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iL MESTIERE DI SCRIVERE

Post n°8 pubblicato il 03 Gennaio 2013 da maddablog
Foto di maddablog

 

Perché scrivere? Per un vero scrittore questa domanda è retorica ed inutile. Non potrebbe fare altro, la pulsione è talmente forte che la mano scrivente si stacca dal cervello pensante tanto è veloce a far scorrere parole ed immagini sul foglio. Quasi sgravata dal peso cerebrale, la scrittura diventa automatica, assoluta.

La definizione vero scrittore non si contrappone a scrittore falso: nel mestiere di scrivere non si può barare più di tanto, chi scrive, al di là della qualità del proprio scritto, lo fa spesso senza ipocrisia, semmai con un po’ di ingenuità, ma gli innamorati delle parole si riconoscono subito: scrivono di getto e poi cesellano piano piano il testo con il gusto perverso di chi, mai soddisfatto, vuole arrivare all’essenza del messaggio, alla purezza dell’idea. Sono ingordi ed incontentabili,  la realtà attorno è un banchetto di sensazioni, odori e colori dai quali trarre ispirazione: ogni vicenda reale si fa pensiero di inchiostro. La realtà della loro anima fuoriesce per cambiare l’ovvietà del vivere: ogni angolo dello spirito si fa carne e sangue di carta. Agli scrittori autentici poco importa la fama, il loro è un atteggiamento compulsivo nei confronti della espressione scritta. Scrivono essenzialmente per se stessi, per il fascino che il tratto nero ha, in contrasto con il biancore della pagina. Scrivono per la soddisfazione di riconoscersi o non riconoscersi in quello che  dicono, per la meraviglia o il dolore che suscita in loro il rileggersi. I veri scrittori non sono necessariamente quelli riescono a pubblicare la propria opera, la visibilità è un dettaglio, il successo solo una discriminante economica di nessun pregio.

Invece, per i mediocri manovali della parola, tra i quali chi scrive si annovera,  scrivere  ha un senso un po’ beffardo. Generalmente essi vorrebbero lasciare un segno del loro passaggio per ribadire il diritto all’esistenza manifesta, un modo per esorcizzare non la morte fisica, ma quella del ricordo di sé. L’inspiegabilità della vita deve trovare una sua collocazione nella loro personale visione: i poeti e gli scrittori della domenica vogliono dare un senso a ciò che senso non ha, vogliono avere certezze perché non vogliono soggiacere alle assurde regole della assurda  realtà attorno, allora scrivono i loro pensieri come fossero messaggi in una bottiglia, li lasciano andare ognidove  sperando che contribuiscano a salvarli.  Il mare magnum della Rete li accoglie tutti, democraticamente,  e così sappiamo che Mauro scrive per far colpo sulle donne, Luigi perché si sente solo, Jennifer perché ha sempre scritto poesie che nessuno ha mai voluto leggere e Rossana scrive perché è figo. Ma, in fondo, le loro motivazioni non sono poi così lontane da quelle di Doris Lessing quando  diceva che scriveva perché era un animale scrittore o a Gabriel Garcìa Màrquez perché voleva che i suoi amici lo amassero di più o William Faulkner che scriveva solo per campare.

Chi scrive, sia artigiano o artista,  sa che, prima o poi, dovrà dare ragione del suo scrivere.  Sa che la sua risposta dovrà essere convincente perché, molto probabilmente, gli verrà posta da qualcuno che non scrive per niente e che lo metterà di fronte ad un quesito il cui responso non è poi di così fondamentale importanza.

 

 
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