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come sopravvivere in cucina (per single)

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Linda: "Ma tu ti cuoci solo cibi surgelati?" Allen: "Cuocerli? E chi li cuoce! Io neanche li scongelo. Li succhio come se fossero ghiaccioli!" (Woody Allen)

 

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Post N° 18

Post n°18 pubblicato il 03 Settembre 2014 da maddablog
Foto di maddablog

La Dolce Vendetta

 

Emanuelle, nonostante il nome ispirato da pornofilm anni settanta, aveva curve da commedia anni cinquanta e anche un po' di più. Peraltro i problemi di peso non erano un peso per la ragazza che aveva fatto della sua inclinazione per il cibo una vera religione, completa di precise liturgie.

Gran sacerdotessa dell'educazione sentimental-culinaria di Emanuelle era stata sua nonna, un donnone più simile alla nipote che alla figlia; Nerea amava la piccola liberamente e senza riserve e la compensava largamente del disamore materno acerbo ed egoista, critico e così crudele.

La madre di Emanuelle si era trovata troppo presto a lievitare come una ciambella e l'enorme, sgraziato bignè che aveva sfornato le era sempre stato indigesto. Si era ben guardata dal risparmiare alla figlia battute pepate e salate, sia nell'infanzia, sia nell'adolescenza, ma, incredibilmente, ciò era stato un bene per la ragazza. L'aceto materno le aveva colato addosso una glassa spessa sulla quale  facilmente scivolavano i soprannomi e gli scherzi che i compagni le facevano mandar giù giornalmente.

Per queste e per mille altre ragioni Emanuelle si rifugiava nella cucina di Nerea, oltre all'affetto e alla cannella, al calore e alla pasta tirata a mano, assieme alle verdure ripiene e all'arrosto della domenica mattina, la bimba ci respirava anche la voglia di essere quello che voleva.

Verso la maggiore età Emanuelle aveva aggiunto al pane il vino, ma senza eccedere mai, dal momento che preferiva comunque l'estasi del lievito all'ebbrezza dell'alcol. Nonostante ciò era affascinata dal dolce retrogusto di raccolta tardiva di alcuni chardonnay o dal sentore di violetta di un barolo generoso. Le note secche dei bianchi o gli umori di bosco dei rossi accompagnavano spesso la creazione di nuovi piatti, perchè alla morte di nonna Nerea, un calice di vino pieno a metà posato sul tavolo aveva assicurato ad Emanuelle quasi la sua stessa compagnia complice.

Profonda conoscitrice dell'anima e del palato, la ragazza aveva trasformato la sua forte inclinazione per la pasticceria in un lavoro piuttosto redditizio, dapprima vendendo torte e pasticcini alle amiche della madre, poi lavorando presso il fornaio del suo quartiere ed infine aprendo il "BonBon", piccolo punto vendita profumato alla vaniglia.

Nel retrobottega aveva allestito una cantinetta per vini esclusivamente dolci ed assaggi particolari. Chi aveva sperimentato i suoi abbinamenti raccontava di una rara esperienza di gusto, un'alchimia di piacere che santificava non solo la gola, ma anche l'anima, corrompendola un po'.

La cantinetta era riservata esclusivamente agli excompagni dalla lingua lunga e dal cuore stretto e agli amici falsi come il cibo precotto. Per queste vittime consenzienti c'era stata un'esistenza prima del retrobottega e dopo il retrobottega, di certo quello che era rimasta appiccicata loro addosso era un'irrefrenabile, insaziabile fame di zucchero di canna e limone candito. Nella speranza di essere ancora invitati dietro la tenda di damasco pesante, tutti diventavano giornalieri clienti del BonBon con un aumento medio del loro peso di un chilo al mese e del fatturato del negozietto di una buona, adeguata, percentuale.

Emanuelle non sapeva se fosse più eccitante creare quella malìa di sapori ed odori inediti per ognuno dei suoi clienti particolari o vedere come tutti abboccassero alle sue gustose esche. Forse non era così importante darsi una risposta, dal momento che la sua vendetta, benchè dolce,  ingrassava solo il suo spirito e  non il suo corpo.

 
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