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Lo Specchio di Alice

Post n°7 pubblicato il 02 Gennaio 2013 da maddablog

La spettacolarizzazione del dolore tra essere e apparire

 

A volte sembra di essere dentro ad un reality, dove la verità dei fatti è un dettaglio e i sentimenti sono truccati, a volte il potere dell’apparire è talmente forte che fa assumere al dolore toni da soap opera. A volte la realtà supera ogni più squallida immaginazione e viceversa.

Ci stiamo abituando a  considerare i vari fatti di cronaca nera come un serial TV senza autori ufficiali. Ce ne stiamo seduti comodamente aspettando la prossima puntata, pungolati dagli approfondimenti in seconda serata, conquistati dalla ricostruzione della scena del crimine, immedesimati negli eventi, quasi più bravi dei Ris di Parma, data la profonda conoscenza delle tecniche criminali che ci siamo fatti sulla scorta dei vari CSI, CRIMINAL MINDS, NCIS. Di volta in volta, ci sentiamo detective o profiler, dichiariamo convinti che l’assassino deve essere questo o quello e supportiamo le nostre convinzioni con perizie del tutto personali.

La TV è lo specchio che attraversiamo per farci toccare dalla realtà, ci facciamo sedurre, tra una pubblicità e l’altra, dalla storia dolente di uomini e donne che mostrano la loro sofferenza alle telecamere; inseriamo nei nostri riti quotidiani l’omicidio, lo stupro ed il rapimento esattamente come il quiz o il telefilm, e magari all’ora di pranzo; mentre sparecchiamo, partecipiamo convinti a quello che, in un gioco perverso, da pura cronaca diventa intrattenimento.

Il processo è graduale e pericoloso, di solito va dall’esposizione della notizia, all’aggiunta dei particolari e dei sospetti, analizzati e rianalizzati dagli esperti, fino alla risoluzione del caso o alla sua sostituzione con nuovi avvenimenti criminosi. Giorno dopo giorno ci affezioniamo ai protagonisti, li compiangiamo o li esaltiamo,  siamo ammaliati dalla loro visibilità, stregati dalle incomprensibili ragioni del Male.

Non sapremo infatti mai i perché delle madri “figlicide” (significativo, però, il fatto che neanche la lingua italiana abbia coniato un termine per questo crimine), per i matricidi, i parricidi, le stragi della solitudine e della pazzia. Non potremo mai capire cosa scatta nella testa del vicino silenzioso, quale abisso di quotidiano terrore cova prima dell’ insano gesto.

Non capiamo e, forse proprio per questo, alcuni rimangono rapiti da queste personalità distorte e dai loro comportamenti estremi. Centinaia sono le lettere destinate alle Erike e ai Maso dietro alle sbarre, da sempre le cronache romanticizzano gli assassini, ma mai come oggi i media sono riusciti a creare dei miti maligni ad uso e consumo degli spettatori.

“Cogne”, “Garlasco” “Erba” “Meredith e Amanda” non sono più luoghi e persone: sono un business ed esempi di mercificazione noir che si moltiplicano.

La tragedia non ha più la sua catarsi, ma solo un buon piano di marketing.

Ci specchiamo nello schermo TV e i protagonisti della cronaca nera contano sul nostro voyeurismo.

“Non vogliamo farti assomigliare alla televisione” recitava uno spot Rai “Vogliamo una televisione che assomigli a te”. Da brivido.

 
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