Creato da sileabalano il 12/08/2006
Giorno dopo giorno, l'arte al femminile, cenni, riflessioni, news, avventure e disavventure personali tra pennelli ed esposizioni
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Una bella frase di Tamara de Lempicka:
" All'inizio della mia carriera mi guardai intorno e nella pittura non vidi altro che rovine. Ero disgustata dalla banalità in cui era caduta l'arte... Tutto questo mi indignava; ero alla ricerca di un mestiere che non esisteva più. Lavoravo molto in fretta e con pennellate leggere. Quel che contava per me era la tecnica, l'abilità del mestiere, la sobrietà e il buon gusto. Avevo un principio: non copiare mai. Crea uno stile nuovo, colori chiari, luminosi; scopri l'eleganza nascosta nei tuoi modelli. "
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Arte delle Donne. Dal Rinascimento al Surrealismo
fino al 9 marzo 2008 sarà possibile ammirare al Palazzo Reale a Milano, cinque secoli di arte al femminile. Un'occasione davvero da non perdere per chi vuole ampliare i propri orizzonti e saperne un po' di più su tutta quell'arte fino ad ora cancellata dalla storia solo perché a firma donna. Tra l'altro, pare che la mostra stia riscuotendo un successo straordinario con un record d'ingressi.
€ 7,00 studenti, tesserati TCI, over 60
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Da più di dieci anni, da quando ciè ha lasciato le scene cinematografiche, Gina Lollobrigida si dedica alla scultura. Le sue opere in bronzo e marmo vengono realizzate per lo più in un atelier nella cittadina toscana di Pietrasanta. Domani, l'attrice-artista riceverà anche la cittadinanza onoraria presso la chiesa di Sant'Agostino. Sarebbe interessante poter vedere le sue opere..... !!!????
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Per oltre due secoli, le sue opere furono attribuite al maestro frans Hals
Ancora una donna. Ancora un’artista di grande talento che soggiace alla sorte di tutte le altre sue colleghe, contemporanee e non, nel vasto panorama della storia dell’arte. Ma questa volta ci spostiamo. Non siamo più in Italia. Raggiungiamo la lontana Olanda e scopriamo che i destini, nonostante la distanza, le differenze culturali e ambientali, si somigliano, si intrecciano. A volte, scoprendo i numerosi talenti femminili così a lungo nascosti a un sapere più diffuso, si preferirebbe attribuire a questa o a quella realtà geografica una trascuratezza tanto grande. Ma così non è. Le donne sono donne, in ogni paese del mondo. E la realtà che le circonda non risparmia nessuna. Ma se per alcune, graziate da un ambiente fiorente e da qualche genitore, coraggioso e anticonvenzionale, che le ha spinte a venir fuori, l’arte è potuta divenire una professione di cui andare fiere, anche se poi perduta nel corso dei tempi, per altre è stato lo sfogo divenuto poi silenzioso di un ingegno naturale e innegabile. Per ben due secoli, tutte le opere di Judith Leyster, pittrice fiamminga, nata ad Haarlem nel 1609, vengono indebitamente attribuite al suo maestro Frans Hals, al marito Jan Miense Molenaer, anch’egli pittore e ad un altro artista dell’epoca Gerard van Honthorst. In definitiva, il suo lavoro, così come tutta la sua esistenza vengono rinnegati dall’innaturale pregiudizio che le donne non possono essere poi così brave. In effetti, Judith Leyster, ha dalla sua parte un’attitudine straordinaria. Non disegna le sue tele ma le dipinge direttamente e non ci sono limiti alle sue esecuzioni. Spazia dalle nature morte, alle scene di vita quotidiana, dai ritratti, ai disegni di botanica e agli acquerelli. La sua opera più famosa e che forse rappresenta al meglio il genere di pittura che la distingueva è l’”Autoritratto” eseguito nel 1631 e oggi conservato alla National Gallery di Washinton. In questo dipinto, l’artista si ritrae seduta dinnanzi al cavalletto, indossando abiti eleganti. Ma è l’uso del colore forte e dell’aria scanzonata a colpire maggiormente. La Leyster elabora una nuova formula per la sua espressione artistica. Il più delle volte ritrae persone semplici, comuni, senza alcun titolo o ricchezza che li possa identificare ma imprimendo in questi volti espressioni forti e burlesche, rende il personaggio di colpo importante ed eloquente. Judith non si ferma al solo studio della mimica e della resa ottimale di uno sguardo in diagonale. Diviene insistente anche nella sua ricerca sugli effetti di luce. E due opere, in particolare, trasmettono allo spettatore i risultati di questo impegno: “Giovane che ride con bicchiere di vino” del 1628 e la “Madre che cuce al lume della lampada” del 1633 e presente al National Gallery of Ireland di Dublino, dove unica fonte di luce diviene una candela o il bagliore di una lampada. Della formazione di Judith Leyster non si sa ancora molto. Di certo ha svolto il suo apprendistato nella bottega di un pittore famoso dell’epoca, Frans Hals, maestro del resto, di molti altri nomi di spicco. Dopo solo due anni di apprendistato, ancora giovanissima, viene ammessa nella Gilda di San Luca della sua città natale ed è la prima donna a farne parte. Ben presto, per le sue doti pittoriche e le sue capacità relazionali, viene messa a capo di una bottega dove si trova a dirige molti giovani allievi. Oggi la Leyster è ampiamente riconosciuta dalla critica internazionale come una “pittrice di genere” e il suo talento non è più in discussione. Ma c’è ancora molto da scoprire su questa donna, il suo talento e tutto il suo mondo. Così come c’è ancora molto da scoprire su molte altre artiste che, da secoli, attendono pazientemente giustizia per il loro operato.
Silea Balano Pubblicato su "Arte e Luoghi" Giugno 2007
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Sono stata un po' assente perché gli impegni sono tanti. Ma non ho dimenticato questo blog, questa pagina così privata e parallelamente tanto pubblica che bene o male finisce per essere anche la nostra casa. E quindi, come a volte si è lontani da casa, si finisce per essere lontani dal blog. ma la mente e il cuore restano qui. Sempre. E poter riscrivere diventa come il poter tornare finalmente a casa.
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Ginevra Cantofoli
Ginevra Cantofoli aveva qualche decina di anni in più rispetto ad Elisabetta Sirani, e aveva tanto sentito parlare di questa giovane, affascinante e intraprendente artista, da provare l’irrefrenabile bisogno di conoscerla, di entrare in quella che era diventata all’epoca, in una Bologna fiorente dal punto di vista artistico, una piccola ma efficiente accademia domestica, tutta al femminile, dove Elisabetta, regnava sovrana, riuscendo a imprimere un nuovo percorso al destino di quelle che vi facevano parte. Nata nel 1608, anch’essa a Bologna, Ginevra, era una delle innumerevoli donne che sentivano forte dentro di sé il richiamo per l’arte ma come tante altre non sapeva come dar vita a questo suo talento, a chi rivolgersi, a chi chiedere di darle una mano per poter compiere un salto di qualità. In un mondo tutto al maschile, dove l’arte restava predominio di pochi, lei seppe individuare nella Sirani il suo giusto e unico punto di riferimento. Entra a fare parte del suo laboratorio e ne diviene ben presto la sua allieva più famosa. In quell’ambiente chiuso, protetto, e con il lento trascorre del tempo, apparentemente sempre uguale, ma dove gli stimoli e le sollecitudine non mancano, la Cantofoli riesce a liberare la sua creatività e a passare dai timorosi dipinti in piccole dimensioni alle tele di grande formato. La Sirani, affascinata a sua volta, da questa allieva che, nonostante le difficoltà e l’età, vuole osare e sfidarsi decide di ritrarla, perché sa che Ginevra farà strada e un giorno qualcuno le offrirà il giusto riconoscimento. In effetti, il livello artistico della Cantofoli, acquista ben presto una sua precisa identità: forti chiaroscuri, pennellate grandi e morbide, linee a drappeggio. E tutta la sua opera può pienamente considerarsi appartenente alla pittura barocca. Ma non è da escludersi, nelle sue produzioni, qualche ritocco per mano della sua “maestra”. In ogni caso, Ginevra non ebbe la stessa fortuna di Elisabetta. Nel corso del tempo, il suo nome e le sue produzioni, caddero nell’oblio e di lei più nulla si seppe. La storia dell’arte, ancora una volta, non si prese mai la briga di indagare su questa artista e di riportare alla luce le sue opere. La sua arte, oggi, riemerge dalle tenebre del passato grazie ad un dipinto, per l’esattezza un autoritratto, conservato presso la Pinacoteca di Brera, dal titolo “Allegoria della Pittura”, che, pur non recando firma dell’autrice, al suo ingresso nella Pinacoteca venne immediatamente catalogato come appartenente alla Cantofoli, forse grazie a della documentazione certa che accompagnava la tela nel suo percorso. Da questo dipinto, poi, Massimo Pulini nel suo libro “Ginevra Cantofoli. La nuova nascita di una pittrice nella Bologna del Seicento” (Editrice Compositori), parte alla riscoperta lenta ma attenta di questa ennesima grande artista del ‘600. Altre opere, ormai riconosciute, della Cantofoli, sono: Ritratto di donna con turbante, facente parte di una collezione privata, Ultima cena, presso la Chiesa di S. Procolo a Bologna e S.Tommaso di Villanova, presso la chiesa di S. Giacomo, sempre a Bologna. Ginevra Cantofoli muore nel 1672. Ma era stata già afflitta da un grande dolore. Solo pochi anni prima aveva perso, in un presunto assassinio, la sua grande e insostituibile “maestra” Elisabetta Sirani.
Silea Balano
Pubblicato su "Arte e Luoghi" maggio 2007
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A volte fantastico.... e un piccolo sogno sarebbe qello di acquistare a poco prezzo insieme a un gruppo di artisti un quartiere intero, o una cittadina intera, in un qualsiasi posto sperduto nel mondo e trasformarla in una città degli artisti, appunto. Personalizzare ogni casa, dare un'impronta di colore particolarissima alle strade e ai muri, organizzare di tutto e di più e pubblicizzarla a tal punto, con inziative di ogni genere, da renderla tappa indispensabile e gradevolissima per ogni turista amante dell'arte.
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Forse è sbagliato ostinarsi a fare arte in un posto dove l'arte vive solo per il piacere dell'occhio, o meglio per il diversivo, e non per il piacere del possesso, dell'investimento, del riconoscimento. Forse è sbagliato continuare a voler piantare semi in una terra che non darà mai i suoi frutti, se non piccoli, acerbi, rinsecchiti. Forse bisognerebbe dire addio a tutto e trovare davvero il coraggio di andare dove l'arte, di qualunque natura sia, trova un suo riconoscimento, un suo apprezzamento, un suo riscontro economico... Forse...
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Straordinaria ritrattista, il 15 aprile ricorreva il 250° centenario della morte
Nomi di donne artiste come quello di Artemisia Gentileschi, Elisabetta Sirani, Properzia de’Rossi, sono entrate ormai nell’immaginario collettivo e hanno ripreso il posto che le spettava nella storia dell’arte italiana e non solo. Ma molte altre donne ancora reclamano un momento di gloria e il dovuto riconoscimento e così man mano si riportano alla luce artiste di eccezionale talento che hanno segnato comunque il loro tempo e che solo oggi si decide di riportare in auge in modo adeguato. E’ il caso, ad esempio dell’artista veneziana Rosalba Carriera, nata e vissuta tra il ‘600 e il ‘700 e di cui La Fondazione Giorgio probabilmente nell’autunno del 2007 in una mostra a lei completamente dedicata. Alcuni. Considerano Rosalba Carriera l’artista donna più grande di ogni tempo, altri l’annoverano tra i più grandi ritrattisti del settecento europeo per l’eccezionale abilità e versatilità delle sue opere. Di certo, Rosalba è una delle tantissime donne artiste, di indiscusso valore, ingiustificatamente trascurate e omesse in un percorso di ricostruzione storica dell’arte italiana. Questa eccezionale artista nacque a Chioggia in provincia di Venezia il 7 ottobre del 1675 e un anonimo biografo qualche anno dopo così scrisse di lei: “Era il padre cittadino di condizione, ma di scarse fortune, e molto inclinato a disegnare, benché legista di professione. Imitando adunque il padre suo, non ancora giunta all'anno quattordicesimo di sua età, incominciò a pigliare da sé solo la penna, e senza direzione né assistenza di alcuno si mise a disegnare”. Dunque, Rosalba, inizia da giovanissima a manifestare le sue doti e il padre, Andrea, la incoraggia. Rosalba prende lezioni da affermati artisti, come Giannantonio Lazzari, e diviene esperta nella tecnica del pastello – in Italia ancora quasi sconosciuta – aprendo un nuovo genere di ritrattistica. Con le sottili morbidezze del pastello e dei gessetti colorati che lei stessa pazientemente combina e poi amalgama con la colla, riesce a dare vita a gamme cromatiche che si risolvono in sfumate trasparenze madreperlacee. Rosalba, donna non particolarmente bella ma dall’aspetto seducente e dalla raffinata conversazione, non è solo abile nella pittura ma si mostra attenta e pronta anche verso altre arti, come la musica e il canto. Diviene ben velocemente una donna completa, la prima a cui la società colta di quel tempo concede di entrare in corti reali e palazzi nobiliari per competere da pari a pari con personaggi di tutto rispetto. Aveva iniziato col dipingere miniature per turisti su scatoline di tabacco da fiuto in avorio. Ma ben presto la sua fama dilaga e comincia a ritrarre personaggi eminenti anche stranieri, come Federico IV di Danimarca, del duca Carlo di Baviera, il principe Augusto di Sassonia, i duchi di Modena e dalla corte di Vienna. Nel 1720, un anno dopo la morte del padre, si reca a Parigi con la madre, le sorelle e il cognato, anch’egli pittore. In Francia esegue ritratti a tutta la famiglia reale e a diversi nobili, principi e cavalieri dell’epoca. Da questo momento in poi, così come annota nel suo diario, Rosalba sente il bisogno di riprodurre le sue opere sempre in doppia copia, quasi a voler documentare, al di là di ogni ragionevole dubbio, tutta la sua produzione artistica. Qualche tempo dopo rientra in Italia dove viene accolta per merito all’Accademia di S. Luca di Roma, Bologna e Firenze. Del resto tutto il settecento vede in grande crescita il numero delle pittrici all’interno delle proprie accademie, dove però gli uomini non smettono di guardarle con sospetto e di dispensarle da tutti gli atti ufficiali. Atteggiamento questo che contribuirà poi notevolmente a ridimensionare, e nella maggioranza dei casi a cancellare, il talento femminile dall’ufficialità storica. In ogni caso Rosalba Carriera vive fino in fondo il suo successo, riuscendo a mantenere un certo distacco dalla gloria che la circonda. Pparticolarmente incline all’introversione e al piacere della solitudine creativa, dopo alcuni altri brevi viaggi, in Italia e all’estero torna definitivamente nella sua adorata Venezia. Gli ultimi anni della sua vita, però, divengono, difficili, sofferti. La morte di Giovanna, sua sorella e collaboratrice, è il primo colpo che subisce. Il destino le toglie inaspettatamente il suo affetto più caro, ma ha in serbo per lei sofferenze ancora più grandi. Una grave malattia agli occhi la rende completamente cieca nel giro di poco tempo, privandola della possibilità di dipingere che era stata l’unica sua ragione di vita. La mente comincia a vacillare. La sua disperazione è incolmabile. Non esistono per lei più punti di riferimento né speranze. Rosalba Carriera muore a Venezia il 15 aprile del 1757. Oggi, la sua opera “Fanciulla con colomba”, può essere ammiratoa presso l’Accademia di San Luca a Roma; il suo primo autoritratto del 1709 presso il Palazzo degli Uffizi a Firenze e altri autoritratti sono conservati a Venezia presso il museo del settecento a Ca' Rezzonico. Cini e la Regione del Veneto, attraverso il Comitato per le celebrazioni del 250° anniversario della morte della pittrice veneziana intendono celebrarla
Silea Balano
Pubblicatu su "Arte e Luoghi" n. 4 Aprile 2007
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Modella di Manet, dipinse la vita e fu pittrice impressionista
Ancora una modella nella storia dell’arte che supera i limiti della propria condizione, liberando le potenzialità creative e divenendo pittrice lei stessa. Come Suzanne Valadon, anche Berthe Morisot, nata il 14 gennaio del 1841 a Bourges, diviene, all’età di 27 anni, la modella di uno dei più famosi pittori dell’epoca. Lui è Edouard Manet che, pur essendosi sempre mantenuto al di fuori di correnti e scuole viene ormai universalmente riconosciuto come il padre ispiratore dell’impressionismo. Berthe ed Edouard si incontrano casualmente al Louvre, mentre lei seduta davanti ad un quadro di Rubens sta cercando di riprodurne il soggetto. Berthe Morisot sin da giovanissima età aveva mostrato amore per l’arte e predisposizione per la pittura. C’era in lei una passione particolare e naturale per i colori chiari e le pennellate veloci che la condussero alla sperimentazione di varie tecniche dal pastello all’acquerello, dall’olio alle matite colorate e al semplice disegno. In quella calda mattina d’estate, Manet, nel vederla, ne rimane incantato. L’avvicina, le parla, si complimenta con lei. E poi nasce l’inevitabile bisogno di confrontarsi e di trascorrere sempre più tempo insieme. Berthe diventa la sua modella ed Edouard la ritrarrà in molti suoi quadri, quasi sempre vestita di nero. Ben presto la loro amicizia finirà sulla bocca di tutti nella Parigi di quegli anni. Ma Berthe, donna volitiva e fuori dai canoni lascia l’arte al primo posto nella sua esistenza. Ha solo voglia di farsi spazio e di imporsi come artista. Riuscirà nel suo intento, divenendo la più importante pittrice della sua epoca e dando vita a quell’impressionismo al femminile di cui tanto poco si parla ma che ebbe un suo riconoscimento e una sua dignità artistica. Insieme a Berthe Morisot, anche altre artiste, come Mary Cassat, Marie Bracquemond ed Eva Gonzales, tutte di formazione indipendente, furono legate tra loro dalla stessa corrente. Oscurate, purtroppo, dai loro colleghi che riuscirono a collocarsi più in alto solo grazie al loro sesso e ai loro appoggi, la corrente impressionista femminile, di cui la Morisot ne rimane sicuramente la rappresentante più significativa, comincia a trovare una sua adeguata dignità storica solo in questi ultimi tempi. Nel corso della sua carriera artistica, Berthe, si dedicò in particolar modo allo studio della tecnica del paesaggio, eppure non fu questo il tema predominante delle sue opere: preferì dare più ampio spazio al ritratto, alle figure, alle scene intime e familiari con una pittura definita a volte “chiara, graziosa, divertente”. Pennellate leggere e allo stesso tempo incisive e indicative di una sicurezza interiore che andava bene al di là delle tecniche apprese. Dopo la morte del padre, nel 1874, la Morisot sposa il fratello di Edouard, Eugene Manet e avrà da questi una figlia. Ma la sua vita matrimoniale non le impedisce di continuare a dipingere e farsi strada. E’ presente anche lei in quello stesso anno alla prima grande mostra impressionista e vi farà parte in tutte le altre edizioni, prendendo parte attiva, in quella del 1886, alla selezione degli artisti. Negli ultimi anni della sua vita la Morisot ricevette notevoli riconoscimenti e la sua pittura divenne esempio e stimolo per molte altre sue colleghe e colleghi. Berthe morì a Parigi, il 2 marzo del 1895, alla sola età di cinquantaquattro anni, a causa di una congestione polmonare. Di lei Paul Valery scrisse: seppe “vivere la sua pittura e dipingere la sua vita”.
Silea Balano
Rivista "Arte e Luoghi" Marzo 2007
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Katerina Gutierrez dipinge con lo smog.
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