La sedia da spostare

di scuola, di vita, e d'altre amenità

 

Secondo me quella sedia lì va spostata.

Anche secondo me quella sedia lì va spostata.

Facile dirlo quando l'han detto gli altri.

Se è per questo sono anni che lo dico e nessuno mi ascolta. 

Da una approfondita analisi storica e sociologica viene fuori chequella sedia pesa dai nove ai dieci chili.

Non sono d'accordo. Dai sondaggi il 2% degli intervistati dice che pesa dai cinque ai sei chili, il 3% dai sei ai sette chili, il 95% non lo so e non me ne frega niente. Basta che la spostiate.

Secondo me per spostarla bisognerebbe prenderla con cautela per la spalliera e metterla da un'altra parte.

Eccesso di garantismo.

(Giorgio Gaber)

 

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Furto di tempo e peggio

Post n°11 pubblicato il 26 Luglio 2011 da Gl3nda

All'università mi indignavo quando andavo dai prof nell'orario di ricevimento e PUNTUALMENTE non li trovavo. Ovviamente che ci fosse un cartellino sulla porta che segnalava l'assenza era una rarità.

Il tempo di uno studente di lettere, che già ne spreca tanto a correre da una sede all'altra e a volte deve studiare in autobus è, per come la vedo, relativamente prezioso, e nello scegliere il mio relatore di tesi ho avuto una facile scrematura solo cancellando i nomi degli assenteisti del ricevimento studenti.

Rubare il tempo altrui, o comunque non attribiuirgli lo stesso valore che dai al tuo è sbagliato.

Sempre.

Ma quando non è solo il tempo quello che rubi, ma lo porti via all'assistanza di una persona che ha bisogno?

E quando non sono solo le dritte per un esame quelle di cui devi parlare, ma questioni che riguardano VITA E SALUTE di una persona?

Oggi ORARIO DI RICEVIMENTO DEI MEDICI nel reparto dove è ricoverato mio babbo.

Una misera ora, e NON SI E' VISTO passare un cane.

Come una cretina stavo in piedi ad aspettare davanti alla loro stanza, mentre mio babbo rimaneva da solo nelle sole poche ore che posso stare con lui.

I tirocinanti cercavano vanamente di giustificare questo schifo...ma poverini: era evidente che anche loro non avevano parole.

Con tutto il rispetto per una *poteziale* (ma ohimè tristemente dubitabile) emergenza, la domanda sorge spontanea: col cazzo di stipendio che prendete, oh onorati medici, è così pesante starvene nel posto dove dovreste essere una misera ora?

 
 
 

Parcheggi a pagamento in ospedale

Post n°10 pubblicato il 20 Luglio 2011 da Gl3nda

Era un po' che avrei dovuto scriverlo, e forse c'erano troppe altre cose che mi facevano incazzare per potermici soffermare almeno un po'.

La presenza di parcheggi a pagamento negli ospedali è di per sè desolante, ok.

Il fatto che nei dintorni non ci siano altre aree relativamente vicine per un parcheggio alternativo è peggio.

Ma la cosa più devastante è che non esista un provvedimento per venire incontro a chi, PER RAGIONI NON DI SUA PIGNOLERIA MA PER REALE NECESSITA' ANCHE DELLO STESSO PERSONALE OSPEDALIERO, deve fornire ad un ammalato un'assistenza di pressochè 24 ore su 24.

L'esperienza con mio babbo mi ha fatto rendere conto di quanto la vita del personale stesso degli ospedali sia assurda: pochissimi infermieri per piano, che devono correre da un lato all'altro, tanto che tra il suono del campanello e l'arrivo di un'assistenza passano minuti (che non sono nulla se un malato deve fare un bisogno...male male si cagherà addosso, per quanto umiliante: ma diventano vitali se qualcuno ha un malessere!), operatori OSS che a volte devono sollevare persone grosse il doppio di loro da soli...e via dicendo...

In una di queste simpatiche situazioni del cazzo si è trovata la mia famiglia: se non c'era una persona fissa con mio babbo, che non era lucido, doveva essere tenuto legato al letto...inoltre la presenza fissa di qualcuno era necessaria poichè lui non era nelle condizioni mentali di suonare il campanello in caso si fosse sentito male (evento che, tra l'altro, si è drammaticamente verificato un mattino del mese scorso): non essendo possibile avere un membro del personale a farci questo servizio, lo abbiamo dovuto fare noi (salvo, alcune notti, pagare una persona per farlo)...e qui sorge la domanda: 12 ore di pagamento a 50 cent, sono sei euro al giorno.

Non sono una follia (e, vista la nostra situazione in questo momento, sono il minore dei mali)...ma in un mese sono 180 euro...che noi VERSIAMO AL COMUNE PER SUPPLIRE AD UN SERVIZIO CHE LO STATO NON PUO' OFFIRE, e garantire un target di benessere e assistenza che sarebbe il DIRITTO MINIMO di un uomo che sta male.

???

 
 
 

La "gente" e le "persone"

Post n°9 pubblicato il 19 Luglio 2011 da Gl3nda
Foto di Gl3nda

Pensiero del giorno, che sembra si ricolleghi tanto a quello che scrivevo l'ultima volta. E forse non è stato un caso che mi trovassi a leggerlo proprio in ospedale, circondata da quel desolante anonimato che ho mio malgrado dovuto conoscere:

Erri De Luca, Il giorno prima della felicità: "Intanto non la chiamare gente, sono persone, una per una. Se la chiami gente non fai caso alle persone. Non si possono sentire i pensieri della gente, ma quelli di una persona alla volta".

I corsivi sono miei.

Non credo ci sia bisogno di commentare.

 
 
 

Il medico non cura la persona

Post n°8 pubblicato il 25 Giugno 2011 da Gl3nda

Ecco un post che esce dalla scuola per parlare di altre storture che mi smuovono i nervi e mi farebbero venire voglia di fare come il protagonista di "Un giorno di ordinaria follia".

Premettiamo che tendenzialmente ho una pessima opinione della categoria "medici" (in 37 anni di vita ne ho purtroppo conosciuti molti tra i quali ne lascerei in vita tre...e non è un modo di dire: sono veramente *solo* tre), ma ogni ulteriore esperienza, mia o di persone a me care, non fa che confermare la mia diffidenza.

I medici - tristemente *tutti* i medici salvo rare e spesso anche malviste eccezioni - hanno una tara comune: nel momento in cui ti curano tendono a rimuovere la consapevolezza che tu sei una persona, con un carattere, delle paure, delle fissazioni, dei difetti e delle doti, come ciascun essere umano. Per loro tu coincidi coi tuoi sintomi, tu *diventi* la malattia che devono curare, l'involucro che ospita quel sintomo vale quanto un numeretto su un letto di ospedale.

Ritengo che tutti coloro che svolgono un lavoro a contatto della gente, dovrebbero possedere come primo e imprescindibile requisito una preparazione sulla relazione, perchè *curare* è, innanzi tutto, *relazionarsi*. Se un brillantissimo chirurgo non è capace di approcciarsi nel modo giusto ad un malato, e di adeguare il proprio atteggiamento a chi ha di fronte...beh, che si formi per farlo, oppure se ne resti chiuso in sala operatoria e si faccia affiancare da qualcuno che, invece, tale preparazione ce l'ha.

E' vero, un medico non può *farsi coinvolgere* dalla situazione di ogni paziente, perchè impazzirebbe...

E' vero, un medico ne vede tante, è ovvio che diventi più freddo.

E' vero - anche - che chiunque, probabilmente, sceglierebbe di essere curato da un medico "bravo" piuttosto che da un medico "buono".

Eppure, *curare la persona* significa sapersi prendere carico di lei nella sua interezza, ed io, quando mi trovo davanti a qualcuno a cui devo affidare, per forza maggiore, la mia salute, desidererei ricevere da lui questo tipo di messaggio: "non mi importa che tipo di persona sei, non mi importa se il tuo male è una sciocchezza rispetto a cose più gravi che ho visto, non mi importa se sei insopportabile, non mi importa se sei un pazzo isterico...TU in questo momento sei qui davanti a me, e dunque TU, in questo momento, sei la cosa più importante".

Non dovrebbe essere diverso nemmeno per noi, a scuola, coi ragazzi.

Quando un ragazzino si siede di fronte a me ed io devo spiegargli qualcosa, o interrogarlo...beh, in quel momento lui per me *é* la cosa importante, ed è giusto che le mie energie siano lì, interamente.

Ok, ho divagato molto.

Quello che intendo dire è che oggi la medicina non ha cura della gente.

Non c'è interesse per chi sei, per le tue necessità, per le tue ansie, per le tue paure, per la tua persona. Ricordo ancora la rabbia e l'ostilità provata per tutti i medici che sottovalutavano i miei attacchi di ansia di fronte ad un intervento per loro considerato "da nulla". E ricordo ancora il sollievo quando un anestesita mi disse che "era mio diritto avere paura, e se qualcuno non me lo riconosceva, allora stava sbagliando". Ricordo anche che mi sono svegliata con serenità da quell'anestesia...e non mi era successo le due volte precedenti in cui fui operata, benchè l'entità dell'intervento fosse più o meno la stessa.

Lo stato d'animo conta.

La persona conta.

Deve contare perchè non è giusto nè sano altrimenti.

In questo periodo è mio babbo ad essere in ospedale.

E' li da quasi un mese e la distanza dei medici da lui e da noi è disarmante.

Ci ripetono che è un caso serio e che dunque deve essere trattenuto in ospedale...ma in ospedale sta vegetando in un letto, nessuno - a meno che non ci siamo noi familiari - lo aiuta a fare un po' di movimento (benchè non abbia problemi motori), nessuno lo considera...esami continuamente rimandati, mezze risposte, personale scarso e tanta, tanta incuria per il suo umore, che cala ogni giorno.

Non si dovrebbe pensare che *forse* il fatto che un paziente sia sereno, stimolato, motivato, accelererebbe la guarigione? Bisogna sentirselo dire da uomini vissuti migliaia di anni fa che non si cura il corpo senza la mente?

La nostra sanità fa schifo...e non fa schifo solo perchè mancano risorse: fa schifo perchè nessuno ha più veramente cura della gente!

Scusate loo sfogo.

 
 
 

Invalsi: il trionfo dei furbi

Post n°7 pubblicato il 23 Giugno 2011 da Gl3nda

Ho sempre pensato che le prove Invalsi fossero ingiuste. Con le loro domande basate prevalemtemente sulle abilità logiche andavano a premiare coloro che possedevano un certo tipo di intelligenza come dono di natura, andando a svantaggiare quei ragazzi più deboli che tutttavia avevano lavorato con fatica per tre anni.

Mi ero fatta l'idea, insomma, che l'Invalsi premiasse i più furbi.

Ed è proprio così...ma "fortunatamente" non nel modo che credevo.

Quest'anno, di fronte ad una prova che temevano di non saper affrontare e che poteva danneggiare il loro lavoro di tre anni, mi è parso evidente che i ragazzi si siano..."organizzati"! Nella correzione, nonostante l'attenta sorveglianza, era chiaro come il sole che i messaggi erano passati e che i risultati non fotografavano affatto gli alunni, ma erano piuttosto i risultati di un...ottimo lavoro di squadra!

Non dovrei esserne fiera...anzi. Eppure mi viene da ridere: mi fa ridere che quella che viene chiamata "prova oggettiva" fotografi invece la soggettività delle relazioni e la furbizia di un gruppo di tredicenni...

Mi fa ridere di cuore perchè alla fine sono contenta che nessuno dei miei ne abbia avuto uno svantaggio.

Mi fa ridere di amarezza perchè è questo che insegna l'Italia di oggi, in mille situazioni della vita: se non sei capace, fatti furbo che qualcuno che ti dà una spintarella prima o poi lo trovi. E bara più che puoi, perchè il successo arriva fregando.

Mediatate, gente, meditate... =_=

 
 
 

La frase del giorno

Post n°6 pubblicato il 05 Aprile 2011 da Gl3nda

Dalla penna di una mia ex alunna su facebook:


"Se non hai la mente aperta, tieni chiusa anche la bocca!"

 

Dio se sono fiera di essere stata sua insegante!!!

 
 
 

L'epoca delle risposte chiuse

Post n°5 pubblicato il 02 Aprile 2011 da Gl3nda

Una cosa che mi ha fatto arrabbiare recentemente nelle mie litigate con dirigente e con un gruppo di colleghi a lui vicini è stata la differenza che passa - nella mia visione di scuola - tra il generale ed il particolare.

Il mio dirigente insiste molto sull'importanza del lavoro che sta "alle spalle" della lezione in classe: tutto quel lavoro, cioè, che non si fa a contatto con gli studenti: leggasi progettazione, riunioni tra colleghi, programmazioni, tabelle e tabelline per rendere omogenea la valutazione, liste di voci e numeri per la "certificazione delle competenze", curricoli locali e verticali...organizzazione di tutto quell'apparato (che comunemente si chiama POF, parola che ha un suono pesante e grottesco e ne rende l'idea) che viene, in sostanza, *pubblicizzato* e *istituzionalizzato* in vari modi: fatto vedere ai genitori, verbalizzato, tabulato per gioia del ministero e per far vedere che brava istiutuzione siamo...ma che comunque sottrae a noi insegnati ore che spetterebbeo ai ragazzi.

E per ragazzi intendo non *i ragazzi della scuola* ma i *miei* ragazzi: quelli di cui mi è stata data la responsabilità. Perchè sì, i bambini sono tutti uguali, e noi, come adulti, abbiamo dovere di occuparci di tutti: ma siccome esiste un sottogruppo che si chiama "classe" e che dipende in particolare da me, io trovo giusto che la maggior parte delle mie energie, il mio entusiasmo, la mia voglia di lavorare sia per loro.

E quando mi viene detto che preparare un progetto è più importante, a me vengono i brividi sulla schiena. Perchè per me essere insegante vuol dire conoscere i loro nomi, uno per uno: essere contenta se loro sono contenti, essere soddisfatta se imparano qualcosa, e, quando non imparano proprio nulla, essere soddisfatta se comunque loro durante le mie ore stanno bene, sono sereni, e vivono in modo bello questo grosso tempo della vita che passano chiusi dentro un'aula.

Credo che il *pensiero* di un insegnante (ed anche dei medici, in verità, ma non mi allargherò su questo argomento sennò mi ci incazzo...) ogni volta che entra in classe dovrebbe essere: "Bene, io di cose da fare ne ho tante, di pensieri ne ho tanti, e di alunni ne ho avuti tantissimi, in tutti gli anni passati...ma *nel momento in cui sono qui, siete VOI la cosa più importante per me*".

Nella scuola di oggi sta prendendo piede il meccanismo contrario. Il signolo nella sua individualità non conta... Basti vedere come sono impostate le prove invalsi: i ragazzini diventano numeri, le loro risposte consistono nel mettere una crocetta...sempre meno viene chiesto ad un ragazzo di esprimersi, di formualre un ragionamento...men che meno di prendere una posizione.

La prova invalsi ci dice che "solo l'intelligenza logica ha importanza". Sono fatte apposta non solo perchè non conti l'individualità di ognuno, e che non conti il loro impegno, perchè non sono fatte per valutare quanto un bambino si è fatto il mazzo per tre anni, ma solo se riesce ad arrivare in fondo (per sua virtù, non certo per sua fatica e volontà) ad un certo tipo di ragionamento.

L'invalsi è solo un esempio.

Preparando il maledetto progetto di cui alle pagine precedenti, la mia collega ha sottolineato come la commissione che li avrebbe selezionati per il finanziamento prestasse molta attenzione alle "modalità di monitoraggio"...e le modalità di monitoraggio che vanno per la maggiore sono test a crocette, questionari dove si danno punteggi alle attività fatte...non è nemmeno considerata la modalità più ovvia e sana: che una volta terminato un progetto sarebbe onesto chiedere ai ragazzi di dire la loro, di dire cosa è piaciuto, cosa no...cosa vorrebbero cambiare...

Ma sembra quasi che parlare ed ascoltare non siano più di moda.

Ormai siamo nella scuola delle tabelle, delle caselline, e dei test a risposta chiusa.

 
 
 

Le cose che odio

Post n°4 pubblicato il 01 Aprile 2011 da Gl3nda

Odio chi non conosce il "può darsi che io sbagli", chi non sa mettersi nei panni degli altri, chi profetizza verità e certezze.

Odio chi non si accorge quando la persona di fronte a te sta male, o, accorgendosene, fa finta di nulla.

Odio chi mette sempre il generale di fronte al particolare, chi trascura i singoli con l'alibi del pensare in grande, chi non conosce i mezzi toni, chi aggredisce per principio, chi pensa che per farsi sentire si debba alzare la voce.

Odio chi, cambiando posizione e imparando, si dimentica come si stava dall'altro lato della barricata.

Odio chi crede che il rispetto stia nel pronome di cortesia, e che si debbano saper coordinare vestiti e occasioni.

Odio che l'abito faccia il monaco, e che la forma faccia i legami tra la gente.

E odio chi si dimentifca - per pigrizia, per rabbia o per passione - che davanti a noi ci sono comunque altre persone, che meritano di essere rispettate.

 
 
 

A scuola di rivolta?

Post n°3 pubblicato il 30 Marzo 2011 da Gl3nda

<< Vorrei parlarvi di una cosa che tutti sappiamo ma che nessuno sembra avere la spudoratezza di dire: e cioè che il tempo dell'indignazione è passato e chi si indigna già comincia ad annoiarci, comincia a parerci ogni giorno di più l'ultimo difensore di un sistema marcio, di un istema privo di dignità, privo di sostenibilità, privo di credibilità. Noi non ci dobbiamo più indignare, noi dobbiamo insorgere >>

 

Fonte: "A scuola di rivolta"

 
 
 

Sulle pretese dei dirigenti scolastici

Post n°2 pubblicato il 29 Marzo 2011 da Gl3nda

Ecco, ieri dicevamo, appunto...

...

Seguo da un po' di tempo un progetto che viene portato avanti da una rete di scuole. La scadenza per presentarlo è tra pochi giorni. Ovviamente il progetto mi è stato affibbiato due settimane fa...e non per ritardo - stavolta - dell'amministrazione competente, bensì perchè ben due mesi fa si era svolto tra me e il dirigente questo simpatico dialogo.

Io: - mi è arrivato il bando per un progetto in rete...ci sono dei possibili finanziamenti. Che ne devo fare? Vale la pena mobilitarsi per torvare scuole che entrino in rete con noi?

D: - Ora non ho tempo di parlarne. E poi di progetti qui ne abbiamo anche troppi!

DIXIT

Due settimane fa, in quanto contattato dal preside di un'altra scuola, d'improvviso il dirigente s'illumina d'immenso e decide che questo progetto è importantissimo e va fatto *assolutamente*.

Siccome sono un'amante (ohimè) del quieto vivere, non oso replicare e mi metto al lavoro. Tutte le volte che c'è un bisogno e la chiamo vengo ignorata, anzi, la risposta è sempre: "sì, ma tanto è una cosa facile. Un progetto del genere la scula lo ha già, basta dargli una sistemata. Lo potrei fare anche io, ma sicomme la responsabile della materia sei te, vedi di starci un po' dietro"

Ciò che il Dirigente diceva di poter *fare anche lui*, consiste nel "riscrivere il progetto da capo"...ovviamente lui il bando NON lo aveva nemmeno letto! Io e la mia collega dell'altra scuola, per fortuna un'amica, passiamo la giornata di giovedì interamente a lavorare al progetto: entriamo alle 15.00 e usciamo alle 19.00...e abbiamo buttato giù solo l'intelaiatura. La mia collega, che ha esperienza e mi vede in preda all'ansia, si offre di fare da Referente della rete. In fondo l'ha già fatto in molti altri progetti. Meno male.

Passo il venerdì e il lunedì a farmi il mazzo sul progetto (sì, proprio quel "progetto facile" che il dirigente poteva fare anche da solo... o_o ) e stamattina arrivo a scuola e dico alla docente Vicaria: "Vorrei parlare con il Dirigente per due parole..."

Vicaria: "Ah, sì, a proposito. La scuola capofila siamo noi e quindi la referente la fai tu"

Io (cadendo dalle nuvole): "E quando sarebbe stato deciso?"

Vicaria: "Venerdì"

Mpf.

Venerdì.

MA PORCO CAZZO, LAVORO A 'STA COSA DA DUE SETTIMANE, MI FACCIO UN CULO COME UN PANIERE, E TU NEMMENO TI DEGNI DI CHIEDERE IL MIO PARERE PER DECIDERE QUALE RUOLO DEVO ASSUMERMI???

Ecco, così vanno le cose.

E ciò che è triste è che vanno così perchè il dirigente DA' PER SCONTATO che un incarico vada accettato. E' nelle nostre *competenze professionali*, dice. E io vorrei sapere dove sta scritto e sopratutto in base a cosa me lo può imporre.

Ormai, nella mia scuola, e so anche in molte altre, viene preso come assunto che il docente FA QUELLO CHE GLI SI DICE, con la scusa che LA SCUOLA STA CAMBIANDO e bisogna riqualificarci.

Allora, se la scuola cambia ed io docente devo diventaqre anche segretario, amministrativo, assistente sociale, raccoglitore di foglie e foglietti e denaro per le gite, consulente familiare, raccolgietore di schede di valutazione per l'invalsi, eccetera eccetera eccetera...non ha forse senso che insieme alla scuola CAMBI anche lo stipendio?

E non è solo questione di soldi, si badi. E' questione di "riconoscimento". E' questione di veder riconosciuto, apprezzato, avvalorato tutto quello che ogni giorno facciamo senza che ci venga pagato e senza che il mondo fuori si accorga che lo facciamo.

La scuola va avanti sulle spalle di "gente di buona volontà"...un po' come le associazioni assistenziali si reggono sulla carità della gente. Ecco perchè ogni alzata di testa, ogni volta che qualcuno dice "non rientra nei miei doveri" si solleva un polverone. Perchè se ciascun docente si mettesse *davvero* a fare solo ciò che *è in suo dovere*, la scuola italiana crollerebbe come un castello di carte.

 

 

 

 
 
 
 
 

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Un blog di: Gl3nda
Data di creazione: 25/03/2011
 

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