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COSI RIDEVANO

Post n°8 pubblicato il 23 Settembre 2006 da iono1


 La storia
Così ridevano è la storia di due fratelli siciliani emigrati a Torino, raccontata nell'arco di sei anni, dal 1958 al 1964, e ogni anno attraverso una giornata qualunque. Sei giornate che corrispondono ai sei capitoli scanditi durante il corso del film: Arrivi, Inganni, Soldi, Lettere, Sangue, Famiglie. Giovanni, il fratello maggiore (Enrico Lo Verso), coltiva un progetto ambizioso, apparentemente superiore alle sue forze. Lui, analfabeta vuole che Pietro (Francesco Giuffrida), il più piccolo, prenda il diploma delle magistrali e diventi maestro elementare. Non per un sogno di ricchezza, di soldi facili, di guadagno; ma con il segreto bisogno che almeno all'altro, che ama come un figlio, non siano negati quei 'tesori' racchiusi nelle pagine dei libri, i tesori della cultura, quelli che davvero possono arricchire. Il progetto si rivelerà complesso, la vicenda avrà uno sbocco inquietante: forse i due fratelli non capiranno mai se alla fine avranno vinto o perso, e quanto è costato ad entrambi il semplice fatto di crescere, di migliorarsi, di esistere.


 C'è poco da ridere

"'Così ridevano': negli anni cinquanta questo titolo compariva a caratteri minuscoli nell'ultima pagina di una rivista popolare molto diffusa, 'La Domenica del Corriere'. Era la pagina dell'umorismo, delle barzellette, che pare venissero inviate dai lettori stessi (si chiamavano infatti 'Cartoline del pubblico') e addirittura ricompensate. Ogni settimana si riproponeva una vignetta vecchia di venti o trent'anni, di quelle che ormai non strappavano più la risata ma solo un goffo intenerimento e, qualche volta, una stretta al cuore. Perché, attraverso le storielle e le battute spiritose di tanti anni prima, si misurava il passare del tempo, quanto il costume fosse cambiato, come anche l'umorismo non fosse più quello di una volta. Così ridevano. Un film con questo titolo vuole parlare oggi degli anni cinquanta e sessanta. Senza nostalgia, senza rabbia, soprattutto senza retorica. Ma con un sentimento forte che non escluda l'ironia e il distacco. Un film che racconti un'Italia che non c'è più, per cercare di capire meglio l'Italia che viviamo adesso. Si rideva così tanti anni fa, si piangeva così... Non un film 'in costume', ma un ponte affettuoso tra le generazioni, che scavi in un periodo cruciale della nostra esistenza, quando il nostro Paese visse e consumò un cambiamento profondo, passando dalla civiltà contadina alla cultura urbana e industriale. Si vorrebbero raccontare i caratteri, le contraddizioni, le zone oscure di quegli anni contrassegnati dal boom economico e da un grande slancio vitale. Ci si vorrebbe interrogare su che cosa hanno vinto e che cosa hanno perduto i giovani di allora, quelli che, all'approssimarsi della cosidetta 'società del benessere' erano in prima linea nella realtà del lavoro, dello studio, verso un futuro carico di lusinghe.
La vicenda dei due fratelli siciliani, Giovanni e Pietro, emigrati a Torino, é la storia di un'utopia culturale, di una magnifica ossessione. Il fratello maggiore è analfabeta, ha difficoltà pure con i numeri del telefono, non legge i nomi delle strade. Si sente cieco. E' convinto che soltanto la cultura può riscattare dalla miseria. Vuole che il fratello minore studi, a qualunque prezzo, e fa ogni lavoro possibile, anche il più gravoso e basso, per mandarlo a scuola. Senza accorgersi che i confini di questa impresa gli si confondono, che perde il senso dei limiti del sacrificio e della legalità. Nel corso del tempo i due fratelli cambiano e finiscono per ritrovarsi in un'Italia pure cambiata, dove anche il sogno di progredire attraverso il sapere si é forse perduto irrimediabilmente."
Gianni Amelio


 Storie di emigranti
Gianni Amelio ha tenuto a precisare: "Questo é un film sulla famiglia, sulla famiglia meridionale in particolare". Perciò il fenomeno del massiccio esodo di uomini, donne e bambini dal Mezzogiorno d'Italia verso il Nord industrializzato e prospero, concentrato nel ventennio 1950-1970, almeno nelle intenzioni del regista calabrese, ne costituisce solamente lo sfondo.Sembra così quasi voler scacciare il pericolo di un troppo stretto legame con l'attualità, in un paese che soffre oggi per essere divenuto meta di richiamo per tanti disperati, affinché non si perda di vista il messaggio primario della sua ultima fatica. Ma la storia dei due fratelli siciliani emigrati a Torino, seguiti lungo l'arco di sei anni, dal '58 al '64, presentata con una semplicità solo apparente, con evidenti richiami ai principi ideali ed estetici del neorealismo ed una dichiarata parentela con "Rocco e i suoi fratelli", capolavoro viscontiano del '60, non può sottrarsi al confronto con l'incalzare della realtà. Qualche dato potrà aiutare a meglio mettere a fuoco l'argomento.
Tra il 1951 e il 1967 la popolazione di Torino, di fatto raddoppiando, aumentò di 400.000 unità, tutti immigrati attirati nella città della FIAT dal miraggio del posto in fabbrica. Tra il '51 e il '61 Milano vide crescere del 24,1% la sua popolazione. Complessivamente, il saldo migratorio (cioè la differenza tra il numero degli immigrati e quello degli emigrati) di Piemonte-Val D'Aosta e Lombardia fu in "attivo" tra il 1955 e il 1970 rispettivamente per 720.500 e 938.100 persone. Tanto per avere la possibilità di un raffronto, nello stesso periodo, il Veneto é stato "in rosso" di 298.500 unità, la Campania di 343.800, la Sicilia di 461.500. Una vera e propria emorragia. Riflettere sulle conseguenze di tali massicci spostamenti di popolazione vuol dire sì soffermarsi sugli effetti devastanti registrati nelle città e nelle aree urbane scelte come destinazione dai migranti, ma senza dimenticare gli squilibri causati nelle regioni di provenienza: le campagne del Sud in particolare, abbandonate dalla parte più produttiva della popolazione, destinate a vedere accentuati sottosviluppo ed arretratezza, e conseguentemente allargarsi la forbice tra il settentrione industrializzato e moderno e il Mezzogiorno povero e depresso.
Pur se Amelio respinge dunque con decisione i facili parallelismi con la situazione contemporanea, la penisola invasa pacificamente da schiere di immigrati provenienti un po' da tutti i continenti sollecita un inevitabile confronto tra due momenti storici. Non é un caso che Enrico Lo Verso, Giovanni nel film, disposto a tutto pur di offrire attraverso lo studio un avvenire al più giovane ed amatissimo fratello Pietro, abbia notato: "Il mio personaggio é nelle condizioni in cui si trovano oggi molti immigrati extracomunitari...". Per ironia della sorte una nemesi storica implacabile ha trasformato negli ultimi decenni l'Italia, per tradizione serbatoio di emigranti - sono svariati milioni gli italiani sparsi nei vari continenti, compresi i discendenti dei primi costretti ad andarsene dalla fame e dalla miseria - in agognato punto d 'arrivo di un afflusso imponente e progressivo di persone in cerca di un lavoro, di una casa e di condizioni di vita più umane. Coloro i quali salpavano verso l'ignoto in cerca di fortuna adesso si ritrovano, del tuttto impreparati, a vestire i panni di chi deve accogliere, obtorto collo, ospiti poco desiderati. Un capovolgimento di prospettive che ha messo di fronte un popolo come il nostro a fantasmi sino ad ora sconosciuti, sfatando leggende sul buon cuore degli italiani e offrendo preoccupanti esempi di razzismo. Fin quando eravamo noi le vittime, sdegno e richiami alla solidarietà non sono mai mancati; ora la carenza di memoria storica nella coscienza civile del paese si fa sentire tutta. E prevale così una forma assai rozza di egoismo, quell'impulso ingannevolmente autoprotettivo che spinge il debole, sia esso il disoccupato e/o l'analfabeta di ritorno, a cercare rivincite su chi é, o appare, ancora più indifeso. Una mentalità sintetizzata con sottile ma pungente ironia da Altan, il noto vignettista che fa dire ad uno dei suoi spregevoli omini, incarnazione dei nosrti peggiori difetti: "Anche noi siamo stati emigranti. Bisogna farglielo capire a questi extracomunitari, con le buone o con le cattive". Quanti italiani la pensano così, sul conto degli stranieri che sempre più numerosi vengono nella nostra penisola in cerca della loro America?
"Così ridevano" fornisce anche, a ben vedere, una chiave per uscire dalla situazione descritta sinora: la convinzione, la fede quasi assoluta che la cultura possa, sola, aprire prospettive diverse, un migliore avvenire, é il messaggio più alto che la pellicola trasmette. I libri che ossessionano Giovanni sono lo strumento, il mezzo con cui Amelio segnala allo spettatore questa speranza. Ma quanto lontano da noi, e non sono passati quarant'anni, é quel ragazzo semplice, analfabeta ma animato da una cieca fiducia nel potere salvifico della cultura, del sapere, unico mezzo capace di arricchire veramente un individuo, alla faccia di denaro e ricchezze? Il messaggio é chiaro e forte, se solo lo si vuole cogliere. Ed é coraggioso, controcorrente, quasi antistorico in un momento in cui chi la pensi così, e per fortuna qualcuno ancora c'é, viene nella migliore delle ipotesi guardato con commiserazione. Chissà quanti allora, tra i figli e i nipoti di quei viaggiatori con la valigia di cartone avranno la forza di ascoltarlo, quell'invito, per farlo proprio e provare a migliorare tutti insieme.....

 
 
 
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