shelady

recensione

Quindici passi sono pochi. Eppure, a volte, sono sufficienti per ritrovarsi in un mondo altro, dove il discrimine tra lucidità e follia si fa sempre più labile. La raccolta si muove sinuosamente tra omicidi apparentemente inspiegabili e delitti efferati (come, ad esempio, in Questione di volume), tra droga e malattia (L’altro lato di venere), tra suicidi inattesi e dolorosi abbandoni (La rosa e il tulipano).

I protagonisti di questi racconti, infatti, si inabissano progressivamente nella loro coscienza – e talvolta parlano con essa (come in Dentro il cassetto) – e mostrano al lettore gli aspetti più inquietanti del loro io. In questa raccolta, dunque, la tecnica narrativa lascia emergere l’oscurità del mondo dalle profondità più remote, ma, al tempo stesso, riesce paradossalmente a fare luce sulla notte della ragione di ogni individuo, e a rischiarare improvvisamente il suo sentire più intimo. Ed è scioccante constatare che le tenebre, in realtà, appartengono a tutti gli uomini, e che spesso, come accade in Slick, vittime e carnefici sono coinvolti indistintamente nel medesimo meccanismo: un meccanismo perverso, che porta un padre disperato a scatenare la sua furia omicida per vendicare il crimine peggiore che si possa commettere su bambine innocenti.

Luce ed ombra non sono che elementi complementari e fatalmente corrispondenti: anche il pallido chiarore della luna riflette, in realtà, lo splendore della luce solare. In questi racconti, quindi, mentre l’inconscio del protagonista viene fuori in tutta la sua complessità, i personaggi che lo circondano si distinguono appena in controluce (come in Charlie).

L’alienazione soffusa del testo provoca in ciascuno un moto di disagio intenso – è vero – ma, al tempo stesso, un irrazionale senso di malinconica consolazione, poiché, anche se l’autore dedica al buio le parole dei suoi racconti, riesce a circoscrivere le zone d’ombra, facendo risalire dagli abissi un lontano bagliore. Come in Alba d’acciaio, in cui il suicidio, apparentemente immotivato, di un giovane nel fiore degli anni, è spiegato dalla voce dell’amata sorella: la ragazza, infatti, non solo descrive il tormento che divorava il fratello, ma si trasforma lei stessa in modo inesorabile, fino ad assorbire in sé l’annichilimento del giovane incompreso.

L’autore si muove disinvoltamente tra il pulp e il noir, ma con uno stile del tutto personale, in cui l’elemento onirico è particolarmente presente, ed emerge con prepotenza in Nove volte sette e in L’altra parte dello specchio. Gli argomenti, descritti a tinte fosche, sono osservati con uno sguardo lucido e disincantato: anche se alcuni di essi si radicano più da vicino nella realtà attuale (come Alex o I vivi e i morti) il tema portante è l’uomo, con tutte le sfumature della sua personalità.

Poiché senza cedere al richiamo della crudeltà fine a sé stessa, Rolando M. Cimicchi ha il merito di arrivare, quando è possibile, fino all’essenza stessa del male.

Viviana Mangogna