SERIAL KILLER

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UN UOMO SU UNA MERCEDES SCURA

Post n°11 pubblicato il 01 Aprile 2008 da sciogli_i_cani
Foto di sciogli_i_cani

Giovedì 7 Maggio. Finalmente dopo una serie di complesse indagini, è stato catturato il famigerato serial killer, soprannominato "Il giustiziere". L'uomo fortemente indiziato - il condizionale è d'obbligo - degli omicidi commessi in Liguria, è forse coinvolto in altri omicidi rimasti insoluti, avvenuti in altre regioni Italiane. Si chiama Donato Bilancia ed ha avuto precedenti penali. Possiede una Mercedes scura e una pistola calibro 38.

VENTIMIGLIA - Mercoledì 15 Aprile. Adesso non è più solo un'ipotesi. L'omicidio delle sette prostitute, forse dei dei due metronotte: Candido Randò, Massimino Gualillo, di Elisabetta zoppetti, uccisa a sangue freddo sul treno Genova Venezia e infine di Maria Angela Rubino, nella toilette di una carrozza ferroviaria, scoperto sabato notte a Ventimiglia, è quasi certamente opera di un maniaco. Un assassino che sorprende donne sole sui treni, le blocca e le uccide con un'arma di grosso calibro, probabilmente una Smith Wesson calibro 38 special con proiettili "scamiciati" che servono letteralmente a devastare la parte del corpo dove penetrano. Autentiche, feroci esecuzioni, prima delle quali il killer fa inginocchiare le sue vittime quasi volesse umiliarle, trattarle come oggetti, o forse redimerle dai loro peccati, non senza curarsi freddamente di usare un loro indumento per attutire il colpo. E così, sulla Liguria, ora si allunga decisamente l'ombra del maniaco, come lo avuto a suo tempo la toscana con il "Mostro di Firenze". Impressionanti sono le analogie tra l'omicidio di Ventimiglia quello di una settimana fa, il giorno di Pasqua, sull'Intercity La Spezia - Venezia, con vittima un'infermiera milanese, Elisabetta Zoppetti: delitti "fotocopia", li ha definiti un investigatore. Ma alla mente ora tornano prepotentemente anche molti altri delitti, che negli ultimi mesi hanno insanguinato la Liguria di ponente, sette prostitute uccise sull'asse Genova - Savona: quattro di loro sono state assassinate con un colpo di pistola alla testa ancora la famigerata calibro 38 probabilmente il 9 Marzo, il 18 e il 29 dello stesso mese e infine il 14 Aprile. E il sospetto di un "Serial Killer" avvolge anche il duplice delitto dei due metronotte a Novi Ligure (Alessandria) freddati dal cliente di un viado, Julio Castro detto "Lorena" a sua volta ferito gravemente, e scampato miracolosamente alla morte la notte del 24 marzo. Le prime dichiarazioni degli investigatori sono prudenti: ammettono che la mano che uccide sui treni è la stessa, ma rimandano ad ulteriori accertamenti, perizie tecniche, analisi specifici, per sbilanciarsi sugli omicidi delle prostitute. Ma la realtà e la ragionevole paura di nuovi omicidi che si sono susseguiti in maniera impressionante, impongono risposte immediate. Lo sa il PM di Sanremo, Giovanni Maddaleni, che ha preteso per l'autopsia di Maria Angela Rubino lo stesso medico legale di Verona che ha esaminato Elisabetta Zoppetti, al fine di stabilire in maniera inequivocabile eventuali analogie. Lo sa anche troppo bene Ruggero Perugini dirigente della squadra anti mostro, che a poche ore dal delitto di Ventimiglia era già in Liguria per indagare su questo sconcertante caso, e lo sa bene il questore di Imperia Nicola Cavaliere che ha lanciato un accorato appello alla collaborazione a tutti quelli che sanno o anno visto qualcosa. Sul treno dove è stata uccisa Maria Angela hanno viaggiato, sabato sera, centinaia di persone. Eppure. Nessuno, finora, sembra aver visto o sentito nulla. Non è stato possibile ricostruire nemmeno in quale scompartimento era seduta la ragazza ed il suo biglietto non è stato purtroppo vidimato. Ogni indicazione può essere utile agli investigatori per non precipitare nelle congetture e per non rimanere impigliati negli indizi più labili come il mistero delle borsette delle due vittime dei treni, tutte e due trovate abbandonate negli scompartimenti. Illogico pensare che una donna vada alla toilette di un treno lasciando la borsetta sul sedile. Se è stato l'assassino a lasciarle, perché le avrebbe prese? Forse per firmare in maniera inequivocabile i delitti. Questa e altre mille domande attendono gli inquirenti, e comunque è già partita la grande caccia. Il questore ha ordinato di controllare tutti gli alberghi di Ventimiglia, Bordighera e della fascia costiera. Dalle prime ore di questa mattina sono stati identificati tutti coloro che hanno lasciato le stesse località con treni, autobus, e altri mezzi. L'ipotesi, legata anche al giallo della borsetta, è infatti che l'omicida sarebbe sceso dal treno a Ventimiglia, stazione di arrivo, alle 22.23 di sabato sera. E da quel momento dalla stazione di confine non parte alcun treno fino alla mattina. Per cercare di comprendere le prime mosse dell'assassino è necessario ripercorrere la giornata di Maria - Angela Rùbino, il suo ultimo viaggio ad Albenga per rendere omaggio ad uno zio, morto nell'ospedale di quella cittadina. Il diretto 2888 è partito da Genova Brignole alle 19 ed è arrivato puntuale ad Albenga alle 20.46: è un treno che ferma in tutte le stazioni, un treno di pendolari formato da sei carrozze di prima, tutte declassate. Difficilmente chi vuole raggiungere Ventimiglia da Genova si affida a questo locale che impiega tre ore e mezza, quando con un Intercity si può risparmiare oltre un'ora di tempo, pochi sono poi i viaggiatori che raggiungono la fine corsa a Ventimiglia. Da Albenga a Ventimiglia ci sono quattordici stazioni, quattordici occasioni per l'assassino. L'omicidio può essere avvenuto in un momento qualsiasi fra le 20.46 e le 22.25. e nelle ultime stazioni può essere avvenuto senza testimoni, in un treno quasi vuoto. A Ventimiglia il treno si svuota e rimane fermo sul binario 6 in attesa degli addetti alla pulizia degli scompartimenti. Quella sera arrivano in due: Carmelo Matroni e Antonello Nicodemi, intorno alle 22,45. Passano pochi minuti prima che si fermino davanti alla porta chiusa della toilette e decidano di aprirla, e scoprano la ragazza assassinata. Per ora questi omicidi sono stati eseguiti da un Killer inafferrabile, ma con la collaborazione di tutti forse riusciremo a ricostruire e far quadrare tutti i tasselli di questa tragedia. Gli inquirenti anno diffuso anche un loro Identikit, integrato subito dopo pochi giorni di indagini e testimonianze, da un secondo Identikit per ora quello ufficiale, che forse può aiutare chiunque lo abbia incontrato a riconoscerlo e denunciarlo. (FONTE- SERIAL KILLER)

 
 
 

UNA DELLE CASE DI ALBERT FISH, QUELLO DEL POST PRECEDENTE...

Post n°10 pubblicato il 25 Marzo 2008 da sciogli_i_cani
Foto di sciogli_i_cani

Senza parole.

 
 
 

QUESTO LE AVEVA PROPRIO TUTTE.... (IN FONDO AL POST C'E' UN SUO SCRITTO, DA NON PERDERE...)

Post n°9 pubblicato il 17 Marzo 2008 da sciogli_i_cani
Foto di sciogli_i_cani

Albert Fish è sicuramente stato uno dei peggiori Serial Killer nella storia del crimine. Cannibale, sadomasochista, pedofilo, pervertito sessuale, per lui non esistevano limiti. Conosciuto come il “Vampiro di Brooklyn” adescava bambini a New York durante il periodo della Depressione. Anziano ma ancora fisicamente in forma, Fish stravolse i racconti della Bibbia estrapolando le storie di dolore, punizione, espiazione e sofferenza alla lettera, sopprimendo le sue vittime con la violenza e il sacrificio. Come penitenza per i peccati commessi, si inflisse torture d’ogni genere utilizzando un gatto a nove code e un asse ricoperto di borchie. Ma approfondiamo meglio la sua vita. Albert Fish nacque a Washington, da Randall Fish (1795-1875) di Kennebec, Maine, e da sua moglie Ellen (1838-?), irlandese. Disse di essere stato chiamato dopo molto tempo dopo sua nascita Hamilton Fish. Suo padre, Randall Fish, era 43 anni più vecchio della madre. Fish era il più giovane dei figli e aveva tre fratelli viventi: Walter, Annie, e Edwin Fish. Desiderò essere chiamato "Albert" dopo la morte di uno di questi, e per sfuggire al soprannome 'Ham and Eggs' (pancetta e uova) che gli fu dato in un orfanotrofio nel quale passò molti anni della sua triste infanzia. Il padre, Randall Fish, era capitano di battelli fluviali, ma nel 1870 svolse la professione di fabbricante di fertilizzanti. L’uomo morì per un attacco di cuore nel 1875 a Washington. Sua madre, incapace di prendersi cura di Hamilton (Albert), lo mise in un orfanotrofio, dove fu frequentemente frustato e bastonato, scoprendo infine che provava piacere nel dolore fisico. Le percosse gli avrebbero spesso procurato erezioni, cosa per la quale gli altri orfani lo prendevano in giro. Nel 1879, sua madre ottenne un impiego pubblico e fu in grado di prendersi nuovamente cura di lui. Nel 1882, all'età di dodici anni, iniziò una relazione omosessuale, con un garzone telegrafista. In gioventù Fish iniziò a praticare la coprofagia (ingestione di feci e urine). Cominciò a frequentare bagni pubblici dove poteva guardare ragazzi svestiti, trascorrendovi fino a intere giornate nel fine settimana. Nel 1890, si trasferì a New York City e diventò un gigolo ("prostituta maschio" come lui stesso amava definirsi). Disse anche di aver iniziato a violentare ragazzi, un crimine che continuò a commettere anche quando sua madre gli combinò un matrimonio. Nel 1898 sposò una donna di nove anni più giovane. Ebbero sei bambini: Albert, Anna, Gertrude, Eugene, John, ed Henry Fish. Fu arrestato per appropriazione indebita e condannato all'incarcerazione a Sing Sing nel 1903. Mentre era in prigione ebbe frequenti rapporti sessuali con altri detenuti. Nel gennaio del 1917 sua moglie lo lasciò per John Straube, un tuttofare pensionante dalla famiglia. Come conseguenza di questa umiliazione, Fish cominciò a sentire delle voci; una volta si rinvolse in un tappeto, spiegando che stava seguendo le istruzioni di San Giovanni. Riferì di aver vagabondato, nel 1898, da un capo all'altro degli Stati Uniti, lavorando come imbianchino. È in questo periodo che, a quanto disse, molestò più di 100 bambini, la maggior parte sotto i sei anni. Più tardi raccontò di un episodio singolare: un suo amante lo portò in un museo di statue di cera, dove lui rimase affascinato da un plastico raffigurante una sezione longitudinale di un pene; poco tempo dopo, sviluppò un morboso interesse per la castrazione. Durante una relazione con un uomo mentalmente ritardato, tentò di evirarlo dopo averlo legato, ma l'uomo fuggì spaventato. Fish allora intensificò le sue visite ai bordelli dove poteva ottenere di essere frustato e bastonato. Albert Fish commise il suo primo crimine su Thomas Bedden (1886-1910), a Wilmington, Delaware nel 1910. La prima aggressione, invece, fu l'accoltellamento di un ragazzo mentalmente ritardato intorno al 1919 a Georgetown, Virginia. L'11 Luglio del 1924 incontrò Beatrice Kiell, quattro anni, che giocava da sola nella fattoria dei suoi genitori a Staten Island. Fish gli offrì delle monete per andare ad aiutarlo a cercare piante di rabarbaro nei campi vicini. La bambina stava per lasciare la fattoria quando sua madre scacciò via l’uomo. Lui se ne andò, ma ritornò più tardi al granaio dei Kiell dove provò a passare la notte prima di essere scoperto e scacciato da Hans Kiel. Nel 1925, raggiunti i 55 anni, Fish comincia il suo cammino verso la follia più pura. Diventa estremamente masochista (si infila aghi nello scroto, incendia pezzi di cotone e se li infila nell'ano, si fa frustare e sculacciare a sangue dalle prostitute e persino dai propri figli). Comincia anche ad avere allucinazioni a sfondo mistico. Angeli e Santi compaiono davanti agli occhi di Fish, Cristo in persona lo incita a purificare i peccati del mondo tramite la punizione fisica e il sacrificio umano. L’uomo comincia anche a crearsi mentalmente un’idea malata della Bibbia, fino a convincersi che in essa compaiano citazioni del tipo: “Felice è colui che rapisce i bambini e spacca loro le teste con delle pietre.” Alla fine è Dio stesso a comparirgli in sogno e a ordinargli di torturare e castrare tutti i bambini che può. Prima di cominciare la storia di Albert Fish come serial killer, è interessante notare come la follia e i problemi mentali siano stati quasi una costante nella sua famiglia. Lo zio paterno di soffriva di una psicosi caratterizzata da allucinazioni di carattere religioso. Morì in ospedale, così come uno dei suoi tanti fratelli. Un' altra zia paterna venne rinchiusa in manicomio e schedata come “totalmente matta”. Il fratello più grande era affetto da alcolismo cronico, mentre quello minore era frenastenico e morì di idrocefalia. Una sua sorella venne internata in ospedale psichiatrico per una "non ben definita malattia mentale" e la madre soffriva periodicamente di allucinazioni visive e uditive. Ma veniamo agli omicidi. Edward Budd è un 18enne intraprendente, forte e ansioso di lavorare. Eddie vive però in una famiglia molto povera: madre, padre e cinque figli, intrappolati in una lurida baracca di periferia. Desideroso di poter evadere dalla terribile situazione in cui vive, il 25 Maggio 1928 fa pubblicare un annuncio sull'edizione domenicale del New York World che così recita: “Giovane 18enne, cerca lavoro nel paese. Edward Budd, 406 West 15th Street.” È un annuncio scarno, privo di effetto e difficilmente richiamerà l’attenzione di qualcuno. Eppure il lunedì seguente, 28 Maggio 1928, Delia, la madre di Edward, apre la porta a un anziano visitatore. L'uomo si presenta come Frank Howard, un coltivatore di Farmingdale, nel Long Island. E' venuto per un colloquio di lavoro. Mentre i due aspettano l'arrivo del ragazzo, Delia ha l'opportunità di studiarlo. Dal suo volto traspare gentilezza, i capelli sono ordinati e grigi, così come i grandi baffi. Sembra proprio la persona ideale al quale affidare i propri figli. Frank Howard nel frattempo le racconta la propria vita: è stato decoratore di interni per molti anni e, arrivato alla pensione, si è comprato una fattoria. Ha sei figli, tutti cresciuti da lui, poiché la moglie lo ha abbandonato 10 anni prima. Purtroppo un paio dei braccianti sono ormai anziani e Frank ha bisogno di rincalzi. Per questo, dopo aver letto l'annuncio di Edward, si è presentato. Proprio in quel momento entrano in casa Eddie e un suo amico, Willie. Frank Howard rivolge qualche domanda ai due, misura la loro forza e alla fine propone a entrambi 15$ a settimana. E' una paga grandiosa e i due giovani accettano senza pensarci sopra due volte. Il 3 Giugno 1928, alle 11 di mattina, Frank Howard si ripresenta a casa Budd, per prendere con sé i due nuovi operai. Ha portato in regalo fragole e una forma di formaggio cremoso appena fatto, così Delia per ricambiare il favore propone al gentile ospite di fermarsi a pranzo con loro. Mentre Frank Howard e il padre di Edward parlano amichevolmente a tavola, si apre una porta e compare davanti ai loro occhi una bella bambina di 10 anni che canticchia una canzone. Si chiama Gracie, ha i capelli e gli occhi castani molto scuri, contrapposti a una pelle chiara e a delle labbra rosa pallido. Frank Howard è colpito da questa bambina e non lo nasconde affatto. Le fa molti complimenti e le regala qualche soldo per comprare dolciumi, quindi la invita con lui alla festa di compleanno della sua nipotina. Delia Budd è abbastanza perplessa, ma l'anziano e gentile ospite riesce comunque a convincerla: la festa si tiene in un appartamento della 137esima strada, e l'uomo promette che Gracie sarà di nuovo a casa per le 21. Da brava madre Delia aiuta Gracie a indossare il cappotto buono, la accompagna alla porta e la segue con lo sguardo mentre si allontana lungo la strada con il gentile Frank Howard. Non li vedrà mai più. Quella sarà una notte insonne per la famiglia Budd: nessuna notizia di Howard, nessun segno della piccola Gracie. La mattina seguente Edward viene mandato alla stazione di polizia per denunciare la scomparsa. Non ci mette molto la polizia ad accertare che tutto ciò che aveva raccontato l'uomo era falso: non esiste nessun appartamento, non esiste nessuna fattoria, non esiste nessun Frank Howard. Il 7 Giugno vengono diffusi in tutta New York ben 1000 volantini con la foto della bambina e una descrizione sommaria dell'uomo che l'ha portata via. Più di 20 detective vengono assegnati al caso, ma nessuna segnalazione utile arriva tra le loro mani, solo una serie infinita di falsi allarmi. Gli unici indizi sono la grafia dell'uomo, indice di una istruzione abbastanza elevata, e l'indirizzo del negozio in cui è stato comprato il formaggio, un baracchino a East Harlem. La polizia di New York ricorda un caso simile, risalente a un anno prima. È l'11 Febbraio 1927, un bambino di quattro anni, Billy Gaffney, e un suo amico di tre anni, stanno giocando nel cortile davanti casa. Li controlla attentamente un ragazzino di dodici anni, ma è presto costretto ad assentarsi, richiamato dal pianto della sorella neonata. Al suo ritorno il ragazzo non li trova più, perciò corre ad avvertire il padre. Dopo una disperata ricerca, uno dei due viene ritrovato sul tetto, ma non c'è traccia di Billy Gaffney. Gli investigatori cominciano a cercarlo in lungo e in largo per i quartieri limitrofi. Viene dragato un fiumiciattolo e delle squadre di ricerca perquisiscono alcuni cantieri edili. Non si trova in nessuno di questi posti. Il piccolo testimone parla di un vecchio molto snello, con capelli e baffi grigi. La polizia ne prende atto, ma non pensa a correlare questa descrizione a un avvenimento accaduto qualche anno prima. È una mattina del 1924, di Luglio per la precisione. Francis McDonnell, 8 anni, sta giocando sul portico di fronte a casa, vicino ai boschi di Charlton, a Staten Island. La madre gli è seduta vicino, allatta una neonata, quando nota un vecchio vagabondo, sporco e malridotto, che passeggia gesticolando e borbottando con se stesso. Quel pomeriggio lo stesso uomo avvicina Francis mentre gioca a palla con quattro amici e lo porta via. Nessuno nota la scomparsa del bambino fino a sera, quando Francis non si presenta a cena. Suo padre, un poliziotto, organizza immediatamente una ricerca nei boschi limitrofi e in poche ore il ragazzino viene ritrovato. Francis è sdraiato sotto dei rami, con i vestiti strappati, strangolato con le proprie bretelle e preso a bastonate. L'aggressione è stata talmente violenta che le autorità escludono sia stato il vecchio vagabondo avvistato da più persone. Forse aveva un complice. Nonostante gli sforzi massicci della polizia e della comunità, nessuno riesce a rintracciare questo misterioso “uomo grigio”. Facciamo un salto avanti nel tempo, è il Novembre del 1934, il caso Budd è ancora aperto, ma nessuno si aspetta che venga mai risolto. Non la pensa così William F. King, l'unico investigatore a cui il caso è ancora assegnato. Il 2 Novembre 1934, il detective prova una mossa estrema e fa pubblicare a un amico giornalista, Walter Winchell, un articoletto che recita: “Il mistero del rapimento di Gracie Budd, otto anni, risalente a sei anni fa, sta per essere risolto dagli investigatori.” Passano solo dieci giorni e Delia Budd riceve una lettera inquietante. Per sua fortuna, essendo analfabeta, la donna non riuscirà mai a interpretarla. La legge invece Edward Budd, che corre immediatamente alla polizia. Lo scritto recita così:

“Cara signora Budd, nel 1894 un mio amico navigò come marinaio sullo Streamer Tacoma, del Capt. John Davis. Navigarono da San Francisco a Hong Kong. All'arrivo scese con altri due e andarono a ubriacarsi. Al loro ritorno la barca era partita. Era un periodo di carestia per la Cina. Qualsiasi tipo di carne costava da 1 a 3 dollari per libbra. La sofferenza era così grande che i più poveri misero in vendita i propri figli sotto i dodici anni per non morire di fame. I ragazzi di quattordici anni non erano per niente al sicuro da soli in mezzo alla strada. Sarebbe potuto andare in un qualsiasi negozio e richiedere una fetta di carne. Gli avrebbero mostrato il corpo di un ragazzo o una ragazza nudi chiedendogli quale parte volesse. Quella posteriore, che è quella più dolce del corpo, veniva venduta a caro prezzo come le costolette. John, avendo passato tanto tempo da quelle parti, ha imparato ad apprezzare la carne umana. Tornato a New York rapì due ragazzini di 7 e 11 anni, li spogliò e li chiuse in un armadio. Durante il giorno li torturava e li sculacciava a lungo in modo da renderne la carne più tenera. Per primo uccise il ragazzo di 11 anni perché aveva il sedere più grasso e carnoso. Tutto di lui fu cucinato e mangiato, eccetto testa ossa e intestini. Il bimbo più piccolo ha fatto una fine molto simile. In quel periodo io ero un vicino di John. Mi parlò così spesso di come fosse buona la carne umana che decisi che dovevo assolutamente assaggiarla. Domenica 3 Giugno 1928, ero a pranzo da Lei. Gracie si sedette nel mio grembo e mi schioccò un bacio. In quel momento capii che dovevo assolutamente mangiarla. Utilizzai la scusa di doverla portare a una festa e lei acconsentì. Invece io l'ho portata in una casa vuota a Westchester, scelta in precedenza. La lasciai a raccogliere fiori ed entrai a strapparmi via tutti i vestiti. Non avevo nessuna intenzione di macchiarli con il sangue della bambina. Quando tutto era pronto, andai alla finestra e la chiamai. Poi mi nascosi in un armadio. Quando lei mi vide del tutto nudo cominciò a piangere e provò a scappare di corsa sulle scale. Io l'afferrai e lei mi minacciò che avrebbe detto tutto alla sua mamma. Per prima cosa l'ho denudata, mentre lei mi calciava, mi mordeva e mi graffiava. L’ho strangolata a morte e l’ho tagliata a piccoli pezzi in modo da portarla comodamente a casa mia. L'ho cucinata e mangiata. Come era dolce e morbido il suo sederino che ho arrostito al forno! Mi ci sono voluti nove giorni per mangiarla interamente. Non si preoccupi, non l'ho violentata. È morta vergine come volevo che avvenisse.”

Nessuno ci vuole credere, quella lettera è troppo folle, troppo spaventosa… eppure, purtroppo, le indicazioni fornite sono abbastanza complete e inoltre la scrittura è la stessa che compare su quelle che Frank Howard aveva mandato famiglia Budd sei anni prima. Per fortuna il pazzo omicida ha compiuto un grave errore: la busta porta con sé un importante indizio, un piccolo emblema esagonale, con le iniziali: N.Y.P.C.B.A. Esse stanno per “New York Private Chauffeur's Benevolent Association”. Gli investigatori decidono così di sottoporre tutti i membri di questa associazione a una prova di scrittura, ma nessuno pare essere il colpevole. Quando le indagini stanno nuovamente per cadere nel vuoto, un giovane custode confessa di aver rubato di nascosto un paio di fogli e buste e di averli dimenticati in una vecchia casa, al 200 East della 52nd Street. La padrona dell’edificio viene prontamente interrogata e non ha dubbi a riconoscere nella descrizione di Frank Howard un anziano signore che ha soggiornato lì negli ultimi tre mesi. Si faceva chiamare Albert H. Fish e ha lasciato l'appartamento da appena due giorni. L'uomo attendeva una lettera ma si era dovuto allontanare all'improvviso, quasi come spaventato da qualcosa. Ancora una volta il serial killer era sfuggito alla giustizia, ma per lui il tempo stava scadendo. Il 13 Dicembre 1934 la donna chiama il Detective King perché ci sono novità importanti: Albert Fish è tornato nell’appartamento alla ricerca della famosa lettera che aspettava. Quando la polizia fa irruzione nella casa lo trova comodamente seduto a bere una tazza di tè. All’improvviso l’uomo estrae una lama di rasoio dalla propria tasca, sperando di intimidire le forze dell'ordine. King, infuriato, lo afferra saldamente, gli torce la mano ed esclama trionfante: “Finalmente ti ho preso!” Le sue ultime parole: "Ho iniziato a cibarmi di carne umana e ad apprezzarne il sapore molti anni fa, durante la carestia in Cina". Poco prima della sua esecuzione il killer disse: "Quanto saranno eccitanti le scosse elettriche" e "La suprema scossa è l'unica cosa che non ho ancora provato"; aiutando il boia a fissare gli elettrodi alla sua gamba.

Ciò che io faccio è giusto, altrimenti Dio avrebbe mandato un angelo a fermare la mia mano, come fece a suo tempo con il profeta Abramo.” (Albert Hamilton Fish)

(FONTE - SERIAL KILLER)

 
 
 

ANCHE QUI UNA COOPERATIVA, MA UN VOLTO E UN NOME DI RIFERIMENTO LI ABBIAMO...

Post n°8 pubblicato il 12 Marzo 2008 da sciogli_i_cani
Foto di sciogli_i_cani

Il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarava guerra all'impero Austro - Ungarico. a capo dell'esercito, il grande stratega generale Cadorna, che dispose su una linea di 600km i suoi battaglioni, e comincio' la sua guerra di trincea, dove fanti di 27 classi (dai 18 anni in su) strappati alle terre e ai pascoli, vennero costretti ad avanzare contro il fronte nemico a colpi di cariche disperate. lungo la linea dell'isonzo si combatterono cosi' ben 12 battaglie. in 41 mesi. per i 5 milioni e mezzo di arruolati la prospettiva, in quel tempo, fu o la morte probabile nello scontro col nemico (nemico del re, ovviamente) oppure la certa fine sotto il fuoco dei carabinieri, schierati in retroguardia e pronti a sterminare i fanti che avessero osato indietreggiare. questa tecnica geniale consenti' a Cadorna di vincere la guerra (o forse non fu proprio questa tecnica...) e costo' alla truppa italiana appena 689.000 morti sul campo e oltre un milione e mezzo di mutilati e feriti.  (fonte - al_pessimo_esempio)

 
 
 

UNO SOLO O UNA COOPERATIVA...? (COPPIETTE A FIRENZE...)

Post n°7 pubblicato il 11 Marzo 2008 da sciogli_i_cani

Il mistero del "mostro di Firenze", il killer maniacale (o i killer) delle coppiette, appare, a distanza di tanti anni, sempre più oscuro e contorto. Il settimanale "Panorama" ha annunciato clamorosi sviluppi su questa infernale catena di delitti, chiamando in causa il magistrato Pier Luigi Vigna. Un testimone lo accuserebbe di aver trattato una sorta di copertura con la "banda dei sardi", implicata nelle indagini sul "mostro" dal 1982. Un racconto credibile o l'ennesimo polverone? Secondo questo testimone segreto Giuseppe Barrui - oltre a essere implicato direttamente nei due duplici omicidi del 1981 - nel 1992 avrebbe messo il proiettile nell'orto di Pietro Pacciani per incastrarlo. Giuseppe Barrui è morto a Pisa tre anni fa, nel 1998. E’ stata raccolta la testimonianza di Giovanni Calamosca, che vive in località Caburaccia, nell'Appennino Tosco Emiliano. Quest'uomo conosce bene la "banda dei sardi". Nel 1997 raccontò a Michele Giuttari, capo della squadra mobile fiorentina, che Francesco Vinci, trovato carbonizzato nel 1993 nella sua auto insieme al pastore Angelo Vargiu, gli aveva confessato di aver ucciso a Signa nel 1968 Barbara Locci e Angelo Lo Bianco con la Beretta calibro 22 che sarebbe poi passata di mano. Con questa pistola sono stati compiuti i sette duplici omicidi del "mostro". Calamosca, finito in carcere negli anni Ottanta per sequestro di persona, fu anche sospettato di essere proprio lui il "Mostro di Firenze". Di seguito, il testo integrale dell'intervista. E’ ormai diventato quasi un luogo comune: di mostruoso a Firenze, dal 1968 ad oggi, non ci sono stati solo i delitti del mostro (o dei mostri come ha fin qui stabilito la giustizia). Se possibile ancora più mostruoso è stato il modo in cui sono state condotte le inchieste sugli otto duplici omicidi che si sono succeduti in un arco di tempo compreso tra il 1968 e il 1985. Con il risultato che ancora oggi è difficile trovare qualcuno in Italia che creda davvero che il caso del "mostro di Firenze" sia un caso risolto. Nei documenti che pubblichiamo qui sotto cerchiamo di spiegare cosa è successo attorno a Firenze in otto notti di novilunio. Ma soprattutto cosa è accaduto a investigatori e magistrati che del sangue innocente - che in quelle otto notti fu versato - furono chiamati ad occuparsi. Questa, in dettaglio, l'impressionante serie di delitti:

21 Agosto 1968: L'omicidio di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci.
La notte del 21 Agosto 1968, all'interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca posteggiata presso una strada sterrata vicino al cimitero di Signa, vengono assassinati Antonio Lo Bianco, muratore siciliano di 29 anni, sposato e padre di tre figli e Barbara Locci, casalinga di 32 anni, di origini sarde. I due erano amanti, la donna era sposata con Stefano Mele, un manovale sardo emigrato in Toscana alcuni anni prima. Al momento dell'aggressione i due sono intenti in preliminari amorosi. Sul sedile posteriore dorme Natalino Mele, di 6 anni, figlio di Barbara Locci e Stefano Mele. L'assassino si avvicina all'auto ferma ed esplode complessivamente otto colpi da distanza ravvicinata, quattro colpiscono la donna e quattro l'uomo, la morte sopravverrà per le emorragie seguenti alle ferite inferte. Verranno repertati otto bossoli di cartucce calibro 22 Long Rifle Winchester serie H (ad indicare la lettera punzonata sul fondo dei bossoli). Natalino Mele si risveglia al primo colpo esploso, ma non sarà mai in grado di asserire con certezza di aver visto chi aveva in mano la pistola. Qualcuno lo caricherà in spalle subito dopo il delitto e lo condurrà attraverso la campagna, cantandogli "La tramontana", una canzone molto di moda quell'estate, fino a lasciarlo in via Vingone, a due chilometri di distanza, davanti ad un casolare nel comune di Campi Bisenzio. Il padrone di casa viene svegliato attorno alle due di notte dal bambino che gli dirà: "aprimi la porta che ho sonno e ho il babbo malato a letto. Dopo mi accompagni a casa, perché c'è la mi' mamma e lo zio che sono morti in macchina". Le indagini conducono inesorabilmente al marito della donna, Stefano Mele, 49enne manovale originario di Cagliari, che si sospetta possa aver commesso il delitto per gelosia. Questo elemento è tuttavia reso poco plausibile dal fatto che lo stesso Stefano Mele aveva più volte in passato esternato un temperamento decisamente succube, a esempio ospitando in casa sua per diverso tempo Salvatore Vinci, suo amico e amante della moglie, Barbara Locci, che peraltro non era nuova a comportamenti promiscui, al punto di venir soprannominata in paese "l'ape regina". Inoltre una perizia psichiatrica accerterà che l'uomo è affetto da ritardo mentale, tanto che in sede processuale gli sarà riconosciuta la seminfermità di mente. In ogni modo Stefano Mele, dopo aver dapprima negato, poi coinvolto altre persone, ammette e confessa di aver commesso il delitto; viene condannato a 16 anni di carcere. Resta tuttavia il mistero della pistola, la Beretta calibro 22 Long Rifle che Stefano Mele dichiara di aver "gettato via" dopo aver commesso il delitto, ma che non viene trovata dai carabinieri nelle zone circostanti al luogo del delitto.

14 Settembre 1974: L'omicidio di Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini.
Il 15 Settembre 1974 ha luogo il secondo duplice omicidio di apparente natura maniacale; Pasquale Gentilcore di 19 anni e Stefania Pettini di 18 vengono uccisi in uno spiazzo presso il fiume Sieve a Sagginale di Borgo San Lorenzo. La coppia aveva fatto tappa presso la discoteca "Teen Club" qualche momento prima di appartarsi a bordo della Fiat 127 blu del ragazzo. Pasquale Gentilcore, seduto al posto di guida, viene raggiunto da cinque colpi esplosi da una Beretta calibro 22 Long Rifle, la stessa utilizzata nel delitto del 1968; i colpi mortali arrivano dal lato sinistro della 127. La ragazza viene raggiunta da tre colpi che tuttavia non la uccidono; viene trascinata fuori dall'auto ancora viva, e uccisa a coltellate (l'autopsia permetterà di contarne ben 97). Successivamente l'omicida penetra la vagina della ragazza con un tralcio di vite; particolare questo che, anni dopo, farà pensare ad un possibile movente esoterico, ma che può anche essere interpretato come un segno di sfregio da parte dell'assassino; considerato che il luogo del delitto era posto in prossimità di alcune piante di vite, è comunque possibile ipotizzare che il gesto non fosse premeditato. Prima di lasciare il luogo l'omicida colpisce con il coltello anche il corpo esanime di Pasquale. In occasione di questo delitto, scoperto la mattina seguente da un contadino che abitava e lavorava da quelle parti, vengono ritrovati, sparsi sul terreno, gli oggetti contenuti nella borsetta della ragazza. La borsa verrà invece ritrovata in un luogo poco distante in seguito ad una telefonata anonima. Pare che, il pomeriggio prima di essere uccisa, Stefania avesse confidato ad un'amica di aver fatto uno "strano incontro" con una persona poco piacevole. In ogni caso la ragazza non fu la sola, tra le vittime del maniaco, ad aver lamentato molestie da parte di qualcuno. Qualche anno dopo i quotidiani tornarono a parlare del caso dopo che la tomba di Stefania (sepolta assieme al fidanzato, nel cimitero di Borgo San Lorenzo) fu manomessa e danneggiata da ignoti.

6 Giugno 1981: L'omicidio di Giovanni Foggi e Carmela Di Nuccio.
Il terzo dei duplici omicidi viene commesso il 7 Giugno nei pressi di Mosciano di Scandicci. Le vittime sono Giovanni Foggi, 30enne e la sua ragazza, Carmela De Nuccio, di 21 anni. I due erano fidanzati da pochi mesi e programmavano di sposarsi nell'immediato futuro. La sera del delitto, un sabato, i due cenano a casa dei genitori di Carmela, poi escono per una passeggiata e si appartano con l'auto, una Fiat Ritmo color rame, in una stradina sterrata, sulle colline di Roveta, non lontano dalla discoteca "Anastasia", in una zona frequentata da coppiette e da guardoni. Giovanni viene raggiunto da cinque colpi di pistola esplosi attraverso il finestrino anteriore sinistro della vettura. Altri tre proiettili colpiscono Carmela; i tre bossoli non verranno tuttavia rinvenuti dalle forze dell'ordine. La ragazza viene tirata fuori dalla macchina e trascinata in un fosso poco distante, dove le verranno recisi i jeans e, per mezzo di tre precisi fendenti, le verrà asportato il pube. Anche in quest'occasione l'omicida, presumibilmente prima di lasciare il luogo del delitto, colpisce con il coltello il corpo esanime del ragazzo. I corpi dei due giovani saranno rinvenuti il mattino dopo. L'uomo è ancora a bordo dell'auto, come nel delitto del 1974. Anche in occasione di questo delitto le armi usate sono la Beretta 22 e il coltello, e anche in questa occasione si verifica accanimento sui cadaveri, soprattutto su quello della donna. Inoltre la borsetta della ragazza viene rinvenuta poco distante, rovesciata in terra come nel delitto avvenuto sette anni prima.

22 Ottobre 1981: L'omicidio di Stefano Baldi e Susanna Cambi.
Il 22 Ottobre 1981, a soli quattro mesi di distanza dal precedente omicidio, a Travalle di Calenzano vicino a Prato, in località "Le Bartoline", lungo una strada sterrata che attraversa un campo, a poca distanza da un casolare abbandonato, vengono uccisi Stefano Baldi di 26 anni, operaio tessile di Calenzano e Susanna Cambi commessa di 24 anni, sorpresi durante i preliminari amorosi all'interno di una Golf nera. La ragazza viene raggiunta e uccisa da cinque colpi, il ragazzo viene invece colpito quattro volte. I proiettili sono marca Winchester serie H, sparati dalla stessa Beretta calibro 22. In seguito verranno repertati solo 7 bossoli dei 9 complessivi che si sarebbero dovuti rinvenire. In questo caso l'omicida, per raggiungere la ragazza e compiere l'escissione delle parti intime, è costretto ad estrarre dall'auto anche il corpo di Stefano. Il corpo della ragazza verrà trovato ad una decina di metri dall'auto, in un piccolo canale, con la maglia sollevata fino al collo. Il seno sinistro presenta gravi ferite inferte con arma bianca. Anche in questo caso verranno ritrovati gli oggetti contenuti nella borsetta della vittima femminile, sparsi nelle zone circostanti il luogo del delitto. Anche il corpo di Stefano Cambi presenta ferite da arma da taglio, almeno quattro di cui tre alla schiena. Questo duplice omicidio è l'unico della serie a non essere stato commesso nel periodo estivo; molti hanno quindi avanzato l'ipotesi che sia stato commesso con la deliberata finalità di provocare la seguente scarcerazione di Vincenzo Spalletti, e nel contempo di comunicare che il colpevole era ancora libero. Il giorno successivo al delitto, prima del rinvenimento dei corpi, un uomo telefonò alla zia di Susanna (un indirizzo che quasi nessuno, nemmeno tra gli amici della giovane conosceva, perché provvisorio) chiedendo di parlare con la madre della giovane. A causa di un guasto sulla linea tuttavia, la comunicazione venne interrotta subito. Si tratta di un particolare decisamente misterioso, considerato che il numero di telefono, appartenete a un indirizzo nuovo, era provvisorio e quindi nessuno avrebbe dovuto conoscerlo. Secondo quando sostenuto dall'avvocato Nino Filastò, inoltre, poco prima del delitto Susanna Cambi avrebbe fatto capire alla madre di essere pedinata da qualcuno.

19 Giugno 1982: L'omicidio di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini.
La notte del 19 Giugno 1982, a Baccaiano di Montespertoli vengono uccisi Paolo Mainardi, operaio di 22 anni, e Antonella Migliorini di 19. I due giovani - soprannominati dagli amici "Vinavil" perché inseparabili - erano appartati a bordo di una piccola Seat 127, in uno slargo presente sulla strada Virginio Nuova, poco trafficata considerata l'ora tarda. L'assassino sopraggiunge favorito dall'oscurità ed esplode alcuni colpi verso la coppia; Paolo viene solo ferito e riesce a mettere in moto l'auto ed inserire la retromarcia. Probabilmente a causa della concitazione del momento Paolo non è in grado di controllare l'auto che attraversa trasversalmente la strada e resta poi incastrata nella proda sul lato opposto. A questo punto l'assassino spara contro i fari anteriori dell'auto e colpisce a morte i due giovani. Secondo la versione tuttora condivisa dai più e ammessa al processo, l'assassino in seguito sfilerà le chiavi dal quadro d'accensione della vettura e le getterà lontano, presumibilmente in segno di spregio. Questo delitto si differenzia dai precedenti per almeno due motivi; innanzitutto il luogo in cui avviene l'aggressione non è appartato; a pochi chilometri di distanza, nel paese di Cerbaia è in corso la festa del Santo patrono, dove si sono diretti alcuni amici della coppia. In secondo luogo l'omicida, per la prima volta, non esegue le escissioni dei feticci e non ha il tempo materiale per infierire sui cadaveri, probabilmente a causa dei rischi che questa operazione avrebbe comportato, considerato che la macchina era visibilmente disposta in modo innaturale sulla strada. Il delitto sarà infatti scoperto pochissimo dopo da una vettura sopraggiunta nel frattempo. Antonella è morta, Paolo respira ancora e viene immediatamente trasportato al vicino ospedale di Empoli, dove muore il mattino seguente senza riprendere coscienza. Sul luogo del delitto verranno repertati 9 nove bossoli di calibro 22 Winchester serie H. In quest'occasione, il giudice Silvia della Monica, sperando di indurre il mostro a scoprirsi, convocò in Procura i cronisti che si occupavano del caso e chiese loro di scrivere sui giornali che Paolo Mainardi, prima di morire, aveva rivelato importanti informazioni utili alla ricostruzione dell'identità dell'omicida. Sarà inoltre a seguito di questo delitto, che il maresciallo Fiori, 15 anni prima in servizio a Signa, ricorderà del delitto avvenuto nell'estate del 1968, e permetterà la riapertura del fascicolo, in cui verranno ritrovati i bossoli repertati quell'anno; sarà così possibile comparare i bossoli e stabilire che a sparare nel 1968 era stata la stessa arma utilizzata nel 1982. Anche questo evento non è privo di dettagli inconsueti, in quando per legge gli elementi raccolti nel corso di un processo devono essere distrutti a sentenza avvenuta, cosa che non si è verificata con i bossoli repertati a Signa nel 1968.

10 Settembre 1983: L'omicidio di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch.
Il 10 Settembre 1983 a Giogoli di Scandicci, in un furgone fermo per la notte in uno spiazzo, vengono assassinati due turisti tedeschi, Uwe Jens Rusch e Horst Meyer, entrambi di 24 anni, che al momento dell'aggressione stavano dormendo a bordo del loro furgone Volkswagen Samba. I ragazzi vengono raggiunti e uccisi da sette proiettili sparati con estrema precisione attraverso la carrozzeria del furgone, di cui però saranno repertati solo 4 bossoli Winchester. Le indagini successive al delitto permetteranno di stabilire che i colpi sono stati sparati all'incirca da un'altezza di 1 metro e 30 centimetri da terra - il che fa supporre che l'assassino sia alto almeno 1 metro e 80 centimetri o anche di più. L'omicida, dopo aver ucciso i due ragazzi si introduce nell'abitacolo del furgone e si rende conto di aver assassinato due persone di sesso maschile; probabilmente indotto in errore dall'oscurità, e dal fatto che Uwe Rusch aveva una corporatura esile e lughi capelli biondi. Non si è mai accertato se i due giovani fossero amanti omosessuali, ma nei pressi del furgone vennero ritrovare delle riviste "a contenuto omosessuale" stracciate. I soldi e gli oggetti personali dei due sfortunati ragazzi non vengono presumibilmente sottratti.

29 Luglio 1984: L'omicidio di Claudio Stefanacci e Pia Rontini.
Le vittime del penultimo delitto del Mostro di Firenze sono Claudio Stefanacci, commerciante di 21 anni e Pia Rontini di 18 anni, da poco tempo impiegata come barista presso il bar della stazione di Vicchio nel Mugello. L'auto è parcheggiata in fondo ad una strada sterrata che si diparte dalla provinciale sagginalese, contro il terrapieno di una collina. Quando vengono aggrediti i due ragazzi sono seminudi, sul sedile posteriore della Fiat Panda di proprietà del ragazzo. L'omicida spara attraverso il vetro della portiera destra, colpendo Pia in pieno volto e uccidendola sul colpo. Viene colpito alla testa anche il fidanzato. In seguito l'assassino inferisce con diverse coltellate sui corpi dei due ragazzi - colpendo due volte alla gola Pia e una decina di volte Claudio. Pia viene trascinata, già morta, fuori dalla vettura, in un vicino campo di erba medica, dove le vengono asportati il pube e il seno sinistro. La ragazza verrà ritrovata con il proprio reggiseno ancora serrato tra le dita della mano destra. I carabinieri verranno avvertiti da una telefonata anonima giunta prima dell'alba. Anche in questo caso pare che la vittima femminile avesse subito molestie da parte di ignoti nei giorni precedenti al delitto. Un'amica di Pia, da questa conosciuta durante un soggiorno in Danimarca e che in seguito aveva intrattenuto con lei relazioni di corrispondenza, riferì tempo dopo di aver ricevuto dalla ragazza una lettera in cui Pia le parlava di un uomo che la infastidiva presso il bar in cui era assunta. Tale fatto sembra peraltro avvalorato da un riscontro raccolto in una fase successiva al delitto; il gestore di una tavola calda in località San Piero a Sieve aveva dichiarato di riconoscere nei due fidanzatini uccisi, una coppia che nel pomeriggio del 29 Luglio 1984, poche ore prima dell'omicidio, si era fermata presso il suo locale. Subito dopo di loro, secondo il teste, era arrivato un "signore distinto", in giacca e cravatta, che aveva ordinato una birra e si era seduto all'esterno del locale, senza staccare gli occhi dalla ragazza. Non appena i giovani avevano terminato di mangiare e si erano avvicinati alla cassa, l'uomo aveva bevuto d'un fiato la birra e si era accodato a loro.

8 Settembre 1985: L'omicidio di Jean Michel Kraveichvilj e Nadine Mauriot.
L'ultimo duplice delitto avviene nella campagna di San Casciano Val di Pesa in frazione Scopeti, all'interno di una piazzola attorniata da cipressi, in cui erano solite appartarsi le giovani coppie. Le vittime sono due giovani francesi, Jean-Michel Kraveichvilj, musicista venticinquenne, e la trentaseienne Nadine Mauriot, commerciante, madre di due bambine piccole, recentemente separata dal marito, entrambi provenienti da Audincourt. Le vittime sono accampate in una piccola tenda canadese a poca distanza dalla strada. L'omicidio è stato fatto risalire alla notte di Domenica 8 Settembre 1985, o quantomeno questa è la data ammessa al Processo a carico dei Compagni di Merende, e tutt'oggi considerata la data del delitto. Tuttavia i due turisti potrebbero essere stati uccisi precedentemente, nella notte tra Sabato e Domenica, come i rilievi tanatologici - fatti eseguire dall'avvocato Nino Filastò al professor Maurri, uno dei massimi esperti del campo - sembrano suggerire. Le modalità dell'aggressione sono simili a quelle precedentemente messe in pratica dall'omicida, eccettuato il fatto che in questo caso le vittime non si trovavano in auto: il mostro - dopo aver reciso con un coltello il telo esterno della tenda, sulla parte posteriore, si sposta verso l'ingresso della tenda e spara. Nadine muore all'istante, il giovane Jean-Michel, ferito non mortalmente, riesce a fuggire attraverso il bosco ma viene raggiunto dall'omicida, che lo finisce a coltellate e poi ne occulta il corpo cercando di nasconderlo in una pila di rifiuti poco distante dalla tenda. In seguito alle escissioni compiute sul pube e sul seno sinistro, anche il cadavere della donna viene in qualche modo occultato; l'omicida infatti si cura di sistemarlo all'interno della tenda in modo che non sia visibile. In linea generale il modus operandi particolare attuato dall'omicida in quest'ultimo delitto, lascia presupporre che l'assassino avesse l'intento di ritardare la scoperta dei corpi. Infatti un brandello del seno della ragazza viene spedito alla Procura della Repubblica di Firenze, in una busta con l'indirizzo composto da lettere di giornali ritagliate, indirizzato alla dottoressa Silvia Della Monica, PM incaricato delle indagini sul mostro. La scoperta dei corpi avverrà, per puro caso, poche ore prima che la lettera giunga in Procura, vanificando così il macabro piano dell'omicida. Dopo tutti questi anni gli orrendi crimini sopra descritti non sono ancora risolti.

 
 
 
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