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** Romanzo riservato ad un pubblico adulto. ** ** Titolo originale: On floor near the bed** **Si prega di non copiarne i contenuti**

 

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Ciao, io sono la.penna.bianca, lo scrittore eccentrico che scrive questa rubrica, se vuoi seguire la mia storia, inizia dal post n° 1 e non perderti nessuna puntata, se hai qualche consiglio da darmi saranno accettati molto volentieri.

 

 

Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 17 Novembre 2006 da la.penna.bianca
 
Foto di la.penna.bianca

Il sole era da poco calato quando Alphonsine, guardando fuori dalla finestra della cappella personale del signor Rossi, chiamò Fleur: -Muovetevi, la diligenza è già ai cancelli!

Nell’intero pomeriggio avevano pulito più di cinque ambienti ed avevano appena finito di spolverare la piccola cappella privata. Fleur era sempre stata insieme alla giovane cameriera nella giornata, vedendo solo di tanto in tanto qualche altro membro della servitù attraversare di corsa un corridoio con un piumino od una scopa in mano.

Alphonsine prese di mano lo straccio umido di Fleur e lasciando per il momento tutto in un angolo, si inchinò davanti alla croce nella cappella ed uscì di corsa incitando Fleur. Superarono un corridoio e svoltarono in un altro, giù per la scalinata bianca, uscirono dal portone incastonato tra le vetrate dell’ingresso e corsero in giardino tenendosi con una mano per il corrimano in marmo e con l‘altra la gonna.

La servitù era già tutta in fila, tutte le donne vestite come Fleur ed i camerieri con giacchette nere corte sul davanti e con moderate falde a coda di rondine sul di dietro. Camicia bianca e pantaloni a tubo anch’essi neri.

Alphonsine e Fleur si misero una vicina all’altra mentre un cameriere ben stagionato si affrettava ad aprire la portiera della diligenza.

-Testa alta e fate quello che fanno gli altri, ne più ne meno-, fece Alphonsine a denti stretti guardando fissa davanti a lei.

Fleur alzò la testa. Davanti a lei il cielo aranciato dal tramonto si stava ingrigendo, preludio di una nuova nevicata. L’aria era fredda ed i lipizzani davanti la carrozza nitrivano stanchi. Non riusciva a crederci: quella stessa mattina era in una sorta di topaia che chiamava “casa” ed ora si trovava in quello sfarzoso palazzo. Non sapeva ancora se pensare a tutto ciò come ad un sogno od ad un incubo.

Sentì il signor Rossi che salutava Antonio, il cameriere che gli aveva aperto la portiera. Sentì i tacchetti dell’uomo battere sul selciato ed immaginò le sue scarpette basse e nere con un fiocco sul davanti. Voleva girarsi ma Alphonsine le aveva detto di rimanere in quella posizione. Girò gli occhi verso la giovane cameriera mantenendo la testa in posizione.

Il secondo cameriere stava salutando il signor Rossi. Quel maledetto signor Rossi. Quel porco signor Rossi. Quel maniaco signor Rossi.

Una rabbia che durante la giornata sembrava averla abbandonata, ora le stava tornando dentro mentre l’uomo salutava la vecchia Adèle.

Sentiva le sue mani forti sul suo corpo, la sua lingua tra le sue gambe, la sua barba che la pungeva. Sentiva i suoi graffi sui seni, i suoi denti sulla pelle. Sentiva quel male alla tempia che se n’era andato tempo prima. Sentiva l’uomo avvicinarsi, quella sua aria da sbruffone, da indifferente, da puritano. Sentiva la rabbia. La sua rabbia. Rabbia che forse era odio. Puro odio.

Strinse i denti mentre Alphonsine diceva: -Buona sera signor Rossi- e si inchinava leggermente.

Strinse i denti con gli occhi gonfi di lacrime mentre quel porco schifoso le si piazzò davanti. Non voleva piangere. Non doveva piangere. Doveva ubbidire. Si doveva rassegnare all’idea che suo padre l’aveva venduta e magari aveva fatto lo stesso con sua madre. Era davanti a lei in attesa. Pensò ad Alphonsine, al suo sguardo materno. Doveva parlare ma si sentiva il naso pieno di muco, gli occhi che scoppiavano, la voce strozzata. Forza, ce la puoi fare si diceva ma anche Mi fate schifo signor Rossi, siete la persona più riprovevole di questo mondo signor Rossi, se non vi levate da davanti a me vi do un calcio nei coglioni signor Rossi. Chiuse gli occhi ed aprì le labbra. Con voce frantumata disse: -Bu… Buona sera.

Il signor Rossi non si mosse, nemmeno quando lei riaprì gli occhi, si inchinò, ma lui non si muoveva ancora, le restava dinnanzi. La fissava.

-Buona sera… e poi?

Fleur non sapeva cosa rispondere, mille idee le giravano per la mente. Si sentiva scoppiare ed una lacrima le rigò il volto.

-Ho detto: e poi?

Chiuse di nuovo gli occhi cercando di trattenere dentro di se quella rabbia che le faceva stringere i pugni. Cosa voleva quell’uomo dalla sua vita?

-Apri gli occhi! “Buona sera” e poi?

Fleur aprì gli occhi, le tremavano le labbra ed il vedere quello stronzo davanti al suo viso con quel sorriso di merda stampato in volto la fece rabbrividire dal nervoso più che dalla paura.

Voleva il padre. No, forse non il padre. Voleva la madre. No, forse neanche lei visto che non l’aveva mai conosiuta. Voleva qualcuno. Qualcuno di cui fidarsi. Qualcuno che la stringesse al petto e le dicesse “non ti preoccupare”. Voleva Alphonsine.

-Tu, nel mio ufficio tra venti minuti. Non transigo il ritardo. Comunque io voglio che mi si dica “Buona sera signor Rossi”, non soltanto “Buona sera”.

Si trattenne un secondo in più del previsto sullo sguardo della dodicenne prima di girare i tacchi e salire per la scalinata in marmo bianco seguito da Antonio, il cameriere che ora si era preso le sue valige. Sbatté il portone dell’ingresso e solo a quel punto il resto della servitù si mosse.

Fleur cadde a terra in ginocchio, i pugni sugli occhi, mentre una leggera pioggerellina iniziava a cadere e le sue lacrime si mischiavano ad essa.

Tutto questo per non aver detto due parole, “signor Rossi”. Per non aver nominato quel mostruoso essere che con la parrucca bianca l’aveva avuta sul pavimento di casa sua.

La servitù si ritirò senza degnarla di uno sguardo, come se tutto ciò che usciva dalla bocca del padrone fosse pura Legge: indiscutibile. Adèle si soffermò a guardarla ma con divertimento più che compassione, poi continuò per il suo cammino verso il palazzo.

La pioggia si fece più fitta e stretta ed Alphonsine le fu subito accanto, si piegò sulle ginocchia per abbracciarla. Le appoggiò le labbra sulla fronte e la strinse forte al suo seno. Per terra. Nel selciato. Con l’acqua che diventava neve.

-Siamo talmente uguali noi due Fleur, che neanche ve lo potete immaginare. Vi voglio bene piccola, vi voglio davvero bene, non ve lo dimenticate.

Finché le loro lacrime non si mischiarono con il candore di una nevicata dicembrina.

 
 
 

Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 07 Novembre 2006 da la.penna.bianca
 
Foto di la.penna.bianca

Quando Alphonsine aprì la tenda vide Fleur in piedi a rigirarsi le dita all’altezza del bacino. Piangeva in silenzio dentro quell’abito di linea semplice dal corsetto aderente e la gonna a vita alta a ruota che le arrivava alle caviglie. Era tutta nera, con dei pizzi bianchi che le uscivano da sotto la gonna, dalle maniche scampanate a tre quarti e dal girocollo. Si dondolava dentro le scarpette nere, nuove.

-Che avete fatto Fleur? Siete bellissima.

Continuava a lacrimare con la testa bassa rivelando un copricapo bianco che le nascondeva i capelli mal tagliati.

-Perché non parlate?

-Perché non vi capisco

Tirò un lungo sospiro singhiozzando prima di continuare a testa bassa: -Guardate che belle queste vesti che mi avete donato. Perché?

-Perché il signor Rossi vuole il meglio per la sua servitù. Sapete piccola, oggi giorno per un nobile la servitù è come un biglietto da visita.

-Ed io sarei paragonabile ad un foglietto di carta?

-Perché rendete tutto così difficile mia cara? Vedetevi come una ragazza fortunata che ora ha l’occasione di crescere in un luogo sano, di studiare e mangiare pane caldo ogni giorno.

-Io non mi ritengo affatto fortunata-, iniziò a urlare Fleur, -e non ubbidirò mai a quel vecchio porco!

-Signorina, calmatevi e vedete bene di stare agli ordini del padrone. Ora venite dobbiamo pulire l‘intero palazzo prima dell‘arrivo del signor Rossi. Ora è a casa del suo collega Antonin Bernard. Dovete sapere che il padrone è un biologo, studia la natura, le acque più precisamente. Il signor Bernard, qui in Francia, sta cercando di creare un mare dentro un recipiente di vetro. Il signor Rossi lo chiama acquario e sembra che il suo collega stia per ricevere il primo pesce tropicale da allevare in questo Paese. Antonin Bernard ha invitato il padrone qui a Cognac a festeggiare l’ultimo giorno dell’anno ed ha colto l’occasione per farsi aiutare nell’impresa dell‘acquario-, disse Alphonsine scostando una tenda biancastra per guardare fuori dalla finestra.

Fleur non aveva capito niente di ciò che quella ragazza le aveva detto: un mare dentro delle pareti di vetro. Ma che idiozie erano? Forse anche lei la stava prendendo in giro. Forse tutti si stavano divertendo a schernirla per la sua sfortuna ad oltranza. Ma Alphonsine non sembrava volerle male. Era così dolce ed amichevole con lei. Sembrava così sincera. Non poteva essere complice anche lei di un complotto finalizzato a deriderla.

Fleur strinse un pugno e si sfregò via le lacrime. Poi alzò la testa e si mise in cammino dietro alla giovane cameriera.

Uscirono da una porta bassa in fondo alla camerata che portava in un lungo e stretto corridoio glabro di ogni decorazione. Arrivarono a metà corridoio circa e si fermarono davanti a due fessure verticali ed una orizzontale all‘altezza del soffitto. Non c’erano maniglie, sembrava che il muro fosse tagliato di proposito, ma senza alcun senso. Vicino a questo c’era uno sportellino in ottone che Alphonsine aprì, scoprendo due fori ovali. Portò gli occhi vicino a questi e quando ne riemerse guardò Fleur che aveva un’aria alquanto incuriosita.

-Regola numero uno: quando vi trovate in questo corridoio, massimo silenzio. Regola numero due: prima di uscire da qui, guardate sempre da questi due fori ed accertatevi che non ci sia nessuno a passeggio per il corridoio al di là della parete, non vorremmo avere ospiti indesiderati durante la notte.

Fleur portò gli occhi al muro e ne scorse un corridoio dalle tinte dorate.

-Guardate dritto a voi, in alto. Ci sono due cherubini con uno scudo ciascuno tra le mani. Se fate attenzione noterete che sono due specchi, uno rivolto in una direzione ed uno nell’altra. Controllate che il corridoio sia deserto prima di uscire.

Fleur annuì levando gli occhi dai fori. Richiuse lo sportellino ed analizzò i tagli nella parete.

-Ma come usciamo di qui?

-Regola numero tre: aspettate prima di fare domande-, fece Alphonsine sorridendo.

-Scusate.

Alphonsine poggiò una mano ad un lato del taglio verticale lungo la parete ed applicando una piccola pressione, fece ruotare il muro nel suo centro.

Mentre Alphonsine entrava correndo nel corridoio principale, Fleur restò dall’altro lato con la bocca aperta.

-Regola numero quattro: Fleur muovetevi, che se ora passasse qualcuno troverebbe l’entrata al dormitorio femminile della servitù!

Fleur si affrettò a chiudere la bocca ed attraversò la parete girevole alzandosi la gonna. Alphonsine si preoccupò di rimettere il muro al suo posto prima di raggiungere Fleur che ora stava ammirando la bellezza di quel nobile corridoio. Non aveva mai visto tanto sfarzo e ricercatezza.

La parete girevole era impercettibile anche a lei che ci era appena passata, nascosta da un grande dipinto che da terra toccava il soffitto.

-Lui è Giovanni Rossi, bisnonno del nostro signor Giuseppe Rossi. E’ lui che fece costruire questo palazzo qui a Cognac.

Il resto del corridoio, formato da una serie di volte a vela, era un insieme di grazia e leggerezza, un capriccio di linee, cornici, festoni, stucchi, volute intrecciate e curvature esasperate. Un gran lavoro d’oro e panna. Poi in alto quei cherubini con gli specchi in mano che emettevano una luce celestiale; tutto il corridoio ne era adorno. Dall’alto delle volte, sopra la sua testa, degli affreschi angelici la guardavano.

-Seguitemi Fleur, non vorrete restare tutta la giornata a fissare un corridoio?

Fleur portò lo sguardo all’altezza della cameriera che si stava dirigendo verso un arco ellittico che si apriva in un grande salone. Si tirò su la gonna ed iniziò a correrle dietro con i tacchetti che tamburellavano sul pavimento lucido.

-Alphonsine aspettatemi!

Attraversarono quasi cinque stanze prima di arrivare sul ballatoio che grazie ad una magnifica scalinata sfociava nell’atrio che a sua volta dava su una terrazza in marmo.

-Iniziamo da qui?

Fleur annuì guardando quella scalinata bianca che si diramava in due, con ai piedi quattro cariatidi nude che sembravano sorreggere senza sforzo l’enorme volta a crociera.

-Allora, gli stracci e l’acqua li ho già preparati laggiù in fondo. Tu pulisci il ballatoio e le vetrate lì dietro, io mi occupo del salone infondo, delle vetrate che danno verso l’esterno e delle scale, va bene?

Fleur annuì di nuovo con la testa alta. Scese le scale in religioso silenzio come fosse diventata anche lei una cariatide. Prese una scopa, gli stracci ed un secchio pieno d’acqua chiara. Tornò sul ballatoio e strizzando lo straccio nel secchio, iniziò a pulire le vetrate trifore intervallate da nicchie con santi cattolici.

Strofinando lo straccio bagnato si guardò di nuovo intorno e, dimenticandosi un momento della sua sventura, si disse che non era mai così tanto male per essere un incubo.

 
 
 

Post N° 4

Post n°4 pubblicato il 05 Novembre 2006 da la.penna.bianca
 
Foto di la.penna.bianca

Fuori dalla finestra il sole rimbalzava sulla neve fresca. Il vento si era calmato ed il freddo sembrava aver dato un attimo di tregua al calore. Eppure fuori c’era la neve.

Quando Fleur aprì gli occhi vide solamente macchie scure su uno sfondo bianco. Si sentiva bloccata da un peso insopportabile. Aveva tutte le membra intorpidite.

-Come state?

Fleur non rispose, richiuse gli occhi e cercò di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Mosse le mani vicino ai fianchi e toccò qualcosa di morbido e profumato. La vista le stava pian piano tornando normale.

-Non vi preoccupate, è l’effetto del cloroformio.

Non aveva mai sentito quel nome. “Cloroformio”.

-Cos’è?

-E’ un potente anestetico signorina.

Cercò di guardarsi intorno. Era in una piccola stanza piena di letti. I muri erano di un bianco sporco e nella parete di fondo un camino riscaldava la camerata.

Poi si guardò le mani. Anche lei era in un letto, in un letto bianco. Era la prima volta che ci si stendeva sopra. A casa però avevano un materasso che una ricca signora aveva gettato per le strade.

A casa.

Si mise a sedere sul letto di scatto e tutto, intorno, iniziò a girare.

-Che fate signorina? Dovete riposare.

-Devo andare a casa, io.

-Questa è la vostra casa adesso.

-No.

-Signorina, calmatevi. Non risolverete niente in questa maniera. Avete sentito quello che ha detto la signora Adèle?

Nella mente di Fleur comparve una carrozza e sei persone. Lei stesa a terra, sulla pedana in legno. Una giovane ragazza che le parlava ed una vecchia signora dagli occhiali tondi. Non ci giurerei che vostro padre non avesse venduto anche vostra madre, le aveva detto. Non sapeva più a cosa credere ma si impose di non piangere. Una parte di lei si sentiva tradita da quello stesso padre che l’aveva abbandonata sola a casa con quel porco del signor Rossi, mentre l’altra metà si rifiutava di credere che quel padre, che un giorno le regalò perfino un gomitolo di lana per potersi fare una bambola, l’avesse venduta come si vende un ciocco di legno.

-Ma lei mentiva!

-Mia cara, a volte è difficile accettare la realtà. Forse Adèle ha un po’ esagerato, certo, ma non crediate che si sia sbagliata più di tanto.

La voce tradiva la sua determinazione, -E invece io vi dico che si è sbagliata.

-Fate come volete, ma ora alzatevi.

La giovane cameriera prese sottobraccio Fleur e porgendole un paio di pantofole scure le fece appoggiare i piedi a terra. Avevano un ché di materno i suoi gesti.

-Ma perché tutto questo?

-Tutto questo cosa?

-Prima mi avete rapita, poi mi avete portato al caldo in una stanza dove non ci sono passaggi per l’aria, mi avete messo per la prima volta nella mia vita in un letto e mi avete messo delle pantofole ai piedi, cosa che io non ho mai avuto, perché vi divertite tanto a sminuirmi?

La cameriera sorrise maternamente.

-Come vi chiamate?

-Fleur.

-Sapete Fleur? Anche a me è successo tutto ciò. Mio padre mi ha venduto al padrone che, come accadrà a voi, mi ha accudita come una figlia. Mi ha addirittura fatto studiare, ed ora so sia leggere che scrivere.

-Ad una figlia non si mettono le mani in corpo.

Il volto della cameriera si rabbuiò mentre spogliava la piccola Fleur davanti ad una tinozza piena d’acqua dietro una tenda scorrevole. Fleur la guardò e capì immediatamente che lo stesso destino si era appropriato della sua verginità.

-E voi come vi chiamate?

-Alphonsine.

-Scusate Alphonsine se vi ho risvegliato brutti ricordi.

Un sorriso vuoto le ricadde sul viso: -Non vi preoccupate Fleur, ed invece lavatevi. Le nuove vesti sono ripiegate sulla sedia qui a fianco. Io ora vado a cambiarvi le lenzuola. Se avete bisogno del mio aiuto chiamatemi pure.

Nella sua nudità, con le braccia incrociate davanti al seno, Fleur annuì, poi, tirando la tenda bianca infilò un piede nell’acqua tiepida della tinozza in metallo.

Vi si immerse e per la prima volta non si lavò in un fiume.

 
 
 

Post N° 3

Post n°3 pubblicato il 02 Novembre 2006 da la.penna.bianca
 
Foto di la.penna.bianca

Erano le sette del mattino quando Fleur riprese i sensi svegliata dal rimbalzare della carrozza su cui si trovava. La luce fredda entrava dai vetri appannati le cui tendine erano aperte. Cercò di rialzarsi, ma il dolore alla testa le si fece lancinante.

Sentiva degli zoccoli battere su una strada sterrata. Aprì lentamente gli occhi vedendo solo nebbia davanti a se. Gli riaprì e li richiuse per una mezza dozzina di volte prima di riuscire a mettere a fuoco ciò che aveva intorno.

Era stesa a terra su ciò che sembrava una ricca diligenza. L’interno era tutto ricoperto di ricchi tessuti celesti. Sei persone erano sedute nelle panche ai due lati della pedana dove lei era stesa.

Nessuno sembrava guardarla. Tutti avevano gli occhi puntati davanti a se e nessuno proferiva parola.

Fleur cercò di alzarsi per la seconda volta, ma una mano la respinse. Era una giovane ragazza, sui quattordici anni. Era vestita di nero, con una parananza che le ricadeva sulle ginocchia.

-Non ti muovere. Sei ferita. Tra poco siamo arrivati.

-Dove? Dove sono?

-Sei su una delle diligenze del signor Giuseppe Rossi.

-Chi è?

-Uno dei principi della nostra adorata Torino. L’avete incontrato questa mattina prima del cantar del gallo, non rimembrate?

Confusi ricordi si fecero appresso alla mente della giovane Fleur che quasi iniziò a piangere. Sentiva i graffi, i morsi. Sentiva le sue gambe che si aprivano. Sentiva le sue stesse grida che non riuscivano ad uscire. Si toccò la testa. Era fasciata.

-Non preoccupatevi, vi sistemeremo prima del nostro arrivo.

-Dove dobbiamo arrivare?

Mentre Fleur continuava a fare domande il nocchiere fermò la diligenza. Cercò di rialzarsi e con una manica della veste lurida spannò il vetro. Alzò lo sguardo davanti a sé. C’erano altre due diligenze davanti a quella nella quale si trovava, entrambe con due bei lipizzani bianchi con le balzane alto calzate color morello. Dalla prima uscì il signor Rossi con aria compiaciuta. Si limitò a sussurrare qualcosa nell’orecchio ad un uomo della servitù che annuì guardando la diligenza di Fleur.

Lei ripiegò lo sguardo sui piedi ancora scalzi.

Poi il signor Rossi ripartì e lei si ristese a terra.

-Perché? Dove mi portate?

-Stiamo andando nella residenza del padrone, non vi preoccupate. Lui intanto è andato da un suo collega biologo qui a Cognac. Presto arriverà anche lui per riposarsi.

-Ed io che ci faccio qui?-

Anche la loro diligenza ripartì, prendendo una strada diversa dalla prima.

-Come che ci fate qui? Voi siete stata scelta dal padrone come nuova cameriera. Sapete, nella residenza di Torino il padrone ha lasciato la signora Maria che è malata, è una delle cameriere più anziane tra di noi e non credo che vivrà ancora a lungo. Ora vi porteremo a casa e vi faremo diventare bellissima, non vi preoccupate.

Dall’altro lato del carro una signora rinsecchita con due occhialini tondi sul naso sbuffò con aria scettica.

Fleur non sapeva che dire, si sentiva in una prigione senza muri, anzi, con stoffe celesti e ben ricamate, si sentiva in uno squallido sogno che aveva tutte le prerogative per essere reale. Voleva piangere ma non ce la faceva. Era la prima volta che si trovava lontana di casa, senza suo padre ed i suoi nove fratelli.

-Dov’è mio padre?

-Vostro padre è al lavoro. Non vi preoccupate, il nostro padrone a pensato a tutto. Gli ha lasciato una lettera sul pavimento in cui gli spiega ogni cosa. Ah, dimenticavo. Gli ha anche lasciato dei soldi per ringraziarlo.

Fleur iniziò a piangere: -Mio padre non sa leggere, nessuno dei miei fratelli sa leggere. Nessuno in Francia sa leggere. E non gliene importerà un bel niente dei soldi. Mio padre vuole me, mio padre non mi scambierebbe per niente al mondo! Perché? Perché continuate a prendermi in giro? Lasciatemi uscire da questo incubo!

La signora che prima aveva sbuffato ora si girò con gli occhi sgranati e disse:-Ah, sì? Vostro padre vuole voi? Ed allora perché vi ha venduta?

-Lui non mi ha venduta. Quel mostro del vostro padrone mi ha rapita!

La signora iniziò a ridere acidamente:-Oh, certo! E voi ci credete? Ditemi, quand’è l’ultima volta che avete mangiato?

Seguì un attimo di silenzio in cui Fleur parve riflettere.

-Ricordate: una donna non lavora e quindi non porta soldi a casa. Niente soldi, niente pane. Ed una giovane donna come voi costa anche cara immagino. Non ci giurerei che vostro padre non ha venduto anche vostra madre. Per il vostro bene, si capisce.

Quelle parole fecero spaccare il cuore di Fleur in centinaia di pezzi, forse anche più. Si sentì improvvisamente sola. Improvvisamente triste. Improvvisamente lurida. Improvvisamente. Tutto così maledettamente all’improvviso. Scoppiò a piangere in silenzio con la testa bassa. Le lacrime che gocciolavano sulla pedana della diligenza.

-Voi, voi siete una bugiarda-, ebbe la forza di dire.

La servitù intorno a lei fece una faccia quasi scandalizzata ma subito sui loro volti tornò l’indifferenza verso ciò che li circondava.

-Fate come volete. Volevate la verità ed io ve l’ho data.

La giovane ragazza che l‘aveva aiutata la prima volta le si rifece vicina:-Non datele ascolto. Comunque sia, ora vi porteremo a casa, non vi preoccupate.

Fleur iniziò a urlare piangendo con la tempia che le pulsava e la ferita che minacciava una riapertura: -Io non voglio andare a casa di quel porco. Io voglio andare a casa mia. Da mio padre, dai miei fratelli. Perché non lo capite?

Nessuno parve ascoltarla.

La giovane ragazza della servitù si limitò ad appoggiarle una mano sulla fasciatura che portava in testa.

-Non vi preoccupate, prima o poi capirete tutto e forse vi farete una ragione di tutto questo, piccola. Ma ci vuole del tempo.

Tirò fuori dalla borsa una boccetta di vetro e ne versò un po’ di liquido aranciato su di un tovagliolo mentre il resto dei passeggeri si mise un fazzoletto sul naso. L’odore di cloroformio invase la diligenza. Richiuse il contenitore e portò il tovagliolo davanti al naso di Fleur che non reagì minimamente. Passarono poche decine di secondi prima che svenisse di nuovo.

-Eh, piccola mia. Viviamo in un brutto mondo oggi. Proprio brutto questo mondo, piccola.

 
 
 

Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 02 Novembre 2006 da la.penna.bianca
 
Foto di la.penna.bianca

-Signor Rossi… signor Rossi-, fece il vecchio Adrien svegliando l’uomo addormentato sulla sedia.

Il fuoco era ancora vivo anche se stentava a respirare.

-Sì.

-Scusate se vi sveglio ma volevo avvisarvi del fatto che io ed i miei figli ce ne stiamo andando a lavorare.

Il sole non era ancora sorto. La neve continuava a scendere fuori dalla finestra ed il vento sembrava voler buttar giù quel vecchio tugurio.

-Comunque non vi preoccupate. Potete restare finché volete. Se avete bisogno di qualcosa c’è mia figlia-, fece Adrien indicando una ragazza dai capelli corti in fondo alla stanza. Era ancora una bambina.

Adrien si avvicinò all’orecchio dell’uomo e per qualche tempo gli sussurrò qualcosa. Il signor Rossi ascoltava annuendo di tanto in tanto. Guardava nella direzione della bambina.

Poi si staccò dall‘orecchio, -Si chiama Fleur.

-Salve-, fece lei con voce sottomessa dal suo angolino senza degnare di uno sguardo lo sconosciuto.

-Sono molto lieto di conoscere vostra figlia e vi ringrazio per l‘ospitalità, ma ora toglierò il disturbo.

-Fate come volete, ma pensateci. A proposito, abbiamo cercato di convincere la vostra servitù ad entrare per riscaldarsi questa mattina, ma hanno detto di dover restare nelle vostre diligenze per vostro ordine.

-Sì, non volevo disturbare a tal punto, quindi ho preferito lasciarli nelle carrozze.

Adrien fece una faccia scettica e senza continuare il discorso si avviò verso la porta seguito da poco meno che una decina di ragazzini, presumibilmente i suoi figli, che uscirono in fila senza salutare. Prese la porta da un’asse di legno sporgente e guardando il signor Rossi prima e cercando di sorridere a Fleur poi, la richiuse.

Fleur dal suo angolo abbassò lo sguardo verso le calze stracciate e più volte rattoppate, con le mani unite all’altezza del bacino, poggiate su pochi panni sporchi.

-Non avete freddo?-, fece il signor Rossi dalla sua posizione.

-No.

-Ma è freddo.

-Per me no.

Il signor Rossi sorrise: -Tutta questione di abitudine.

La ragazzina aveva i capelli tagliati male, con dei grossi buchi da svariate parti.

-Che avete fatto in testa?

-Che ho fatto?

-Non lo so. Lo sto chiedendo a voi ragazzina. Avete delle zone senza capelli, noto.

-Gli ho venduti l’altro mese.

-Scusate?

-Gli ho venduti. Per le parrucche dei nobili-, fece alzando la testa per guardare la parrucca che portava lo sconosciuto.

Sconcertato il signor Rossi levò lo sguardo dall’esile viso della bambina. Non aveva mai pensato che le parrucche che spesso regalava alle belle donne e talvolta usava portare anche lui, fossero fatte da capelli di altre giovani fanciulle che così perdevano la propria bellezza.

-Non voglio sembrarvi impertinente, ma ogni quanto gli tagliate?

-Ogni diciotto mesi. Il tempo di fargli ricrescere, signore.

Il signor Rossi era rimasto senza parole allorché scese un silenzio imbarazzante.

-Quanti anni avete di grazia?

-Dodici, signore.

-E siete la più piccola della famiglia, per quanto i miei occhi possano aver visto.

Annuì.

-E vostra madre? Non ho visto nessun’altra donna in casa.

-Mia madre non c’è. Se n’è andata l’anno scorso.

-Mi duole signorina, mi duole davvero.

L’uomo si alzò in tutta la sua bassa statura. Si riassettò la pelliccia dondolandosi sui mocassini in pelle neri e con aria fiera si diresse verso la bambina. Fissava Fleur sorridendo quando lei sollevò il volto. Era sporca con le labbra bianche e le vene che le sporgevano da sotto gli occhi, ma al di là quella trasandatezza si nascondeva un bel volto di giovane donna.

-Siete bella ragazzina.

Fleur non rispose, continuava a fissare quell’uomo avvolto in quella ricca pelliccia di zibellino, continuava a fissare i suoi occhi marroni.

Il signor Rossi camminava lentamente verso quell’angolo lontano della stanza, studiando ogni particolare della femmina. Poi le fu davanti, tanto vicino che ella poteva sentire il suo alito che puzzava di tabacco sul naso.

-Allontanatevi, vi prego. Che state facendo?

-Vi vengo vicino, non lo vedete.

-Non potete.

-E perché mai non avrei questo potere?

-Perché… perché…

Fleur non aveva risposta per quella domanda così priva di senso e quasi immobilizzata fissò gli occhi dell’uomo che si chiudevano mentre le loro labbra venivano a contatto. Sentiva il sapore della saliva dell’uomo nella sua bocca. Non riusciva a muoversi. Si sentiva di pietra, come se Medusa fosse appena entrata in quella stanza e l’avesse guardata dritta negli occhi. Un freddo glaciale le attraversò la schiena. Non sapeva che fare mentre le mani del signor Rossi le cingevano la vita, mentre la lingua correva sul suo collo sporco.

Quando raggiunse i suoi seni giovani si sentì improvvisamente forte. Spintonò all’indietro l’uomo che a sua volta la prese per i capelli e la fece rovinare a terra. Sbatté la tempia che iniziò a fiottare sangue. Si sentì stanca, debole, mentre un vecchio riccone dalle mani rugose la spogliava ed infilava le sua lingua rugosa nella sua verginità. Scalciò verso la sua direzione invano. Cercò di rialzarsi, ma la mole dell’uomo era troppa ed il sangue che perdeva la rendevano stanca. Graffiò il suo volto. L’uomo le afferrò il collo e le mollò uno schiaffone in faccia. Non riusciva a reagire. La mordeva, la graffiava. Il sangue le scorreva e la vista le si annebbiava, mentre qualcosa le violò il corpo. I suoi occhi verdi si fermarono ciechi mentre perdeva i sensi in preda al terrore.

 
 
 
 
 

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Un blog di: la.penna.bianca
Data di creazione: 30/10/2006
 

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