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** Romanzo riservato ad un pubblico adulto. ** ** Titolo originale: On floor near the bed** **Si prega di non copiarne i contenuti**

 

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Ciao, io sono la.penna.bianca, lo scrittore eccentrico che scrive questa rubrica, se vuoi seguire la mia storia, inizia dal post n° 1 e non perderti nessuna puntata, se hai qualche consiglio da darmi saranno accettati molto volentieri.

 

 

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Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 17 Novembre 2006 da la.penna.bianca
 

Il sole era da poco calato quando Alphonsine, guardando fuori dalla finestra della cappella personale del signor Rossi, chiamò Fleur: -Muovetevi, la diligenza è già ai cancelli!

Nell’intero pomeriggio avevano pulito più di cinque ambienti ed avevano appena finito di spolverare la piccola cappella privata. Fleur era sempre stata insieme alla giovane cameriera nella giornata, vedendo solo di tanto in tanto qualche altro membro della servitù attraversare di corsa un corridoio con un piumino od una scopa in mano.

Alphonsine prese di mano lo straccio umido di Fleur e lasciando per il momento tutto in un angolo, si inchinò davanti alla croce nella cappella ed uscì di corsa incitando Fleur. Superarono un corridoio e svoltarono in un altro, giù per la scalinata bianca, uscirono dal portone incastonato tra le vetrate dell’ingresso e corsero in giardino tenendosi con una mano per il corrimano in marmo e con l‘altra la gonna.

La servitù era già tutta in fila, tutte le donne vestite come Fleur ed i camerieri con giacchette nere corte sul davanti e con moderate falde a coda di rondine sul di dietro. Camicia bianca e pantaloni a tubo anch’essi neri.

Alphonsine e Fleur si misero una vicina all’altra mentre un cameriere ben stagionato si affrettava ad aprire la portiera della diligenza.

-Testa alta e fate quello che fanno gli altri, ne più ne meno-, fece Alphonsine a denti stretti guardando fissa davanti a lei.

Fleur alzò la testa. Davanti a lei il cielo aranciato dal tramonto si stava ingrigendo, preludio di una nuova nevicata. L’aria era fredda ed i lipizzani davanti la carrozza nitrivano stanchi. Non riusciva a crederci: quella stessa mattina era in una sorta di topaia che chiamava “casa” ed ora si trovava in quello sfarzoso palazzo. Non sapeva ancora se pensare a tutto ciò come ad un sogno od ad un incubo.

Sentì il signor Rossi che salutava Antonio, il cameriere che gli aveva aperto la portiera. Sentì i tacchetti dell’uomo battere sul selciato ed immaginò le sue scarpette basse e nere con un fiocco sul davanti. Voleva girarsi ma Alphonsine le aveva detto di rimanere in quella posizione. Girò gli occhi verso la giovane cameriera mantenendo la testa in posizione.

Il secondo cameriere stava salutando il signor Rossi. Quel maledetto signor Rossi. Quel porco signor Rossi. Quel maniaco signor Rossi.

Una rabbia che durante la giornata sembrava averla abbandonata, ora le stava tornando dentro mentre l’uomo salutava la vecchia Adèle.

Sentiva le sue mani forti sul suo corpo, la sua lingua tra le sue gambe, la sua barba che la pungeva. Sentiva i suoi graffi sui seni, i suoi denti sulla pelle. Sentiva quel male alla tempia che se n’era andato tempo prima. Sentiva l’uomo avvicinarsi, quella sua aria da sbruffone, da indifferente, da puritano. Sentiva la rabbia. La sua rabbia. Rabbia che forse era odio. Puro odio.

Strinse i denti mentre Alphonsine diceva: -Buona sera signor Rossi- e si inchinava leggermente.

Strinse i denti con gli occhi gonfi di lacrime mentre quel porco schifoso le si piazzò davanti. Non voleva piangere. Non doveva piangere. Doveva ubbidire. Si doveva rassegnare all’idea che suo padre l’aveva venduta e magari aveva fatto lo stesso con sua madre. Era davanti a lei in attesa. Pensò ad Alphonsine, al suo sguardo materno. Doveva parlare ma si sentiva il naso pieno di muco, gli occhi che scoppiavano, la voce strozzata. Forza, ce la puoi fare si diceva ma anche Mi fate schifo signor Rossi, siete la persona più riprovevole di questo mondo signor Rossi, se non vi levate da davanti a me vi do un calcio nei coglioni signor Rossi. Chiuse gli occhi ed aprì le labbra. Con voce frantumata disse: -Bu… Buona sera.

Il signor Rossi non si mosse, nemmeno quando lei riaprì gli occhi, si inchinò, ma lui non si muoveva ancora, le restava dinnanzi. La fissava.

-Buona sera… e poi?

Fleur non sapeva cosa rispondere, mille idee le giravano per la mente. Si sentiva scoppiare ed una lacrima le rigò il volto.

-Ho detto: e poi?

Chiuse di nuovo gli occhi cercando di trattenere dentro di se quella rabbia che le faceva stringere i pugni. Cosa voleva quell’uomo dalla sua vita?

-Apri gli occhi! “Buona sera” e poi?

Fleur aprì gli occhi, le tremavano le labbra ed il vedere quello stronzo davanti al suo viso con quel sorriso di merda stampato in volto la fece rabbrividire dal nervoso più che dalla paura.

Voleva il padre. No, forse non il padre. Voleva la madre. No, forse neanche lei visto che non l’aveva mai conosiuta. Voleva qualcuno. Qualcuno di cui fidarsi. Qualcuno che la stringesse al petto e le dicesse “non ti preoccupare”. Voleva Alphonsine.

-Tu, nel mio ufficio tra venti minuti. Non transigo il ritardo. Comunque io voglio che mi si dica “Buona sera signor Rossi”, non soltanto “Buona sera”.

Si trattenne un secondo in più del previsto sullo sguardo della dodicenne prima di girare i tacchi e salire per la scalinata in marmo bianco seguito da Antonio, il cameriere che ora si era preso le sue valige. Sbatté il portone dell’ingresso e solo a quel punto il resto della servitù si mosse.

Fleur cadde a terra in ginocchio, i pugni sugli occhi, mentre una leggera pioggerellina iniziava a cadere e le sue lacrime si mischiavano ad essa.

Tutto questo per non aver detto due parole, “signor Rossi”. Per non aver nominato quel mostruoso essere che con la parrucca bianca l’aveva avuta sul pavimento di casa sua.

La servitù si ritirò senza degnarla di uno sguardo, come se tutto ciò che usciva dalla bocca del padrone fosse pura Legge: indiscutibile. Adèle si soffermò a guardarla ma con divertimento più che compassione, poi continuò per il suo cammino verso il palazzo.

La pioggia si fece più fitta e stretta ed Alphonsine le fu subito accanto, si piegò sulle ginocchia per abbracciarla. Le appoggiò le labbra sulla fronte e la strinse forte al suo seno. Per terra. Nel selciato. Con l’acqua che diventava neve.

-Siamo talmente uguali noi due Fleur, che neanche ve lo potete immaginare. Vi voglio bene piccola, vi voglio davvero bene, non ve lo dimenticate.

Finché le loro lacrime non si mischiarono con il candore di una nevicata dicembrina.

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Data di creazione: 30/10/2006
 

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