ancora vivo, la sorella da segni di impazienza, mi domanda cosa possa essere successo. Un ragazzino viene verso di noi, ci consegna un biglietto: “ Attraversate i binari,  c’è un cespuglio a destra, dopo un paio di metri dopo troverete un passaggio, attraversatelo”.

Dico alla sorella di seguirmi, sentiamo il capo stazione urlare di non attraversare i binari poiché sta arrivando il treno.

Meglio ancora, siamo nascosti da eventuali occhi indiscreti.

Passiamo il cespuglio e percorriamoil passaggio indicatoci: Aresi è nascosto dietro a un muretto. Appena ci vede corre incontro alla sorella e la stringe forte a se.

“ Venga commissario, meglio entrare in quell’edificio…non abbia paura non è una trappola!”.

Entriamo, è un edificio abbandonato da tempo, c’è solo polvere e sporcizia, i barboni vengono qui a dormire. Una vetrata da sulla strada, in modo così ci permette di vedere se arriva gente.

“ Allora Aresi in che guaio ti sei cacciato? Forza parla!”.

“ Commissario, giuro che non sapevo che quello era un assassino. Io e il mio amico dovevamo solo spaventare le due donne, mi creda non avremmo mai fatto del male a loro”.

“ Su questo ho qualche dubbio, ma voglio crederti… vai avanti”.

“ Ho accompagnato Miccichè all’appuntamento in via Saluzzo. Il tizio era nascosto dietro a un angolo, non l’abbiamo visto in volto. Ha chiesto se volevamo guadagnare dei soldi, abbiamo risposto di si e ci ha detto cosa dovevamo fare. Il compenso è in due rate : mille  lire. Cinquecento subito, il resto dopo”.

“Poi che è successo?”.

“ Dopo aver spaventano le donne, ci ha ricontattati  per sapere come era andata,gli abbiamo detto che lei era venuto a parlarci. Non ha detto nulla in merito, ha solo chiesto di recarci in Borgata Leuman per prendere il resto del compenso pattuito… dovevo andarci anche io, ma quella sera avevo un impegno”.

“ Ti ha salvato la vita, e quando hai saputo della morte sei scappato da casa”.

“ Si!”.

“ Riconosceresti la voce di quella persona?”.

“Si!”.

Porto Aresi in questura, e domando al questore di poterlo mettere sotto protezione come testimone: “Agisca come meglio creda Berardi, ma mi raccomando agisca velocemente, Alibrandi non è uno che scherza facilmente”.

Intanto gli agenti avevano trovato Giuspin, era alla piola a ubriacarsi ed a ricordare ai clienti che lui era il miglior topo di appartamento.

“ Senti Giuspin, ti ricordi che mi devi un favore?”.

L’uomo mi guarda e cercando di smaltire gli effetti del vino con un paio di tazzine di caffè, risponde di si: “Se sono ancora vivo lo devo a lei commissario, se mi catturava la milizia mi fucilava al’istante”.

“ Ci credo, vai a rubare a casa di uno dei loro capi…”.

“ Allora, la situazione è questa: ho bisogno che tu venga con noi in una villa, devi solo aprire le porte per permetterci di entrare. Poi ci penso io con i miei uomini, non hai da preoccuparti”.

“ Devo un favore a lei, può chiedermi qualsiasi cosa”.

“ Tirdi, manda uno dei nostri a controllare se la villa è vuota, se non lo è, lo comunichino ai presenti che sono attesi urgentemente in questura”.

La fortuna questa volta è dalla nostra parte, l’agente che è di guardia all’abitazione ci avvisa che la cameriera è appena uscita e la Trevisani  sarebbe tornata che a sera tardi, è andata fuori città con il marito :” Gli ho visti andare via in macchina e dire alla cameriera che sarebbero arrivati per l’ora di cena” riferisce il collega.

“ Bene, commissario la villa è vuota, ora potete entrare…tocca a voi. Io rimango a disposizione”.

“ Ragazzi, cerchiamo questo benedetto fucile…forza”.

Solo dopo circa un’ora, Perino mi chiama: “ Commissario venga…presto!”.

Con il dito mi indica una rientranza nel muro nascosta da un pendolo con una porticina stretta con tanto di lucchetto. “ Giuspin, vieni qui, ho un lavoro per te”.

Il soprannome di topo d’appartamento se lo merita tutto, in pochi minuti apre la porticina.

“ Eccolo… commissario, lo portiamo con noi?”.

“ No, Perino, lasciamolo qui…Giuspin fai in modo che il lucchetto sia chiuso ma in realtà deve essere aperto”.

Lasciamo la villa appena in tempo, la cameriera stava arrivando. Torniamo in ufficio, oltre agli indizi e la prova del fucile ora manca solo il movente della donna uccisa, mentre  dell’assassinio del Miccichè è la paura che il committente delle minacce fatte a Maria e alla sua datrice di lavoro sia stato riconosciuto, per la prima vittima invece ero ancora avvolto dalla nebbia.

“ Si sforzi di mangiare commissario, vedrà che risolverà il caso… sa che la ritengo come un figlio per me!!”.

Povera Mamma Gina, come posso dirle che se fallisco vengo trasferito dalle parti di Cuneo come punizione?.

“ Ciao Marco, allora ci sono novità?”.

Racconto tutto a Maria, un sorriso spunta sul suo viso, affermando secondo lei  che sono a buon punto dell’indagine.

“ Manca il movente, senza quello sono solo indizi ma prove concrete non c’è ne sono. Certo è stato trovato il fucile, ma un buon avvocato troverebbe immediatamente una scusa perché lo tenessero in casa, e anche perché Aresi verrebbe sconfessato immediatamente, non avendo visto in faccia il mandante delle vostre minacce”.

Poi domando a lei come è andata la giornata, risponde bene e tra una parola e l’altra mi dice: “ L’altro ieri è venuta la signora Trevisani…sai che te lo avevo detto? Bene, non avevo mai notato, forse perché porta sempre i guanti, ma ha una macchia, come  una voglia sulla mano destra”.

La guardo ed è come se all’improvviso la nebbia si diradasse, rispondo che anche la vittima aveva  un’identica macchia nella stessa mando destra.  Maria continua dicendo che è strano, perché solo i “ gemelli “ possono portare lo stesso marchio fin dalla nascita.

Macchia e il vestito sono identici…: “ Che cretino che sono stato, grazie Maria…ti amo…ora corro in questura”.

Esco di corsa e prendo il tram che mi porta verso l’ufficio, entro trafelato e chiamo l’avvocato Grandi ( amico dei coniugi, in particolare della signora Trevisani) e domando se conosce il posto dove è nata la Trevisani, mi risponde che dovrebbe essere nata a Balangero da quello che ricorda, mi domanda il perché, ma non rispondo.

“ Tirdi, telefona al comune di Balangero e chiedi i dati di Clara Trevisani, immediatamente!”.

Dopo una decina di minuti che mi sembrano interminabili arriva la risposta. Il mio sorriso la dice lunga, abbiamo trovato il movente.

Nel primo pomeriggio una donna chiede di parlarmi, è la cameriera dei D’Ambrosi, la faccio accomodare.

Mi domanda se posso andare con lei nell’abitazione dei coniugi, ha trovato qualcosa che potrebbe interessarmi. Parla di un fucile nascosto nell’armadio del suo padrone, è piuttosto nervosa, si agita sulla sedia, gli occhi guardano sempre verso il basso.

“ D’accordo, chiamo i miei agenti…un attimo solo, mi aspetti qui!”.

Esco e vado dal questore riferendo le ultime novità, e chiedo che venga anche lui accompagnato dai  nostri agenti alla villa: “ Ovviamente, lei dovrà entrare solo dopo che la chiamerò!”.

“ Sospetta una trappola Berardi?”.

“ Diciamo che è meglio essere prudenti, come ho riferito il cerchio si è  chiuso, ho la prova, il testimone e il movente”. Quando esco impartisco un ordine a Perino.

Ritorniamo alla villetta. La cameriera è sempre più nervosa come avesse paura, entra per prima per poi avviarsi nel luogo dove ha trovato il fucile.

“ Ecco commissario, è nascosto lì dietro” e indica la libreria nella sala degli ospiti.

Ordino di guardare,  passano pochi minuti quando una voce ci ordina di fermarci.

Era il D’Ambrosi con la moglie, erano accompagnati anche da Alibrandi ed alcuni miliziani armati.

“ Bene Berardi, ora altro che a Cuneo la faccio mandare… stavolta l’aspetta una bella camera alle Nuove!”.

Era una trappola, direi ben congegnata.

“ Bene signori, spero non vogliate fare storie, e consegnatevi immediatamente ai miei uomini”, nel dire questa frase i miliziani puntano le loro armi contro di noi.

“ Stai sereno Alibrandi, almeno per qualche minuto ancora te lo puoi permettere. Tirdi, vai a chiamare il questore”.

Sia la coppia che il fascista rimangono stupiti davanti a questa frase e ancor più quando lo vedono comparire.

“ Cosa significa questa cosa? Anche lei è complice di questo buffone di commissario?” urla il medico.

“ Grazie per l’appellativo! D’Ambrosi, se permette suggerisco a lei e alla sua consorte di sedersi…siediti anche tu Alibrandi”.

“ Signor questore, ho voluto lei come testimone, perché l’indagine è giunta alla conclusione!”.

I coniugi mi guardano con astio e perplessità: “ Cosa sta dicendo? Che cosa c’entriamo con i delitti? Lei ci sta perseguitando”.

“ E’ vero signor questore, la prego arresti questo matto… mi perseguita solo perché… mio dio, mi vergogno a dirlo, risento ancora le sue parole!” esclama la Trevisani.

Devo darle atto che è una buona attrice:” Continui signora, la prego, siamo tutti curiosi di sentire cosa le avrei detto, o meglio proposto, credo che sia questo quello che vuol dire vero? Lei veniva a letto con me e io lasciavo perdere l’indagine o sbaglio?”.

“ Non si permetta di calunniare mia moglie!!”.

“ Stia zitto D’Ambrosi, è un consiglio, e lo stesso vale per lei signora, non aggiungete un altro capo di imputazione sulla vostra testa, ne avete già abbastanza”.

“ Carmen, vieni qui… non avere paura, ormai non potranno farti alcun male. Chi ti ha ordinato di venirmi a cercare per poi farmi venire qui?”.

La donna pur tremante indica il medico.

“ Quindi come vede, non sono venuto di mia spontanea volontà, non sono incappato in violazione di domicilio. In ogni caso, ho qui il permesso firmato dal questore per intraprendere un’ispezione. Caro D’Ambrosi, il fucile è in questa casa, lo troveremo, ne sono sicuro”.

Ordino a Tirdi e a Perino di cercare, ovviamente sapendo dov’era nascosta l’arma fanno finta di cercarla in tutte le stanze della villa.

La tensione è palpabile, la signora fuma nervosamente, mentre il marito non parla, osserva soltanto con aria beffarda.

“ Commissario, venga a vedere”.

A queste parole i coniugi si alzano e corrono da dove proviene la voce. Un’agente li allontana, mentre arrivo seguito dal questore e da Alibrandi. Scosto il pendolo, e con la pistola fingo di far saltare il lucchetto già aperto in precedenza dal Giuspin.

Con gesti lenti prendo il fucile: “ Come vede lo abbiamo trovato. Lo consegno agli agenti che lo porteranno alla scientifica che confermeranno che questo fucile è l’arma con cui sono stati uccisi il Miccichè e la donna sul Sangone”.

“ Lei è pazzo…signor questore non crederà e spero non permetterà di continuare questa farsa! Il fucile lo tengo per eventuali malintenzionati”.

Il questore non apre bocca e con un gesto mi indica di continuare.

Chiamo Tirdi accanto a me gli dico sottovoce di andare a prendere Aresi e di lasciarlo nella stanza attigua.

Mi rivolgo al medico chiedendo se è esperto di veleni, mi risponde sdegnato.

“ Strano, perché alcuni suoi colleghi, hanno confermato che lei ha una laurea in tossicologia. Strano che non se la ricordi? Anche perché la donna uccisa aveva nel sangue tracce di un veleno chiamato belladonna”.

“ Lei è pazzo Berardi!! Alibrandi ti chiedo di arrestarli tutti…immediatamente!”.

Il fascista non si muove e non dice una parola, capisce che non mento, ho le prove che i suoi amici sono degli assassini e che lui rischierebbe di esser coinvolto in complicità.

Il medico parla a ruota libera alzando sempre più i toni.

“ Entra Aresi…questo signori e signore è il compare di Micchichè l’uomo ucciso alla Borgata Leuman. Lui e la vittima erano stati ingaggiati da D’Ambrosi per minacciare la signora Orsini, proprietaria del negozio di abbigliamento dove sua… moglie, per ora uso questo aggettivo, andava a comprare”.

Prendo una pausa e continuo dicendo che il Micchichè è stato ucciso perché il dottore aveva paura che in qualche modo si potesse  risalire a lui, dopo una mia chiacchierata con la vittima e il qui presente Aresi; il quale ammette che nessuno di loro due ha visto in volto il mandante delle minacce, ma non ha difficoltà a riconoscere la voce.

“ Aresi, è questa la voce che hai sentito?”.

Risponde di si, non ha nessun dubbio e indica il dottore.

“ Mente!! Brutta carog….”.

“ Stia calmo dottore, la parte migliore deve ancora arrivare. Signora Clara…pardon…signora Bea Trevisani ora tocca a lei”.

La donna è una maschera di odio, mi guarda con aria di sfida, continua a fumare una sigaretta dopo l’altra.

“ Bene, signor questore e caro Alibrandi, dovete sapere che la suddetta signora ha una gemella, la quale è la moglie del qui presente medico. Purtroppo come a volte accade, il marito si invaghisce follemente della sorella. Le due donne sono identiche, compresa la macchia di voglia sulla mano destra. Su signora la faccia vedere, non la nasconda”.

“ Dove vuole arrivare con la sua assurda ricostruzione?” domanda D’Ambrosi.

“ Capite che ora una delle due era di troppo, e cosa fanno i due amanti? Di divorzio non se ne parla,  avrebbe compromesso la carriera del dottore, quindi c’è una sola soluzione da prendere: decidono di ucciderla. Quindi l’avvelenano e poi le sparano in volto con il fucile ritrovato poco fa per non risalire alla sua identità.”.

Prendo fiato e continuo: “ Ovviamente la vera moglie non sospettava che quella sera sarebbe stata l’ultima della sua vita. Immagino che lei caro D’Ambrosi, abbia proposto una cena fuori casa, (azzardo io questa ricostruzione) sua moglie si prepara con il vestito con cui è stata ritrovata, poi viene avvelenata e con un colpo di fucile, certo non sparato  in casa, viene resa irriconoscibile. Con l’aiuto della sua amante qui presente, si fa aiutare a portarla sulle rive del Sangone”.

Il questore domanda cosa c’entra il vestito: “ I due assassini avevano paura che in qualche modo si potesse risalire all’identificazione grazie a quel vestito. Era di ottima fattura, non certo alla portata delle tasche di molte donne. In qualche modo hanno sospettato che si potesse pubblicare sulla stampa la foto della vittima e con esso il vestito. Cosa che accade, e infatti la signora Orsini, proprietaria del negozio di abbigliamento dove si serviva Clara, la sorella gemella uccisa, venne in questura perché aveva riconosciuto il vestito”.

“ Quindi, se capisco bene, uno dei due coniugi ha comprato un altro vestito identico al precedente in modo che se lei fosse risalito a loro, avrebbero dimostrato che non era della qui presente signora, ma di chissà chi…” .

“ Esatto, signor questore. A comprarlo fu il dottore, e sono convinto che anche la proprietaria riconoscerebbe la voce, seppure l’uomo avesse il volto coperto dalla sciarpa e da un paio di occhiali scuri. Purtroppo per loro, la Orsini aveva solo due modelli di quell’abito, uno venduto alla vittima e uno a un misterioso uomo, il qui presente D’Ambrosi. Quando mi videro non ci volle molto a capire, che qualcuno aveva riconosciuto il vestito, e quel qualcuno è la proprietaria del negozio. Da qui l’idea di mandare due balordi ha minacciarla perché ritrattasse la sua testimonianza, peccato per loro che sia l’Orsini che la commessa siano venuti da me, fornendomi l’identikit di chi fossero i due uomini venuti nel negozio”.

“ Non capisco una cosa Berardi, ma i suoi amici non sapevano della sorella gemella?” domanda il questore.

“ Credo di no altrimenti me lo avrebbero riferito, evidentemente le due sorelle non andavano d’accordo e quindi preferivano tacere sull’avere una sorella gemella”.

Per un paio di minuti ci fu silenzio, poi venne dato l’ordine di arresto per la coppia di amanti.

“ Solo un attimo, posso andare in ufficio a chiamare il nostro avvocato?” domanda il dottore.

Il tutto si svolge in un attimo, l’uomo entra nella camera e si chiude dentro, un paio di secondi dopo un colpo di pistola echeggia in tutta la villa. Si era ucciso!

“ Berardi, devo a lei delle scuse. Sono stato ingenuo a credere nelle parole del mio amico D’Ambrosi, per quel suo trasferimento non ci sarà seguito, è carta straccia. Oggi stesso telefono a Farinacci e spiego le cose come sono andate. Lei commissario, sarebbe un ottimo uomo di partito, farebbe carriera se solo…vabbè lasciamo perdere!” dette queste parole Alibrandi esce dalla villa seguito dai suoi uomini.

A cena da mamma Gina viene anche la signora Orsini. Spiego a lei e a Maria che tutto è finito, la giustizia ha trionfato.

“ Lei è un santo, se non fosse stato per lei…”.

“ No signora Orsini, sono solo un semplice commissario…ma se non fosse stato per Maria, non credo sarei arrivato a conclusione di questa indagine”.

“ Vedi Marco, come tutti gli uomini dovreste tenere conto di noi donne, abbiamo quello che si chiama intuizione…già…l’intuizione di Maria in questo caso”.

Una risata avvolge il locale, mentre la luna illumina la città.

                                        Fine

 

 

 

 
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