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Vita da branco

Post n°8 pubblicato il 17 Gennaio 2011 da sguardo_d.acqua

Ho tutto l’Amore del mondo all’altro capo del guinzaglio, certe volte penso di avere io il collare a strozzo perché ogni volta che uno di loro si allontana troppo sono io che mi sento soffocare.
È quel modo tutto speciale che hanno loro di guardarmi negli occhi, come se riuscissero a leggere ogni più intimo pensiero e di comprenderlo. Non c’è bisogno di parole, le parole confondono. C’è un patto segreto fra noi: “io mi fido di te e tu non mi tradirai. Ti amo e ti difenderò sempre. Se sbagli io ti perdono e continuerò ad amarti come prima, anzi, più di prima, perché ne avrai più bisogno”
…certe volte ho paura che la mia “umanità” sia il limite che non mi permette di essere sempre capace di rispettare questo patto.
E poi ci sono le meravigliose scoperte quotidiane, ogni cosa animata o no agli occhi di uno di loro prende un’altra forma, assume un altro significato: un camion che ci sorpassa mentre siamo in auto diventa un mostro da prendere a morsi, la sirena di un’ambulanza diventa l’ululato di un lontano cugino, un vetro troppo pulito diventa l’immagine di un cane feroce, il cassonetto della spazzatura diventa un’enciclopedia di notizie utili sul mondo, ma un estraneo, anche se ha un buon odore, resta sempre un estraneo…il branco siamo noi.
Branco, non famiglia. Perché nel branco c’è molta più onestà, rispetto ed individualità di quella che ci può essere in una famiglia.
E quando siamo fuori dal nostro territorio non c’è nulla di conosciuto o sconosciuto che possa interagire con uno di noi sottraendosi all’occhio vigile degli altri.
Certo a casa, la nostra casa, è tutta un’altra storia…si litiga per un limone rubato dal cesto degli agrumi, che poi ritorna sempre sul tappetino d’ingresso un po’ bucato e lucido di bava, oppure per la scopa che viene trasportata con orgoglio per il giardino come la coppa dei campioni ai mondiali di calcio, oppure per i miei calzini che invece di stare ai miei piedi stanno sempre fra i loro musi finchè, tira di qua e tira di là, per la buona pace di tutti, si riducono in brandelli, un pezzo ciascuno e ai miei piedi non resta altro da fare che congelare, a meno che, uno di loro non decida di accucciarsi proprio sotto la mia poltrona, le volte in cui è concesso a me di stare seduta sulla poltrona, ovviamente.
Certo, ci sono giorni in cui, i nostri odori sono così mescolati che non mi basta un bagno caldo con tanta schiuma per poter andare a fare la spesa senza sentirmi a disagio fra gli esseri umani, ma tanto gli esseri umani non lo sanno che a volte l’odore che emanano è così innaturale e sgradevole che esprime tutta la loro voglia malcelata di nascondere se stessi al naso del mondo…
E poi ci sono le lunghe ed interminabili giornate in cui uno di noi sta male e gli altri, ognuno a modo proprio, s’improvvisano medici ed infermieri, chi pulisce le ferite come meglio può, a volte a suon di vigorose leccate, a volte con puzzolenti disinfettanti, chi si accuccia accanto al povero infermo per dargli conforto, chi ruba la palla e la lascia cadere proprio lì accanto come per dire: “dai, alzati e andiamo a giocare!!! A stare male ci penserai più tardi.”
E a questo punto, con un’equipe di primari del genere, pensate davvero che qualcuno di noi abbia voglia di lasciarsi andare??? Però a volte capita che uno di noi non ce la fa, perché a volte ci sono malattie molto più feroci di qualsiasi branco e più forti di qualsiasi farmaco, e quando questo succede gli altri sono tutti lì accanto accucciati, con nessuna voglia di giocare o di mangiare, con una tristezza che solo noi riusciamo a capire e a condividere.
Forse solo in questi casi, per fortuna rari, siamo un po’ “umani”, per così dire…

 
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