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Mono no aware e periodo Heian

Post n°10 pubblicato il 17 Febbraio 2008 da sentierodisole
 

Quanto segue e’ una lunga citazione da un saggio critico del 1964 di Ivan Morris, Il mondo del Principe Splendente, Adelphi 1984).

L’epoca Heian, al tempo di Murasaki (secoli X – XI), fece ben poco per il progresso intellettuale della societa’ e ancor meno per quello delle tecniche di governo e di organizzazione sociale; ma sara’ sempre ricordata per aver perseguito quel culto della bellezza, nell’arte e nella natura, che ebbe tanta parte nella storia culturale del Giappone e che costituisce probabilmente il suo piu’ grande contributo al mondo intero. Nella capitale (Heian Kyô, oggi Kyôto), la “legge del buon gusto” non si applicava solo alle arti vere e proprie ma a tutto lo stile di vita delle classi superiori. Era un concetto dominante del buddismo Heian, in quanto faceva della religione un’arte e dell’arte una religione. Nelle relazioni amorose essa prescriveva non solo in quale modo gli amanti dovevano scrivere le loro poesie e scambiarsi le lettere, ma perfino le modalita’ precise che l’uomo doveva osservare nel lasciare il letto dell’amante la mattina e nel prendere congedo. Lo “sfrenato estetismo” del tempo si estendeva anche alle normali attivita’ della burocrazia: faceva parte dei doveri dei funzionari l’esecuzione di danze convenzionali, si sceglieva l’Intendente della Polizia imperiale non solo per le sue relazioni familiari ma anche per il suo bell’aspetto.
L’enorme disponibilita’ di tempo libero consentiva ai membri delle classi superiori di dedicarsi a una puntigliosa e continua ricerca del bello. I loro raffinati codici estetici si applicavano ai dettagli piu’ insignificanti, come l’esatta sfumatura di colore del fiore al quale unire una lettera o la precisa gradazione di profumo da usare in una certa occasione. Il gusto dei colori era molto sviluppato e la letteratura del tempo e’ piena di notazioni al riguardo: la neve che cade sulla casacca scarlatta di un messaggero, i pantaloni color prugna di un gentiluomo sullo sfondo verde scuro dei pini. L’arte di accostare i colori negli abiti maschili e femminili era tenuta in gran conto; quando una scrittrice come Murasaki si dilunga sui dettagli dei vestiti indossati dai suoi personaggi (dettagli abbastanza noiosi per il lettore d’oggi) in realta’ vuole indicarci la loro sensibilita’ artistica.
La legge del buon gusto non solo regolava ogni manifestazione della vita fino ai piu’ piccoli dettagli, ma aveva assoluta priorita’ su tutto il resto (salvo la nascita). La sensibilita’ artistica era molto piu’ apprezzata delle qualita’ morali. Nonostante la grande influenza del buddismo, la societa’ Heian nel suo insieme era dominata piu’ dallo stile che dai principi morali; il bell’aspetto contava piu’ della virtu’. L’aggettivo yoki (“buono”) si riferiva anzitutto alla nascita di una persona, ma si applicava anche alla sua bellezza e al suo gusto; non aveva invece alcun riferimento alla sua rettitudine morale. Con tutto il loro discorrere di “cuore” e di “sentimenti”, ci sono momenti in cui questa sopravalutazione del gusto del bello e la virtuale esclusione di ogni interesse per la carita’ velano di un’ombra gelida la gente del mondo di Genji.
La sensibilita’ aveva il sopravvento anche sulla profondita’ di pensiero, visto che l’esperienza estetica era sempre piu’ apprezzata della speculazione astratta. Abbiamo gia’ notato la diffusa mancanza d’interesse per il ragionamento e per gli studi impegnati; i professori confuciani, con tutta la loro erudizione, sono considerati personaggi assurdi e stravaganti perche’ difettano di buon gusto. Il preminente interesse delle classi superiori per il lato estetico della vita permise alla cultura Heian grandi progressi in certe direzioni, ma la fece rimanere incredibilmente arretrata in altre.
Insomma, la “gente buona”, ossia le persone di qualita’, esprimevano le loro emozioni, e addirittura le provavano, solo in termini estetici. La sensibilita’ emotiva era, si’, cio’ che distingueva il vero gentiluomo, purche’ fosse contenuta entro i limiti del codice estetico accettato; raramente degenerava in passione o sentimentalismo incontrollato. I personaggi di Murasaki, anche quando sprofondano nel piu’ straziante dolore per la morte di una persona cara, esprimono i loro sentimenti in eleganti poesie di trentuno sillabe, imperniate su immagini (come la rugiada, i sogni) del piu’ trito vocabolario estetico.
Il tipo di sensibilita’ che al tempo di Murasaki fu tanto rispettato e apprezzato, si riassume nel termine aware, una delle tante parole intraducibili usate per definire l’estetismo giapponese. Nella sua accezione piu’ diffusa era un’interiezione o un aggettivo che si riferiva alla qualita’ emotiva insita negli oggetti, nella gente, nella natura o nell’arte e, per estensione, anche nella reazione interiore di una persona agli aspetti emotivi del mondo esterno. L’uso che se ne fa nella letteratura Heian e’ grandissimo. La parola ricorre nel Genji Monogatari (Storia di Genji) ben 1018 volte, e ha dato luogo a innumerevoli ed erudite disquisizioni sulle varie sfumature del suo significato.
Nella Storia di Genji la parola viene usata normalmente per esprimere il pathos insito nella bellezza del mondo esterno, bellezza ineluttabilmente destinata a svanire insieme a chi la osserva. Le dottrine buddiste sulla evanescenza di tutto cio’ che e’ materia influirono sicuramente su questo particolare significato, ma aware tende a esprimere piu’ l’esperienza emozionale diretta che non il concetto religioso. Aware, in definitiva, non perse mai il suo semplice e originario valore interiettivo di “Ah!”.
La parola appare spesso nella locuzione mono no aware, che corrisponde approssimativamente a lacrimae rerum, il pathos delle cose. Se si percepisce la relazione tra bellezza e tristezza del mondo, allora piu’ acutamente si sente il mono no aware. Lo spettatore sensibile si commuove fino alle lacrime di fronte alla bellezza della natura o al suo materializzarsi nell’arte, non solo perche’ ne subisce tutto l’impeto, ma perche’ essa gli fa prendere piu’ che mai coscienza della effimera durata di ogni cosa vivente in questo mondo. Ogni episodio della Storia di Genji raggiunge il suo culmine emotivo in questo intreccio tra godimento estetico e sofferenza. E cosi’, quando Genji va di notte a trovare in convento l’ex imperatore Reizei, e i due gentiluomini seduti nella veranda discorrono nostalgicamente dei vecchi tempi e delle persone ormai da tempo scomparse mentre un cortigiano suona il flauto accompagnato dai grilli fra i pini e la scena e’ illuminata dalla luna, il senso del mono no aware e’ quasi intollerabile.
Tuttavia questa sensibilita’, per acuta che fosse, era sempre tenuta, come gia’ detto, nei limiti di un preciso codice estetico. Non si trattava di emozione tormentosa e romantica che avrebbe potuto degenerare in incontrollate espressioni di malinconia o di dolore; era piuttosto una sensibilita’ sottile e contenuta, una calma rassegnazione, come si addiceva a un nobile, cosciente della bellezza del mondo ma anche del suo inevitabile destino.
La capacita’ di provare un tal genere di emozione estetica, equivalente a cio’ che in altre societa’ e’ la virtu’ morale, era appannaggio esclusivo delle “persone di qualita’”; chi apparteneva alla classe provinciale o a quella lavoratrice mai avrebbe potuto sperare di possederla (si dubitava che contadini, braccianti, artigiani facessero parte del genere umano). Nondimeno, non era un diritto automatico di chiunque fosse di nobile nascita; molti personaggi della letteratura del tempo, pur di ottima estrazione, vengono inesorabilmente bollati dalla constatazione di non “conoscere” il mono no aware. Queste persone sono “cattive”, indipendentemente dalla loro nascita e perfino dal loro perfetto comportamento formale. Sono compresi in questa categoria coloro che presumono di capire il mono no aware senza realmente sentirlo. Questa falsa sensibilita’ si manifestava come una sorta di mondana “stanchezza di vivere” e divenne molto comune nei secoli successivi, mano a mano che le espressioni di aware si facevano piu’ formalistiche. Il culto della bellezza contribui’ a creare una societa’ affascinante e squisita che, pur con tutte le sue lacune e la sua fatale debolezza, occupera’ sempre un posto importante nella storia della cultura universale. Mentre in gran parte dell’Occidente la vita era a un livello di incredibile rozzezza, in Giappone si fissavano norme di vita, collettiva e individuale, estremamente raffinate; solo con il Rinascimento l’Europa avrebbe conosciuto qualcosa di simile. Genji e Niou, come il Cortegiano del Castiglione, con la loro acuta sensibilita’, la vasta conoscenza delle arti e la loro personale capacita’ di praticarle, le loro maniere squisite e senza affettazione, rappresentarono gli ideali di una classe e di un’epoca. (La possibilita’ per ogni uomo di diventare un gentiluomo e l’importanza attribuita al coraggio e ad altre virtu’ cavalleresche erano pero’ due aspetti del nostro Rinascimento sconosciuti al mondo Heian.) Naturalmente, gli uomini del tempo di Murasaki (compresi molti che vivevano nei Nove Recinti del palazzo imperiale) avevano in realta’ anche abitudini volgari e si abbandonavano spesso a piaceri grossolani, senza tenere in alcun conto le eleganze estetiche ed emotive che stavano, invece, tanto a cuore agli eroi di Murasaki. Tuttavia la raffinatezza e la sensibilita’ che troviamo nel Genji Monogatari (Storia di Genji) di Murasaki Shikibu e nel Makura no soshi (Note del Guanciale) di Sei Shônagon erano valori indiscussi anche per coloro che non erano in grado di raggiungere il livello ideale.


 
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